Locazione: il contratto, dalla natura sino alle figure affini
Ultimo aggiornamento 4 settembre 2023
Nel presente contributo è stato analizzato, in primis, il contratto di locazione in senso generale, secondo la previsione codicistica, in seconda battuta, tale fattispecie, è stata sviscerata, soprattutto per quanto riguarda gli immobili urbani, nell’esposizione e applicazione delle leggi speciali integrative; ovvero la legge 27 luglio 1978, n. 392 e la legge 9 dicembre 1998, n. 431, oltre ad un rapido excursus in tema di proroga delle locazioni.
Infine, è stata posta anche la giusta attenzione sulle azioni processuali a tutela, in particolare il rito locatizio ed i procedimenti sommari collegati.
La locazione, quella immobiliare, in particolare, è una delle poche fattispecie contrattuali, previste dal codice civile, ancora di grande attualità, foriera di innumerevoli contese tra proprietari e conduttori in virtù delle grosse e rilevanti problematiche che attraversa il mercato immobiliare, per il mondo sommerso di rapporti senza alcuna disciplina ed altri rispecchianti contratti modello fac-simile ben lontani da forme di garanzie elementari sia per il locatore che per il conduttore.
Di grande interesse è risultato l’approfondimento dei rapporti e dei rispettivi obblighi che si vanno ad instaurare tra i due soggetti del contratto, dalla fase della consegna, passando per la manutenzione e l’uso sino a quella della restituzione, che più delle volte nell’attualità non sono trattati nella giusta considerazione, per la mancanza di conoscenza o meglio per la superficialità che contraddistingue i soggetti che interpellano gli operatori del diritto soltanto in una fase patologica del rapporto.
Difficile, infine, è stato, rispetto ad altri lavori, presentare schematicamente quest’ultima opera; tuttavia al fine di una migliore comprensione del presente saggio si è cercato attraverso collegamenti testuali (ai quali si chiede di porre la giusta attenzione) di rendere organica la trattazione.
1) Natura
art. 1571 c.c. nozione: la locazione è il contratto col quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all’altra parte (locatario o conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Per dottrina autorevole[1] è un contratto consensuale, ad effetti obbligatori.
È anche contratto a prestazioni corrispettive perché a carico del conduttore è posto, tra l’altro, l’obbligo di pagare un prezzo, detto canone o pigione.
Consensuale
Il contratto di locazione è un contratto consensuale[2], in quanto si perfeziona con il semplice accordo tra il locatore ed il locatario senza alcun elemento ulteriore.
Per la S.C.[3] la locazione è contratto consensuale che si perfeziona con l’accordo delle parti, sì che la consegna della cosa non rientra nella fase formativa del rapporto, ma costituisce il primo ed ineliminabile obbligo del locatore, che condiziona la nascita degli obblighi e delle responsabilità ulteriori nonché il consolidarsi della posizione del conduttore quale titolare di un diritto personale di godimento.
A prestazioni corrispettive
Questo carattere risulta in modo evidente dall’art. 1571 c.c. che delinea reciproche prestazioni:
1) il locatore si obbliga a far godere la cosa mobile o immobile per un dato tempo,
2) il locatario a versare un determinato corrispettivo[4].
Per la validità della locazione non è necessario che il corrispettivo dovuto dal conduttore sia determinato, ma è sufficiente che sia determinabile[5], in applicazione di criteri o sulla base di elementi precostituiti, vale a dire fissati nell’atto stesso della stipulazione del contratto.
Il corrispettivo della locazione può consistere in cose diverse dal denaro[6] ed essere rappresentato da utilità di varia natura, ma è pur sempre necessario che ricorra il duplice requisito della sua determinatezza (o, almeno, della determinabilità) e del suo carattere obbligatorio, nel senso che esso non può essere costituito da prestazioni che trovino la loro causa in ragioni diverse (di convenienza, di opportunità, di liberalità, di cortesia) non caratterizzate dalla forza cogente di un rapporto contrattuale.
Inoltre il corrispettivo può essere costituito anche, in parte, da un’attività lavorativa[7] resa in favore del locatore[8], non dissimilmente dall’ipotesi in cui il godimento di un locale può costituire parte della retribuzione del lavoratore in un rapporto di lavoro subordinato.
La distinzione tra le due ipotesi consiste nella diversa importanza della prestazione lavorativa nell’economia del contratto.
Per altra pronuncia[9] in materia di contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo la vigente normativa, contenuta nella legge 27 luglio 1978 n. 392, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di “buona entrata”, che è privo di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto é nullo ai sensi dell’art. 79 della citata legge (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia), anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che, ai sensi degli artt. 1421 e 2033 cod. civ., potrà far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l’accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata all’attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo.
Accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non é sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Peraltro, il solo presupposto della diversità dei soggetti parti del contratto di locazione e dell’accordo collegato non é idoneo ad escludere l’applicabilità dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978 nei confronti del locatore, parte anche del contratto collegato con il terzo, nè comporta l’inapplicabilità del rito locatizio di cui all’art. 447 bis cod. proc. civ., trattandosi, comunque, di controversia in materia di locazione, avente ad oggetto l’accertamento di un vantaggio indebito del locatore in relazione ad uno specifico contratto di locazione.
Di durata
Il riferimento vale soltanto per
1) la prestazione del locatore, perché costui non si limita a consegnare il bene, ma si obbliga a svolgere ogni attività necessaria per consentire al locatario il godimento pacifico;
2) non vale, invece, per la prestazione del locatario, la quale non deve essere necessariamente frazionata (anche se normalmente lo è ), ma può essere adempiuta anche in unica soluzione, vale a dire in modo istantaneo.
Normalmente di ordinaria amministrazione
Il contratto di locazione è considerato, in genere, atto di ordinaria amministrazione, salva la figura della locazione ultranovennale, espressamente considerata di straordinaria amministrazione, per la quale la legge richiede la forma scritta a pena di nullità e la trascrizione.
Ad effetti obbligatori
Problema tuttora aperto è quello sulla natura giuridica del diritto del locatario.
1 – A teoria[10] – del diritto reale
afferma che il diritto del conduttore è sostanzialmente identico a quello attribuito al titolare del diritto reale di godimento: anche il conduttore, infatti, è in rapporto diretto ed immediato con il bene e ne gode indipendentemente da qualsiasi prestazione del locatore.
2 – A teoria[11] – del diritto di credito –– contesta in primis che questo diritto abbia il carattere della realità (relazione immediata con la cosa ricevuta in locazione) : il conduttore gode del ben locatogli proprio in virtù della prestazione del locatore che gliene consenti l’utilizzazione, come suole dirsi, quotide et singulis momentis.
Si sottolinea ancora che manca un’autentica assolutezza, perché esso non può essere opposto erga omnes, ma soltanto nei confronti di determinati soggetti:
A) terzo acquirente ex art. 1599
B) nudo proprietario ex art 999
C) venditore con patto di riscatto ex art. 1505
3 – A teoria[12] – del diritto personale di godimento nell’ambito della categoria dei diritti di godimento, vengono, infatti, distinti diritti reali di godimento e diritti personali di godimento. Quest’ultimi, da un lato, hanno carattere di diritto reale, perché, sia pure entro certi limiti, permettono una utilizzazione diretta del bene da parte del titolare; dall’altro lato, rivelano il carattere del diritto di credito, perché sono esercitabili non erga omnes, ma soltanto nei confronti di determinati soggetti.
Tipico
In materia di locazione, ricorre un’ipotesi di locazione c.d. limitata, pur sempre rientrante nel contratto tipico ex art. 1571 cod. civ, nel caso di convenzione che importi l’impegno di fare appoggiare, al muro di un edificio, un’insegna pubblicitaria; ciò in quanto, pur se è vero che nel diritto personale di godimento assicurato con la locazione si ha una cessione dell’esercizio delle facoltà d’uso la quale normalmente ha natura assorbente e non lascia margini di godimento residuo al locatore, per la configurabilità della suddetta fattispecie tipica non è tuttavia necessaria la trasmissione, al conduttore, di tutte le utilità che la cosa può produrre.
Ne consegue che ben può la concessione ad altri del godimento essere convenzionalmente limitata ad una sua particolare utilità senza il trasferimento, al conduttore, della detenzione in via esclusiva del bene, rimanendo in tal caso il diritto del conduttore ed il corrispondente obbligo del locatore circoscritti, conseguentemente, all’uso limitato contrattualmente previsto[13].
Mentre[14] il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilità a terzi per la sua destinazione a discarica, secondo modalità negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; obbligo di restituzione del terreno alla scadenza contrattuale previa chiusura della discarica mediante copertura dello scavo e sistemazione finale dell’area per l’utilizzazione a piazzale) integra gli estremi del contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla locazione, a ciò conseguendo la sussistenza di un obbligo di restituzione del bene, da parte dell’utilizzatore, tutte le volte in cui il rilascio costituisca (come nella specie) effetto previsto dal contratto ed espressamente collegato al raggiungimento della complessa causa della convenzione atipica, ovvero qualora la destinazione del bene all’uso convenuto non risulti più possibile per sopravvenuto «factum principis».
2) Il locatore
Per assumere la qualità di locatore non è necessario avere un diritto reale sulla cosa, in quanto il contratto di locazione ha natura personale e prescinde dall’esistenza e dalla titolarità da parte del locatore di un diritto reale sul bene, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilità, la quale, tuttavia, dev’essere giuridica e non di mero fatto, cioè deve avere la sua genesi in un rapporto o titolo giuridico atto a giustificare il potere del locatore di trasferire al conduttore la detenzione ed il godimento del bene.
Principio ripreso anche da recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 dicembre 2016, n. 27021
In altre parole la legittimazione – a locare spetta, innanzitutto a chi è titolare di un diritto reale (proprietario – superficiario – enfiteuta – usufruttuario comunista – al creditore antitetico – al sequestratario e allo stesso conduttore, non all’usuario ed all’habitator per l’espresso divieto dell’art. 1024) sulla cosa locata.
Ne consegue che non può assumere la qualità di locatore colui che abbia soltanto la disponibilità di fatto del bene[15].
Principio mitigato da successiva giurisprudenza[16] secondo la quale il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, deve considerarsi valido e vincolante anche il contratto stipulato tra chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sulla scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario, dopo la scadenza dell’efficacia di tale titolo.
Per altra Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 settembre 2013, n. 20371
è stato nuovamente affermato che chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in locazione, comodato, o costituirvi altro rapporto obbligatorio, ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione allorché il rapporto venga a cessare. Pertanto, il comodante che agisce per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario non deve provare il diritto di proprietà, avendo soltanto l’onere di dimostrarne la consegna e il rifiuto di restituzione, mentre spetta al convenuto dimostrare un titolo diverso per il suo godimento. In altri termini, è principio generale che, una volta provata la disponibilità di un bene e la sua concessione ad altro soggetto, spetta a quest’ultimo dimostrare di avere valido titolo da opporre per poterne continuare la detenzione.
Infine, in merito alla figura del locatore, secondo la Cassazione penale[17] perché possa configurarsi il reato di cui all’art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998 a carico di colui che abbia favorito la permanenza nel territorio dello Stato di cittadini immigrati clandestini, mettendo a loro disposizione locali abitativi in locazione, è necessario che ricorra il dolo specifico, costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dello straniero, imponendo condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dall’equilibrio del rapporto sinallagmatico.
Se da un punto di vista obiettivo la concessione in locazione a cittadini extracomunitari e clandestini di locali a uso abitazione è idonea a integrare la condotta tipica del reato, essa non lo è necessariamente dal punto di vista soggettivo, dovendosi accertare in concreto se dalla stipula del contratto si sia inteso trarre indebito vantaggio dalla condizione di illegalità dello straniero, nella posizione di contraente debole, imponendogli condizioni onerose ed esorbitanti: in quest’ottica, la Cassazione ha censurato la sentenza della Corte d’appello per aver omesso qualsiasi indagine in ordine alle condizioni e alle clausole del contratto di locazione.
Così come, nell’ambito del favoreggiamento alla prostituzione, per altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 giugno 2013 n. 28133
non può essere condiviso l’opposto orientamento giurisprudenziale (Cassazione, sezione III, 19 maggio 1999, n. 8600), secondo cui la semplice concessione in locazione dl un immobile a un soggetto del quale si sa che vi eserciterà la prostituzione integra il reato di cui all’art. 3, n. 8), della legge n. 75 del 1958, perché costituisce un contributo agevolatore di detta attività, consentendo condizioni più favorevoli sicure per il suo esercizio, Tale orientamento ha infatti la conseguenza dl allargare eccessivamente l’ambito di applicazione della tutela penale, rendendo punibile qualsiasi aiuto prestato alia prostituta e, in particolare, l’aiuto relativo alle sue esigenze abitative, che solo indirettamente agevolano l’attività di prostituzione; cosicché non sussiste un nesso causale penalmente rilevante della condotta dell’agente e l’evento dei favoreggiamento della prostituzione.
Il reato di favoreggiamento della prostituzione è configurabile solo laddove vi siano prestazioni ed attività ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione dl un immobile ad una singola donna a prezzo di mercato (sezione 3, 23 maggIo 2007, n. 35373, Rv. 237400).
Principio confermato da altra successiva pronuncia
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4 luglio 2013, n. 28754
Ovvero in sentenza si legge che non puo’ tuttavia ignorarsi quell’orientamento giurisprudenziale assai datato, ma recentemente riaffermato, secondo il quale non e’ configurabile il delitto in parola laddove l’agente si limiti a concedere in locazione un immobile ad una prostituta quando sia soltanto la locataria a prostituirsi in quel luogo (Cass. Sez. 3 5.3.1984 n. 4996. Siclari, Rv. 164513; nello stesso senso, Cass. Sez. 3 3.5.1991 n. 6400, Tebaldi ed altri, Rv. 188540; Cass. Sez. 3 , 16.4.2004, n. 23657, Rincari, Rv. 228971; Cass. Sez. 3 23.2.2012 n. 7076 non massimata).
Nel fare richiamo all’indirizzo giurisprudenziale dinanzi menzionato, non e’ ravvisabile la condotta di favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi conceda in locazione, a prezzo di mercato (altrimenti potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi esercitera’ la prostituzione in via del tutto autonoma e per proprio conto: si tratta di orientamento che trova conferma nella stessa sentenza Donati, posto che anche in tale decisione si afferma che, per aversi la condotta di favoreggiamento, si deve essere in presenza di prestazioni e/o attivita’ ulteriori rispetto a quella della semplice concessione in locazione a prezzo di mercato. La decisione ora menzionata, infatti, rileva “come la giurisprudenza che esclude il favoreggiamento in caso di mera locazione sia stata ispirata proprio dalla finalita’ di evitare aberrazioni non solo sul piano dell’etica e del senso comune ma anche in rapporto alla ratio e alla intentio legis cui porterebbe la configurazione come favoreggiamento di qualsiasi aiuto prestato solo alla prostituta in quanto persona e non direttamente all’esercizio del meretricio in quanto tale” (v. per i riferimenti e richiami testuali, Cass. Sez. 3 7076/12 cit.).
La Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2014, n. 7338
nuovamente è tornata sul punto affermando un ulteriore principio secondo cui il reato di favoreggiamento dell’altrui prostituzione non è ravvisabile nella condotta di colui che concede in sublocazione ad una prostituta, con la quale ha instaurato un rapporto di convivenza, dietro corresponsione della metà del canone e delle spese, un immobile nella sua disponibilità ove la donna esercita il meretricio, poiché la mera stipulazione del contratto non concreta, di per sé, un oggettivo aiuto all’esercizio della prostituzione in quanto tale.
E’ stato, inoltre, affermato che se lo scopo specifico della locazione non è quello di esercitare nell’immobile locato una casa di prostituzione, ipotesi sanzionata dall’art. 3 n. 2 legge 75/1958, la condotta del locatore non si concreta in un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, risolvendosi nella mera conclusione di un contratto attraverso la quale la donna realizza il proprio diritto all’abitazione. Si rileva, inoltre, che il negozio giuridico riguarda la persona e le sue esigenze abitative e non anche la attività di prostituta esercitata e, sebbene ciò agevoli indirettamente anche la prostituzione, tale rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell’agente e l’evento di favoreggiamento della prostituzione, perché l’evento del reato non è la prostituzione stessa, ma l’aiuto alla prostituzione, che implica una condotta, da parte dell’agente, di effettivo ausilio per il meretricio, che non sussiste nel caso in cui la prostituzione sarebbe stata comunque esercitata in condizioni sostanzialmente equivalenti.
Ancora sul tema la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 novembre 2014, n. 47387
ha avuto modo di precisare che concedere in locazione un appartamento a prezzo di mercato a una prostituta, pur nella consapevolezza che questa lo utilizzerà per il meretricio, non giunge ad integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione, in difetto di un quid pluris che agevoli specificamente la prostituzione stessa. La corte territoriale, peraltro, non si è discostata dall’insegnamento nomofilattico, evidenziando chiaramente, invece, la necessità di identificare l’esistenza del quid pluris necessario per integrare il reato.
Si tratta, naturalmente, di una valutazione fattuale degli esiti del compendio probatorio, la quale può essere in questa sede vagliata esclusivamente sotto il profilo del vizio motivazionale, che il ricorrente ha indicato nella rubrica del motivo limitandosi peraltro a individuarlo in “nessun riferimento ad altre concrete attività poste in essere dal Pacifici, oltre quella di concedere in locazione l’immobile e, secondo la Corte di Appello, di essere a conoscenza” del meretricio svolto negli appartamenti.
3) Il conduttore
Il conduttore è la parte che gode della cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Ad esempio nella società di persone, la titolarità unitaria ed inscindibile in capo ai soci, considerati nel loro complesso unitario, delle situazioni giuridiche integranti il patrimonio sociale, implica che nel caso di società (nella specie di due soci) che abbia preso in locazione un immobile per esercitarvi l’attività sociale, titolari del rapporto locatizio siano i soci, sicché, ove a seguito di recesso degli altri, il socio rimasto continui nell’immobile la stessa attività, non si verifica alcuna modificazione soggettiva del rapporto di locazione con conseguente abusiva detenzione dello immobile locato, ma la titolarità della relativa posizione soggettiva, come dell’esercizio dell’attività imprenditoriale, si concentra nell’unico socio (con potenzialità di estensione ad altri futuri soci nel termine di sei mesi ex art. 2272, n. 4, cod. civ.), anche ai fini liquidatori per il periodo successivo, permanendo nel caso di liquidazione, con l’attribuzione a lui dei beni costituenti il patrimonio sociale previo soddisfacimento dei creditori sociali, in tale soggetto non più socio[18].
In merito poi alla successione nel diritto del conduttore l’erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto — analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione — quegli è un detentore precario della «res locata al de cuius», sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale[19].
Inoltre, l’art. 180, comma 2, cod. civ., non comporta l’ingresso automatico del coniuge pretermesso nel contratto di locazione stipulato dall’altro coniuge, ma solo il diritto di ottenere l’annullamento della locazione o di convalidarla (art. 184 cod. civ.) acquistando, in questo secondo caso, la qualità di parte nel rapporto contrattuale e quella di litisconsorte necessario nelle azioni relative al contratto proposte contro il coniuge che lo ha stipulato.
Conseguentemente, ad esempio, in mancanza di tale convalida, legittimato passivo nella controversia proposta dal locatore per l’esercizio del recesso ex art. 59 della legge n. 392 del 1978 è solamente il coniuge che ha stipulato il contratto, ancorché ciò sia avvenuto successivamente all’entrata in vigore della legge n. 151 del 1975 ed in regime di comunione familiare[20].
Infine, è opportuno sottolineare, come da altra pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1 settembre 2014, n. 18486
che il conduttore che si trovi nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione di efficacia del contratto di locazione mantiene la veste e la qualità di conduttore, peraltro inadempiente all’obbligo di restituzione dell’immobile. Il conduttore, dunque, rimane detentore qualificato dell’immobile di cui continua a mantenere la disponibilità, pur dopo la scadenza del contratto, come tale è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria, ex art. 1168, secondo comma, cod. civ.
Non sembra dubitabile – si continua a leggere nella sentenza in commento – che la situazione del conduttore di immobile, nella fase successiva alla scadenza del contratto di locazione, sia differente da quella del detentore per ragioni di servizio o di ospitalità.
Neppure si può ritenere che il conduttore, a seguito e per effetto della scadenza del contratto di locazione, divenga un occupante senza titolo dell’immobile. Alla scadenza del contratto, ovvero del diverso termine fissato per il rilascio nel provvedimento di convalida, senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile, si determina una situazione di inadempimento contrattuale, espressamente prevista dall’art. 1591 cod. civ. che in proposito stabilisce che “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.
La giurisprudenza della Corte ha affermato, sin da epoca risalente, che nella fase successiva alla scadenza del contratto, e fintanto che il locatore non proceda all’esecuzione del provvedimento di rilascio, il conduttore che continui ad occupare l’immobile è soggetto ad una serie di obblighi, collegati al contratto, dovendo tra l’altro corrispondere al locatore il canone, fino alla riconsegna (art. 1591 cod. civ.), salvo il maggior danno, anch’esso di natura contrattuale (ex plurimis, Cass., Sez. II, sentenza n. 2672 del 1981; Sez. III, sentenza n. 1133 del 1999; Sez. III, sentenza n. 19139 del 2005; Sez. III, sentenza n. 2525 del 2006).
Non sussiste peraltro contrasto, tra il principio indicato e le affermazioni contenute in alcune pronunce di questa Corte, nelle quali si legge che “il conduttore rimasto nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione del contratto (nella specie, accertata giudizialmente) è tenuto al pagamento, da tale momento, dell’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., e non già del canone secondo le scadenze pattuite, perché, cessato il rapporto di locazione, la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell’obbligo di restituzione della cosa locata, anche quando è consentita dalla legge di sospensione degli sfratti” (Cass., Sez. III, sentenza n. 4484 del 2009; sentenza n. 11373 del 2010). Le pronunce da ultimo indicate fanno riferimento a casi in cui il legislatore è intervenuto a bloccare le procedure di rilascio, e in questo differente contesto qualificano come indennità il quantum dovuto dal conduttore ai sensi dell’art. 1591 cod. civ..
Il conduttore, dunque, rimane detentore qualificato dell’immobile di cui continua a mantenere la disponibilità, pur dopo la scadenza del contratto, come tale è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria, ex art. 1168, secondo comma, cod. civ.
4) Locazione e Comunione/Condominio
[21] [22] [23] [24]
Secondo una prima ricostruzione della S.C.[25] nelle vicende del rapporto locatizio, l’eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, nel cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione[26].
Conseguentemente, ciascuno dei condomini-locatori può svolgere le azioni che derivano dal contratto, presumendosi il consenso degli altri alla proposizione dell’azione giudiziaria e salva la possibilità per costoro, ove rappresentino nell’ambito della comunione una quota maggioritaria, di opporsi all’azione medesima.
Recentemente sul tema è di nuovo intervenuta la S.C.[27] stabilendo alcuni principi:
1) la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all’articolo 2032 del codice civile, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e, ai sensi dell’articolo 1705, secondo comma, codice civile, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato articolo 2032 codice civile, esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondenti alla quota di proprietà indivisa.
2) La ratifica da parte dell’altro comproprietario determina, dal suo manifestarsi, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato e tra gli effetti del mandato vi è proprio quello di cui all’articolo 1705, secondo comma, cc, che abilita il comproprietario non locatore a richiedere, per il tempo successivo alla ratifica, il pagamento pro quota del canone al conduttore.
3) La ratifica può essere espressa dalla domanda, che come nel caso affrontato, il comproprietario non locatore rivolga al conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, di vedersi attribuito il 50% dei canoni per il periodo successivo alla ratifica.
4) Mentre non potrà svolgere altre azioni derivanti dal contratto, essendo la facoltà del mandatario di sostituirsi al mandante limitata dall’articolo 1705, secondo comma, cc, ai crediti derivante dal contratto stipulato dal mandatario.
Con un primo adagio la Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12 giugno 2015, n. 12232
ha avuto modo di precisare che qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, così come, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all’art. 1292 c.c., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori.
Principio ripreso da altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 26 ottobre 2015, n. 21709
secondo il quale nelle vicende del rapporto locatizio l’eventuale pluralita’ di locatori integra una parte unica, nel cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione. Conseguentemente, si e’ affermato che qualora in un contratto di locazione la parte locatrice sia costituita da piu’ locatori, ciascuno di essi e’ tenuto, dal lato passivo, nei confronti del conduttore alla medesima prestazione, cosi’ come, dal lato attivo, ognuno degli stessi puo’ agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi in proposito la disciplina della solidarieta’ di cui all’articolo 1292 cod. civ., che non determina, tuttavia, la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non da luogo, percio’, a litisconsorzio necessario tra i diversi obbligati o creditori (Cass., 22 giugno 2009, n. 14530; Cass., 18 luglio 2008, n. 19929).
Ancora sul punto la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 febbraio 2016, n. 1986
ha riaffermato il principio secondo il quale qualora in un contratto di locazione di immobile la parte locatrice sia costituita da più locatori, in capo a ciascuno dei comproprietari concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo, peraltro, a regole di comune esperienza che uno o alcuni dei comproprietari gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti; l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di colui o di coloro che apparivano agire per tutti.
Principio nuovamente indicato da altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 dicembre 2016, n. 27021
secondo la quale allorquando viene stipulato un contratto locativo e la posizione di locatore sia in contitolarita’ fra una pluralita’ di soggetti, i diritti nascenti dal contratto verso il conduttore e, quindi, quello di pretendere il pagamento del canone e di attivarsi all’uopo anche giudizialmente, in difetto di previsione del contratto di un esercizio congiunto, sono da ritenere esercitabili tanto congiuntamente dai colocatori, quanto dal singolo o da alcuni dei colocatori, in quanto i relativi rapporti obbligatori ex latere della parte locatrice rilevano secondo le regole generali della comunione dei diritti, in quanto si ricollegano ed originano dalla comune manifestazione di volonta’ contrattuale concretatasi nella con titolarita’ della posizione di parte locatrice e, pertanto, non implicando disposizione della posizione comune, ma solo la sua attivita’ di gestione ordinaria, sono espressione del diritto di ciascuno all’amministrazione della posizione di contitolarita’.
In tema di condominio per la S.C.[28] il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di concorrere all’amministrazione di tale bene (art. 1105 cod. civ.), incontra il suo limite nell’obbligo di rispettare la volontà della maggioranza.
Pertanto, allorché un immobile locato appartenga ad una molteplicità di condomini e dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, è la maggioranza dei condomini a stabilire circa l’amministrazione ed il godimento della cosa comune e, quindi, della possibilità e volontà di disdire e far cessare, alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
La Cassazione[29] ha ulteriormente affermato che ai sensi dell’art. 1130, n. 4, cod. civ., da interpretarsi estensivamente, l’amministratore del condominio non solo è legittimato a compiere gli atti conservativi necessari a evitare pregiudizi alle parti comuni, ma può compiere atti anche per la salvaguardia dei diritti concernenti le stesse parti comuni delle quali ha la gestione.
Di conseguenza, come egli può locare un bene condominiale, così può pretendere il pagamento dei canoni e agire per il recupero degli stessi ove dovuti, l’importo dei quali verrà attribuito ai condomini secondo i millesimi di proprietà di ciascuno. Ciò non esclude che ciascun condomino possa provvedere direttamente, ma si tratta di un potere concorrente e non necessario.
Per altra pronuncia[30] il conduttore, cui é concesso il godimento della cosa comune nei limiti della quota della sua proprietà, ha la detenzione di questa insieme agli altri condomini, perché il suo uso parziale e concorrente con quello degli altri lascia il rapporto nell’ambito del contratto di locazione, il quale non presuppone che il godimento della cosa sia esclusivo. Ne consegue che nei confronti del conduttore di un immobile, che ne abbia acquistato la proprietà per una quota parte, non può essere conseguita dal locatore la risoluzione della locazione, non potendo l’acquirente essere privato del compossesso del bene conseguito con l’acquisto.
Mentre, qualora il conduttore di un bene immobile acquisti in costanza del rapporto la proprietà di una quota pro indiviso del bene locato, si verifica la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune o di parte di esso, con la conseguenza che il conduttore viene a disporre della res locata, in parte, in virtù del pregresso titolo obbligatorio locatizio, in parte, in base all’assunta nuova qualità di proprietario, mentre il rapporto di locazione estinto parzialmente per avvenuta confusione nello stesso soggetto delle anzidette qualità di conduttore e locatore continua a sussistere tra gli altri condomini originari ed il nuovo comproprietario sempre in veste di conduttore, vincolato quanto alla durata del contratto e alla destinazione d’uso del bene secondo le pregresse pattuizioni. Ne deriva altresì che il comproprietario locatore può validamente esperire l’azione di risoluzione del contratto per intervenuta scadenza ai sensi dell’art. 1103 cod. civ.[31]
Può succedere anche che la sentenza che accerti la scadenza del termine di locazione, o che pronunzi la risoluzione del contratto, condanna il conduttore al rilascio in favore del comproprietario — locatore della quota locata del bene comune (se in questi termini vi è stata domanda), senza che a ciò sia di impedimento la circostanza che il conduttore detenga per altro titolo la restante parte del bene comune, poiché in questo caso si realizza un’ipotesi di codetenzione del bene tra i due soggetti.
In tal caso, ove si tratti di beni immobili, in difetto di spontanea esecuzione, la sentenza va eseguita coattivamente nelle forme dell’esecuzione forzata per rilascio, osservandosi il disposto dell’art. 608 cod. proc. civ., per cui l’ufficiale giudiziario deve ingiungere ai codetentori (qualificati) di riconoscere il compossessore, fermo il contratto ed il conseguente costituito rapporto tra i predetti ed il compossessore concedente nei loro confronti[32].
Particolare risulta una pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 18596 del 29 ottobre 2012
secondo la quale per il concreto utilizzo in favore del portiere del locale destinato a tale utilizzo, il condominio deve stipulare un contratto di locazione e che la sua l’occupazione in assenza di questo, costituisce occupazione senza titolo.
In tema di sfratto intimato al conduttore[33] da uno dei comproprietari dell’immobile locato, il consenso dell’altro comproprietario all’intimazione deve presumersi in mancanza di prova contraria[34].
Il comproprietario può agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile per finita locazione, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune, per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione, sicché non ricorre la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti[35].
Infine, se nel corso di un rapporto di locazione decede uno dei locatori, gli eredi di esso, per pretendere il pagamento del canone, hanno l’onere di dimostrare la loro legittimazione, perché la modifica soggettiva del contratto, innovando sulle modalità di adempimento (art. 1362, secondo comma, cod. civ.), determina uno stato di incertezza per il conduttore che il creditore ha l’onere di rimuovere, onde rendere possibile la prestazione, in attuazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto; in mancanza dell’assolvimento di tale onere di collaborazione è giustificato il rifiuto del conduttore di pagare il corrispettivo ai nuovi contitolari del diritto, ed è invece idonea a costituire la mora accipiendi l’offerta del canone all’originario contitolare del relativo diritto[36].
5) Locazione ed Usufrutto
[37]
Orbene, secondo una non recente pronuncia della S.C.[38], supposta l’originaria coincidenza tra la posizione di titolare della piena proprietà e di quella di locatore, ove successivamente la piena proprietà, per eventi di carattere traslativo o costitutivo, venga a scindersi, nel senso dell’attribuzione della nuda proprietà e dell’usufrutto rispettivamente a soggetti diversi, non vi è dubbio che la qualità di locatore, per tutti i riflessi attivi e passivi, sostanziali o processuali venga a concentrarsi nel titolare dell’usufrutto e ciò tanto nella costituzione dell’usufrutto mediante atto tra vivi, in quanto nella costituzione dell’usufrutto stesso mortis causa.
In quest’ultimo caso il principio secondo cui la titolarità dei rapporti obbligatori attivi e passivi sorti originariamente in testa al de cuius debbono intendersi trasmessi all’erede, successore nell’universum ius del defunto e non all’eventuale usufruttuario tale costituito per testamento o per legge ex re certa od anche di tutto il patrimonio, trova una limitazione allorché si tratti di contratti e di rapporti obbligatori di durata, quali quelli di locazione, strettamente inerenti al godimento della cosa, rapporti i quali, nel caso di usufrutto attribuito a persona diversa dall’erede, non possono non concentrarsi nella persona dell’usufruttuario, atteso il nesso di stretta corrispettività e interdipendenza tra il diritto alla percezione in via immediata e diretta dei frutti civili (pigioni)maturati dal giorno dell’apertura della successione e la pretesa contrapposta del conduttore e il godimento della cosa locata.
Inoltre,[39] la continuazione del rapporto di locazione concluso dall’usufruttuario nel caso di cessazione dell’usufrutto — prevista, per la durata contrattualmente stabilita, dall’art. 999 cod. civ. — comporta necessariamente (non diversamente da quanto stabilito, con riferimento alla compravendita del bene locato, dall’art. 1599 cod. civ.[40]), che titolare del rapporto divenga il nuovo avente diritto al godimento, verificandosi un fenomeno di cessione ex lege del contratto, per l’operatività della quale non occorre il consenso e l’adesione del conduttore.
Conseguentemente, il soggetto subentrato in tutti i diritti del precedente locatore acquisisce anche quello alla risoluzione del contratto nei confronti del conduttore per inadempienze verificatesi successivamente all’evento modificativo della titolarità del rapporto, mentre la comunicazione di tale evento al conduttore ha il solo scopo di porlo in grado di adempiere ai propri doveri nei confronti del soggetto subentrato ex lege nella posizione di locatore.
La Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 20 luglio 2016, n. 14834
ha affermato che l’estinzione del diritto di usufrutto, pur comportando l’opponibilita’ al proprietario (nei limiti di cui all’articolo 999 c.c.) dei contratti di locazione conclusi dall’usufruttuario, non determina – di per se’ – l’effettivo subentro nel rapporto di locazione del pieno proprietario ove questi rimanga del tutto silente ed estraneo al rapporto;
per esercitare i diritti derivanti dal rapporto (compreso quello di farne dichiarare la risoluzione), il locatore non e’ dunque tenuto a dimostrare la persistente titolarita’ di un diritto reale sul bene, ne’ il conduttore puo’ pretendere la dimostrazione di tale diritto per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto locatizio e per contestare la legittimazione dell’attore, a meno che non risulti che il (pieno) proprietario abbia manifestato la volonta’ di fare proprio il rapporto, subentrando al locatore e privandolo della disponibilita’ del bene;
fino a quando cio’ non si verifichi, ossia fintantoche’ il (pieno) proprietario non manifesti la volonta’ di subentrare effettivamente nella posizione dell’originario locatore, il rapporto di locazione prescinde dalle vicende attinenti la titolarita’ dei diritti reali sul bene e la vicenda rimane “centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore” , in coerenza con la sua natura “personale”;
– ne consegue che, silente il proprietario, la morte dell’originario usufruttuario/locatore determina la trasmissione della titolarita’ del rapporto di locazione agli eredi, con possibilita’ – per essi – di esercitare i diritti e le azioni che derivano dalla locazione e senza che il conduttore possa contestarne la legittimazione per il solo fatto che sia venuto meno il diritto di usufrutto.
6) Trasmissibilità dei diritti del locatore ed il conflitto tra più conduttori
La vendita dell’immobile locato comporta la successione a titolo particolare nel rapporto di locazione del compratore, il quale diviene parte nei confronti del conduttore per tutti gli ulteriori diritti ed obblighi inerenti alla prosecuzione del contratto dopo la data di acquisto con conseguente sua legittimazione a richiedere il rilascio dell’immobile alla scadenza ed il risarcimento del danno per ritardata restituzione, ex art. 1591 cod. civ.
Tuttavia, avendo detto principio carattere dispositivo, il venditore ed il compratore possono convenire che il rapporto di locazione, per tutta la durata convenzionale, continui a svolgersi nei confronti dell’alienante, che così mantiene la posizione di locatore e la legittimazione per tutte le azioni derivanti dal rapporto stesso, comprese quella diretta al rilascio del bene alla scadenza e quella per il risarcimento dei danni per ritardata consegna[41].
Inoltre[42], non è nullo il contratto di locazione stipulato da chi, essendo già proprietario dell’immobile locato, pochi giorni dopo detta stipula venda il bene ad altro soggetto e convenga con quest’ultimo di mantenerne il godimento nonostante l’alienazione, atteso che la locazione deve considerarsi conclusa sulla base della presupposizione che ad essa sarebbe seguita la stipula del contratto di vendita e, pertanto, sull’esplicito richiamo ad una circostanza ad essa “esterna” che, pur se non specificamente dedotta come condizione, costituisce specifico ed oggettivo presupposto di efficacia del regolamento pattizio, assumendo per entrambe le parti valore determinante ai fini della sua conclusione e del “mantenimento” del vincolo contrattuale.
Mentre, poiché le obbligazioni che nascono dal contratto di locazione sono sempre di natura personale, deve escludersi che un impegno assunto dal locatore (nella specie, per il rimborso al conduttore di alcune migliorie) possa essere costitutivo di una obbligazione propter rem, trasferibile con la proprietà dell’immobile locato[43].
In caso di conflitto tra più conduttori il legislatore ha dovuto predisporre un criterio di preferenza e, qualora non si tratti di locazione ultranovennale (per la quale vale la priorità della trascrizione ex artt. 2643, n. 8 e 2644), lo ha fatto con il sistema contenuto nell’art. 1380.
art. 1380 c.c. conflitto tra più diritti personali di godimento: se, con successivi contratti, una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento (locazione, affitto, comodato, anticresi, ecc.) relativo alla stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha conseguito.
Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quello che ha il titolo di data certa (2704) anteriore [(questa soluzione ha dato luogo a perplessità soprattutto al fine di individuare il momento in cui il contraente anteriore abbia preferenza e non debba più preoccuparsi che l’altro contraente consegua, prima di lui, il godimento, ottenendo in tal modo i vantaggi previsti dal primo comma – la soluzione preferibile è quella di chi ritiene (Messineo) che il contraente anteriore, anche senza conseguire il godimento, sia definitivamente preferito dal momento in cui abbia richiesto giudizialmente l’adempimento del contratto)].
Sono salve le norme relative agli effetti della trascrizione (2644 e seguenti).
Il problema che ha dato luogo a maggiori contrasti riguarda l’ipotesi in cui il godimento della cosa locata conseguito in un primo tempo da un conduttore sia stato, successivamente, attribuito ad un altro conduttore.
A) una tesi sostenuta da autorevole dottrina[44] richiede, ai fini della preferenza, non solo la priorità, ma anche l’attualità del possesso ed adduce ancora una volta ad argomento il fatto che, essendo il diritto del conduttore di natura personale, non può essere opposto al terzo, qual è il conduttore, attuale possessore;
B) ma prevale in giurisprudenza l’opinione, seguita da altra dottrina[45], secondo la quale il 1 co dell’art. 1380 accorda la tutela preferenziale a chi ha conseguito per primo il possesso, a nulla rilevando che successivamente l’abbia perduto.
Mancanza di godimento da parte del primo locatario
Un problema di non facile soluzione riguarda il raccordo tra il 1 e il 2 co dell’art. 1380: si domanda, cioè, se prevalga e (se la risposta è affermativa) fino a quale momento, il titolare di un contratto anteriore di data certa su colui che ha un contratto posteriore ma ha ottenuto per primo il godimento.
Ad es.[46] Tizio ha stipulato nel maggio del 2012 un contratto di locazione, regolarmente registrato (data certa), con il locatore Caio, e costui non solo rifiuta di dargli il possesso del bene locato, ma nel luglio del 2012 stipula un altro contratto di locazione, avente lo stesso oggetto con Sempronio, che, invece, ottiene subito il godimento.
Si chiede se la posizione di Tizio, concessagli dal 2 co dell’art. 1380, sia stata completamente vanificata dal comportamento di Caio e di Sempronio.
La soluzione[47] è quella secondo la quale il primo locatario non perde il diritto di essere preferito, se prima che il secondo locatario consegua il godimento, proponga nei confronti del locatore domanda di adempimento.
Nell’esempio fatto Tizio dovrà subito chiedere giudizialmente a Caio il possesso del bene locatogli ed evitare che costui stipuli un secondo contratto con altra persona, alla quale dia il godimento.
7) I requisiti del contratto
A) Accordo delle parti
La locazione produce i suoi effetti dal momento in cui si forma l’accordo attraverso la proposta e l’accettazione.
La consegna al conduttore della cosa locata non è elemento costitutivo del contratto, ma atto di adempimento di una delle due obbligazioni assunte dal locatore.
Ammissibilità di un preliminare[48] di locazione anche se la sua utilità, indubbia quando trattasi di preliminare unilaterale, è meno evidente quando si tratta di preliminare bilaterale.
In tema di preliminare di locazione, per ultima Cassazione[49], è correttamente qualificato nullo per indeterminabilità dell’oggetto – e non vi è quindi inadempimento delle obbligazioni che vi si vorrebbero ricollegare, tale da fondare un diritto al risarcimento – il contratto con cui una parte si impegni genericamente a stipulare un futuro contratto di concessione del godimento di locali genericamente come necessari per lo svolgimento di un’attività, quando sia prospettato, in primo luogo, alternativamente che tanto possa avvenire con o senza corrispettivo e, soprattutto, quando manchi la descrizione dei beni, l’indicazione della durata e, per il caso di contratto oneroso, il corrispettivo del godimento.
Né – potendo giovare la considerazione di manifestazioni di volontà di una od entrambe le parti anteriori al contratto, se non trasfuse nel suo tenore letterale con apprezzabile grado di concretezza, ovvero del quadro normativo di riferimento, ove da esso non si ricavino con analoga concretezza i detti elementi essenziali
La Locazione di cosa altrui[50]
Se il conduttore è titolare di un diritto personale di godimento il locatore, al momento della conclusione del contratto, dovrà essere proprietario o titolare di un diritto di godimento, dal contenuto proporzionato, sulla cosa formante oggetto di concessione (ad es. usufrutto, enfiteusi o locazione), con possibilità anche di cedere il contratto insieme al diritto.
In difetto di tale titolarità, il conduttore potrà agire per la risoluzione del contratto.
In dottrina[51] negano che la nascita di tale diritto personale di godimento, ritenendo invece che il conduttore non possa agire in risoluzione fino a quando riesce a godere pacificamente della cosa.
Dalla lata dizione dell’art. 1571 questa teoria desume dunque che il contratto di locazione di cosa altrui è valido e efficace se e fino a quando il locatore ha la disponibilità pur se solo di fatto della cosa locata ed è in grado di consegnarla prima e di garantirne il pacifico godimento al conduttore.
B) La causa
Essa consiste nello scambio tra il godimento di una cosa che una parte concede all’altre, ed il corrispettivo che questa si obbliga a dare alla prima.
C) La forma
Il contratto di locazione come regola generale non è soggetto ad onere di forma, ad eccezione delle locazioni ultranovennali per le quali è prevista la forma scritta ad substantiam e le locazioni ad uso abitativo, per le quali, come avremo modo di vedere successivamente, a norma dell’art 1, co. 4 L 9.12.’98, n. 431[52], è prescritta la forma scritta anche per un periodo non superiore a nove anni.
E’ peraltro utile ricordare che in materia di contratti stipulati dalla P.A. deve ritenersi comunque necessario l’atto scritto ad substantiam[53].
Anzi[54], per la valida stipulazione di un contratto in cui uno dei contraenti sia un Ente Locale non sono sufficienti due separate dichiarazioni scritte, ma occorre che proposta e accettazione siano versate in un unico contesto scritto.
Si segnala, al riguardo, anche un pronuncia del Consiglio di Stato[55], secondo cui tutti i contratti stipulati dalla P.A. richiedono la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente a tal fine la deliberazione dell’organo dell’ente pubblico ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la disciplina del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguirsi e al compenso da corrispondersi.
Ai sensi dell’art. 192 T.U. Enti Locali (D. L.gs. 18/8/2000, n.267) la stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita determinazione del responsabile del procedimento di spesa, indicante, tra l’altro, il fine che con il contratto si intende perseguire, l’oggetto del contratto, la sua forma, le clausole ritenute essenziali, le modalità di scelta del contraente e le ragioni che ne sono alla base (determinazione a contrattare).
Inoltre la locazione ultranovennale deve essere trascritta (art. 2643 n. 8), e tale trascrizione inciderà
1) nei confronti dei terzi che, a qualunque titolo abbiano acquistato diritti sugli immobili (art. 2644),
2) nei confronti del creditore pignorante (art. 2915) ed
3) ai fini della risoluzione del conflitto fra più soggetti cui sia stato concesso in locazione il medesimo bene.
È discusso se la locazione ultranovennale, nulla per difetto di forma, possa essere convertita in una locazione infranovennale:
A) tesi negatrice[56] – si basa sulla considerazione che la normativa sulla conversione (1424 c.c.) richiede la diversità fra il contratto nullo e il contratto convertito, laddove la locazione infranovennale appartiene allo stesso tipo di quella ultranovennale.
B) la tesi positiva[57], seguita dalla dottrina prevalente, per la quale la < diversità > può anche riguardare non la causa, ma il contenuto del contratto; quindi anche la sua durata.
Deve, naturalmente, ritenersi che le parti, tenuto conto dello scopo perseguito, avrebbero voluto anche il contratto di locazione infranovennale se avessero conosciuto la nullità.
In osservanza del principio di simmetria, tutti gli atti prodomici (preliminare, procura a concludere un contratto di locazione ultranovennalee ratifica del contratto di locazione concluso dal falsus procurator) alla locazione ultrranovennale o ad uso abitativo devono rivestire la stessa forma prevista per quest’ultimi contratti.
D) La registrazione (per i contratti ad uso abitativo e commerciale) e la nullità (inesistenza) dei contratti orali ad uso abitativo
In linea generale i contratti di locazione di immobili nel territorio nazionale sono soggetti (oltre che all’imposta di bollo) all’obbligo di registrazione con aliquota proporzionale pari al 2% del corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto; in ogni caso l’ammontare dell’imposta di registro non può essere inferiore a Euro 67,00 (così l’art.5, Parte I, Tariffa allegata al D.P.R. 26/4/1986, n. 131, e succ. mod.).
Sono soggette a registrazione solo in caso d’uso anche le locazioni (ed affitti) di immobili, non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno (art.2-bis Parte II, Tariffa).
Obbligati a richiedere la registrazione sono:
- le parti contraenti per le scritture private non autenticate e per i contratti verbali (per la locazione, come modificato con la legge di stabilità 2016 di cui apprreso – forse perchè tale articolo non è stato modificato – solo il locatore);
- i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati (art.10 D.P.R. cit.).
Ai sensi dell’art. 8 L.392/1978, gli oneri di registrazione sono per metà a carico del locatore e per metà a carico del conduttore.
La parte che ha provveduto al pagamento dell’imposta di registro può rivalersi nei confronti dell’altra parte di quanto a carico della medesima.
E’ possibile anche la registrazione telematica ex art. 5 del D.P.R. 404/2001 che rimane, appunto, una facoltà e non un obbligo per tutti gli altri soggetti tenuti alla registrazione della locazione.
La legge 44/2012 estende poi l’obbligo di registrazione telematica a una seconda categoria di soggetti, che nella versione originaria dell’art. 5 del D.P.R. 404/2001 non erano invece stati menzionati come soggetti obbligati ad adottare la procedura di registrazione telematica: si tratta come detto degli agenti di affari in mediazione iscritti nella sezione degli agenti immobiliari.
Infine, il deposito cauzionale[58], art. 11 L.392/1978, applicabile alle locazioni di che trattasi per espresso richiamo operato dall’art.41 della stessa legge), non sussistendo vincolo di interdipendenza col contratto di locazione, è soggetto all’imposta di registro per una aliquota pari allo 0,50%.
- La mancata registrazione – il percorso normativo e giurisprudenziale sugli effetti
In generale per gli atti soggetti alla registrazione (art.17 D.P.R. 131/1986, da ultimo modificato dall’art. 68 della legge 21/11/2000, n. 342) chi omette la richiesta di registrazione è soggetto alla sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta (art. 69 D.P.R. 131/1986).
Inoltre, se viene occultato anche in parte il corrispettivo convenuto, si applica la sanzione amministrativa dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato (art.72 D.P.R. 131/1986).
Preliminarmente, poi, come chiarito dalla Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 gennaio 2017, n. 2037
l’obbligo di registrazione, con imposta fissa, dei contratti di locazione si riferisce solo ai contratti definitivi. In tal senso depongono sia la lettera che la ratio della norma; quanto a quest’ultima risulta di tutta evidenza che la finalità antielusiva, volta a contrastare il fenomeno dei canoni sommersi, ha ragione di esplicarsi unicamente in relazione a contratti definitivi, giacché l’ipotesi dell’elusione non è configurabile in riferimento al mero preliminare di locazione, da cui non sorge alcun obbligo di pagamento del canone.
Sulle sanzioni in materia di imposta di registro vedasi anche la Circolare del Ministero delle Finanze 19/11/1998, n°267/F.
In realtà per i contratti di locazione, come si avrà modo di leggere da qui a poco, originariamente con il D.Lgs. n. 23/2011 venne introdotto [e successivamente abrogato] il principio della sanabilità del contratto di locazione non registrato, non prevedendo più una sanzione ma un correttivo del contratto al fine di far emeregere la grande maggioranza dei contratti “a nero” esistenti.
Precedentemente, invece, la legge Finanziaria del 2005 così prevedeva in merito alla mancata registrazione: “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati” (art. 1, comma 346).
Ed il quesito se l’art. 1 comma 346 l. n. 311 del 2004 si applicasse ai soli contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge o anche ai contratti in corso, doveva essere risolto nel senso di ritenere che la norma si applicasse soltanto alle locazioni stipulate dopo la entrata in vigore della “nuova norma sanzionatoria”, perchè in precedenza era prevista, soltanto, una sanzione di natura tributaria.
Ebbene il D.Lgs. n. 23/2011 ha introdotto il principio della sanabilità del contratto di locazione non registrato: nel caso di mancata registrazione dei contratti di affitto entro 30 giorni dalla stipula del contratto o dalla sua esecuzione, infatti, la durata della locazione è di quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, oltre quattro anni di rinnovo e a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’aumento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e operai.
Chiarendo che la mancata registrazione non comportasse una nullità assoluta, il D.Lgs. n. 23/2011 ha risolto, fino all’intervento della Corte Costituzionale che si avrà modo di specificare a breve, la problematica interpretativa che considerava il contratto non registrato nullo senza possibilità di essere sanato e quindi come mai esistito, non permettendo, pertanto, di chiedere la registrazione e somme a titolo di versamento di imposte e sanzioni.
Ma, tale intervento normativo è stato dichiarato incostituzionale per eccesso di delega.
In forza del decreto legislativo menzionato, il conduttore aveva la possibilità di impedire che venissero conclusi contratti non registrati, avendo a disposizione i mezzi necessari per regolarizzare il rapporto contrattuale: non aveva l’obbligo di fornire il contratto ed era unicamente sottoposto alla solidarietà nel pagamento dell’imposta di registro dovuta e non versata.
L’articolo 3, comma 8, del D.Lgs. n. 23/2011 stabiliva che: ai contratti di locazione degli immobili a uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:
a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio;
b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;
c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale , oltre l’ adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati e operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.
Questo per quanto riguarda un primo sunto degli interventi normativi, mentre sul punto sono sorti nel corso degli anni diversi contrasti giurisprudenziali successivamente, poi, risolti dalle sezioni unite del 2015, che a breve si avrà modo di leggere.
La pronuncia più importante sul punto è quella del 27 ottobre 2003, n. 16089, secondo la quale la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità, in quanto, nonostante l’indubbio risalto dato dalla legge n. 431/1998 al profilo fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la stessa non è stata tuttavia elevata a requisito di validità del contratto, atteso che l’art. 1, comma 4° della legge richiede quale requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta, e non anche la registrazione, sicché un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio.
In estrema sintesi, gli assunti a base questo orientamento erano i seguenti:
- la mancata registrazione del contratto di locazione non determinava alcuna nullità negoziale (non essendo stata la registrazione elevata a requisito di validità del contratto);
- la correlazione della nullità della pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato con l’omessa registrazione del patto recante la maggiorazione non era desumibile dal tenore dell’art. 13, commi 1 e 2, della legge 431/1998;
- il contratto scritto ma non registrato doveva ritenersi valido, stante la “palese irragionevolezza” della tesi secondo cui si sarebbe sanzionata con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (ossia quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata, laddove tale sanzione non era viceversa prevista in caso di totale omissione dell’adempimento;
- si configurava piuttosto una legittima ipotesi di simulazione relativa, con la conseguenza che il canone dovuto non poteva che essere quello effettivamente voluto dai contraenti e risultante dalla controdichiarazione inter partes.
Ma, con altro intervento con argomentazioni tutt’altro che illogiche
Corte di Cassazione, sezione III, ordinanza 3 gennaio 2014, n. 37.
la medesima sezione ha rimesso alle Sezioni unite la questione relativa alla validità dei contratti di locazione non registrati – essendo da ritenersi superata la precedente posizione, (sentenza n. 16089/2003).
Si legge nelle argomentazioni poste nella sentenza che, non appaiono più condivisibili in particolare gli assunti (posti nella sentenza 16089/2003 e dalla dottrina) secondo cui:
a) la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità (non essendo stata la registrazione del contratto di locazione elevata a requisito di validita’ del contratto);
b) la correlazione della nullità della pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato con l’omessa registrazione del patto recante la maggiorazione non è desumibile dal tenore della Legge n. 431 del 1998, articolo 13, commi 1 e 2;
c) il contratto scritto ma non registrato e’ valido, stante la “palese irragionevolezza” della tesi secondo cui si sia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione alla imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata, laddove tale sanzione non e’ viceversa prevista in caso di totale omissione dell’adempimento.
Orbene, ravvisando la necessità di rimeditare all’orientamento interpretativo delineato dalla Cass. n. 16089 del 2003 alla stregua dell’evoluzione interpretativa della Corte successivamente maturata in tema di causa concreta del contratto e di abuso del diritto; “contraddittoriamente con quanto affermato comporterebbe la necessita’ di farsi luogo ad un revirement di un orientamento interpretativo ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimita’, al fine di evitarsi – in una materia connotata da una diffusissima contrattazione e caratterizzata da un’accentuata litigiosita’ – un contrasto potenzialmente foriero di disorientanti oscillazioni interpretative che potrebbero conseguirne, e comunque quale questione di massima di particolare importanza”, il Collegio ha ritenuto opportuno rimettere la questione al Primo Presidente per l’eventuale relativa assegnazione alla Sezioni Unite.
Successivo alle sezioni semplici della S.C. è l’intervento della Corte Costituzionale
Corte Costituzionale, sentenza n. 50 del 14 marzo 2014
la quale, come già scritto in precedenza, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale)
Il Tribunale di Salerno (r.o. n. 206 del 2012), il Tribunale di Palermo (r.o. n. 49 del 2013), il Tribunale di Firenze (r.o. n. 78 del 2013), il Tribunale di Genova (r.o. n. 169 del 2013), nonché il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia (r.o. n. 225 del 2013), sollevavano – in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53, 55, 70, 76 e 97 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella parte in cui prevedevano un meccanismo di sostituzione sanzionatoria della durata del contratto di locazione per uso abitativo e di commisurazione del relativo canone in caso di mancata registrazione del contratto entro il termine di legge, nonché l’estensione di tale disciplina – e di quella relativa alla nullità dei contratti di locazione non registrati – anche alle ipotesi di contratti di locazione registrati nei quali sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo, o di contratti di comodato fittizio registrati.
Le disposizioni denunciate, inoltre, risultavano non proporzionate all’inadempimento fiscale dell’omessa registrazione nei termini e non perseguivano un obiettivo di interesse pubblico, limitandosi ad introdurre solo il predetto meccanismo premiale per il conduttore – con correlativo turbamento del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica – senza generare alcun incremento di entrate per il fisco. Riducendosi il canone, si sarebbe ridotto, infatti, anche l’ammontare dell’imposta di registro oltre che il gettito delle imposte dirette.
La disciplina in esame creava, ancora, una irragionevole disparità di trattamento tra locazioni ad uso abitativo ed altri tipi di locazione e si poneva in contrasto con i princípi di autonomia negoziale e con il disposto dell’art. 1419 del codice civile, in base al quale il contratto parzialmente nullo è fatto salvo solo ove risulti che le parti lo avrebbero ugualmente concluso.
La questione proposta dagli altri giudici rimettenti è stata ritenuta, invece, fondata, in particolare riferimento al parametro di cui all’art. 76 Cost., sotto il profilo del difetto di delega.
Ebbene è emerso con evidenza che la disciplina oggetto di censura – sotto numerosi profili “rivoluzionaria” sul piano del sistema civilistico vigente – si presentasse del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione: in riferimento
1) sia al relativo àmbito oggettivo;
2) sia alla sua riconducibilità agli stessi obiettivi perseguiti dalla delega.
Con la legge n. 42 del 2009, infatti – come emblematicamente enunciato dalla disposizione programmatica di cui all’art. 1, comma 1 –, il Parlamento ha inteso introdurre «disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese».
Accanto a ciò, l’obiettivo dichiarato era quello di disciplinare «i princípi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni», dettando «norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale».
Del tutto coerenti appaiono, quindi, «oggetto e finalità» della delega definiti dall’art. 2 della legge, ove si precisava, appunto, che l’esercizio della funzione legislativa era conferito «al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica».
Si trattava, dunque, di un àmbito normativo rispetto al quale il tema di cui alla disciplina denunciata risultava del tutto estraneo, essendo questa destinata ad introdurre una determinazione legale di elementi essenziali del contratto di locazione ad uso abitativo (canone e durata), in ipotesi di ritardata registrazione dei contratti o di simulazione oggettiva dei contratti medesimi, pur previste ed espressamente sanzionate nella disciplina tributaria di settore.
La tesi dell’Avvocatura generale, secondo cui un principio della delega sarebbe stato ricavabile dall’art. 26 della legge, in tema di contrasto all’evasione fiscale, che – specificando quanto previsto all’art. 2, comma 2, lettera d) – evocava, al comma 1, lettera b) «forme premiali per gli enti territoriali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggiore gettito» non è stata ritenuta condivisibile.
Per la Corte il tema della lotta all’evasione fiscale, che costituiva un chiaro obiettivo dell’intervento normativo in discorso, non poteva essere configurato anche come criterio per l’esercizio della delega: il quale, per definizione, deve indicare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti. Né il riferimento alle «forme premiali» poteva ritenersi in alcun modo correlabile con il singolare meccanismo “sanzionatorio” oggetto di censura.
Del resto – e come puntualmente messo in evidenza dai giudici di primo grado – nella citata legge di delegazione si formulava un preciso enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabile quale principio e criterio direttivo generale, secondo il quale – nel richiamare (art. 2, comma 2, lettera c), «razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso» (compresi, dunque, i profili di carattere sanzionatorio ed i “rimedi” tecnici tesi a portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione) – espressamente prescriveva di procedere all’esercizio della delega nel «rispetto dei princípi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212».
Statuto che, a sua volta prevede, all’art. 10, comma 3, ultimo periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto»: con l’ovvia conseguenza che, tanto più, la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata.
Mentre, con due pronunce del 17 settembre 2015 le Sezioni Unite
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 17 settembre 2015, n. 18213
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 17 settembre 2015, n. 18214
compulsate, come già scritto, sia dall’ordinanza n. 37 del 2014 che da quella n. 20480 del 2014, hanno definitivamente [si spera] statuito sulla invalidità dei contratti non aventi la forma scritta e la mancata registrazione del contratto [anche tardiva] e della scrittura privata collegata avente un canone superiore [utilizzata nella prassi ].
A seguito della richiesta di revirement dalla III^ sezione con l’ordinanza n. 37, come già menzionata in precedenza, avendo evidenzianto la necessita’ di rimeditare l’orientamento espresso da Cass. 16089 del 2003, secondo cui, in tema di locazioni abitative, la Legge 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13, comma 1, nel prevedere la nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore, al comma 2, l’azione di ripetizione), non si riferisce all’ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo (ne’ a quella della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacche’, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell’adempimento fiscale), non puo’ sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullita’ la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata. La nullita’ prevista dal citato articolo 13, comma 1, e’ volta piuttosto a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone piu’ elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (descritto, come impone, a pena di nullita’, l’articolo 1, comma 4, della medesima legge, e registrato, in conformita’ della regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti di locazione indipendentemente dall’ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della invariabilita’, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato nel contratto (salva la previsione di forme di aggiornamento, come quelle ancorate ai dati Istat), con la prima pronuncia le Sezioni Unite, dopo ampio ragionamento, al quale si rimanda alla lettura integrale della sentenza, non dando ulteriore seguito all’interpretazione della norma adottata dalla Corte con la piu’ volte ricordata sentenza n. 16089 del 2003 hanno affermato il seguente principio:
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998, in ipotesi di locazione ad uso abitativo registrata per un canone inferiore al reale, il contratto resta valido per il canone apparente, mentre l’accordo simulatorio relativo al maggior canone è affetto da nullità, insanabile dall’eventuale registrazione tardiva.
Alla seconda adunanza plenaria, con l’ordinanza n. 20480, veniva chiesto, inoltre, se, in materia di locazioni abitative, l’art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998, nella parte in cui prevede che “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”, prescriva il requisito della forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, e, nel primo caso, se l’eventuale causa di nullità sia riconducibile alla categoria delle nullità di protezione alla luce della disposizione di cui all’art. 13, comma 5 della stessa legge, a mente del quale “Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti”.
A tale quesito si è risposto con il seguente principio che si ricava sul punto: in tema di contratti di locazione ad uso abitativo è necessaria la forma scritta ad essentiam, limitando la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all’art. 13, comma 5 della L. n. 431 del 1998, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente. Il conduttore potrebbe, cioè far valere egli solo la nullità qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria posizione dominante all’interno di un rapporto giocoforza asimmetrico. Il giudice dovrà pertanto accertare, da un canto, l’esistenza del contratto di locazione stipulato verbalmente in violazione dell’art. 1, comma 4, della L. n.431 del 1998, e, dall’altro, la circostanza che tale forma sia stata imposta da parte del locatore e subita da parte del conduttore contro la sua volontà, così determinando ex tunc il canone dovuto nei limiti di quello definito dagli accordi delle associazioni locali della proprietà e dei conduttori ai sensi del comma 3 dell’articolo 2, con il conseguente diritto del conduttore alla restituzione della eccedenza pagata. La nullità di protezione, e le relative conseguenze, sarà pertanto predicabile solo in presenza dell’abuso, da parte del locatore, della sua posizione “dominante”, imponendosi il tal caso, e solo in esso, a causa della eccessiva asimmetria negoziale, un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole. In concreto, sarà pertanto necessario che il locatore ponga in essere una inaccettabile pressione (una sorta di violenza morale) sul conduttore al fine di costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale, mentre, nel caso in cui tale forma sia stata concordata liberamente tra le parti (o addirittura voluta dal conduttore), torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità. Il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone “concordato” – poiché la restituzione dell’intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell’occupante.
Dopo le sezioni Unite è intervenuta anche altra sezione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5794.
andando a spiegare i principi stabiliti nella sentenza sopra richiamata, ovvero:
il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta L. n. 431 del 1998, ex articolo 1, comma 4, e’ affetto da nullita’ assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, attesa la “ratio” pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale, con la sola eccezione dell’ipotesi prevista dal successivo articolo 13, comma 5, in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto e’ affetto da nullita’ relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore.
Le S.U. hanno distinto tra: 1) l’ipotesi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di fatto abusivamente imposto, mediante coazione idonea ad influenzare il processo di formazione della volonta’ del conduttore, condizionando alla forma verbale l’instaurazione del rapporto di locazione in violazione della L. n. 431 del 1998, articolo 1, comma 4); 2) contratto la cui forma verbale sia stata liberamente concordata tra le parti.
Solo nel primo caso il conduttore puo’ chiedere: a) la riconduzione del contratto a condizioni conformi (articolo 2, comma 3), e cioe’ a quanto previsto in relazione ad accordi definiti ai sensi dell’articolo 2, comma 3 dalle associazioni locali della proprieta’ e degli inquilini, ovvero ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3; b) la restituzione dell’eccedenza pagata rispetto al dovuto in base a quanto previsto dai suindicati accordi.
Ergo, il giudice deve (anche d’ufficio): 1) accertare l’esistenza del contratto stipulato verbalmente in violazione dell’articolo 1, comma 4; 2) accertare che la forma verbale sia stata “imposta” dal locatore al conduttore; 3) determinare il canone dovuto (ex tunc) alla stregua dei suindicati accordi di categoria.
Per l’ipotesi di contratto a forma verbale liberamente concordata tra locatore e conduttore le S.U. hanno affermato che: 1) trovano applicazione i principi generali in tema di nullita’, anziche’ la disciplina speciale dedotta dalla L. n. 431 del 1998; 2) il locatore puo’ agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo; 3) il conduttore puo’ ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone in misura eccedente quella del canone concordato.
Successivamente, tornando al quadro normativo abbandonato in precedenza, anche a seguito delle pronunce delle sezioni unite, con un nuovo intervento, Legge di Stabilità 2016 – art. 1, comma 59, L. 28.12.2015, n. 208 con decorrenza dal 01.01.2016, il Legislatore ha modificato l’art. 13, legge n. 431/1998 “Patti contrari alla legge” andando ad inserire importanti novità.
1. È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. È fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio, anche ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130, numero 6), del codice civile.
2. Nei casi di nullità di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato.
3. È nulla ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente legge.
4. Per i contratti di cui al comma 3 dell’articolo 2 è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie. Per i contratti stipulati in base al comma 1 dell’articolo 2, è nulla, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito.
5. Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall’articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato.
6. Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi all’autorità giudiziaria, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è, altresì, consentita nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. Nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il giudice determina il canone dovuto, che non può eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati. L’autorità giudiziaria stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti.
7. Le disposizioni di cui al comma 6 devono ritenersi applicabili a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall’entrata in vigore della presente legge.
8. I riferimenti alla registrazione del contratto di cui alla presente legge non producono effetti se non vi è obbligo di registrazione del contratto stesso.
Altra pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 aprile 2016, n. 7634
riprende appieno i principi già stabiliti dalle sezioni unite secondo cui in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non e’ sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validita’ civilistica.
Ancora, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 31 gennaio 2017, n. 2368
ha riaffermato che la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, sanziona il patto occulto di maggiorazione del canone, che, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità dell’atto. Consegue che resta valido il solo contratto registrato ed quindi dovuto solamente il canone apparente.
In particolare, è stata disattesa, dalle sezioni unite, l’interpretazione secondo cui soltanto all’esito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, la norma tributaria sarebbe stata elevata al rango di norma imperativa, con conseguente nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. in caso di relativa violazione. Nella specie, va dunque dichiarata la nullità del patto contenente la previsione di un canone di locazione maggiore di quello risultante dal contratto registrato.
Infine, ultima pronuncia
Cassazione, civile, Ordinanza|30 marzo 2023| n. 8968.
in ordine alla registrazione “sanante” ha così statuito qualora le parti concludano un primo contratto di locazione immobiliare senza provvedere alla sua registrazione e, poi, un altro contratto immediatamente registrato e indicante un canone inferiore, la tardiva registrazione del contratto originario, successiva a quella del secondo, non può avere l’effetto di sanarne l’invalidità – perché, altrimenti, il tardivo adempimento dell’obbligo fiscale opererebbe in danno del conduttore – con la conseguenza che solo il contratto posteriore è idoneo a regolare il rapporto corrente tra le parti.
E) La denunzia all’autorità locale di pubblica sicurezza
Ai sensi del D.L. 21/3/1978, n. 59, conv. in L. 18/5/1978, n. 191, chiunque cede la proprietà o il godimento o a qualunque altro titolo consente, per un tempo superiore a un mese, l’uso esclusivo di un fabbricato o di parte di esso ha l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro quarantotto ore dalla consegna dell’immobile, la sua esatta ubicazione, nonché le generalità dell’acquirente, del conduttore o della persona che assume la disponibilità del bene e gli estremi del documento di identità o di riconoscimento, che deve essere richiesto all’interessato.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 7 D.Lgs. 25/7/1998, n. 286, chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, o lo assume per qualsiasi causa alle proprie dipendenze ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all’autorità locale di pubblica sicurezza.
In realtà tale mancato onere comunque non determina una responsabilità penale in merito al favoreggiamento di soggetti clandestini nello Stato Italiano, difatti per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 giugno 2013 n. 26457
L’integrazione del reato necessita dell’elemento soggettivo del dolo specifico, e cioè dalla sussistenza in capo all’agente del fine di trarre un profitto ingiusto.
In questo senso la Cassazione, come già scritto in precdenza in merito alla figura del locatore, aveva già affermato che ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini, nell’ipotesi di rapporto contrattuale instaurato con essi, occorre accertare la sussistenza, in capo all’agente, del dolo specifico, consistente nella finalità di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero clandestino
La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l’esatta ubicazione dell’immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160,00 a 1.100,00 Euro.
La comunicazione può essere effettuata anche a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (ai fini dell’osservanza dei termini vale la data della ricevuta postale) e chi contravviene è soggetto alla sanzione amministrativa – applicata dal Sindaco – da Euro 103,00 a Euro 1549,00, facendosi in tal caso applicazione delle norme relative all’introduzione dell’Euro che in materia di conversione in Euro degli importi delle sanzioni amministrative in Lire prevedono la doppia regola dell’arrotondamento e del troncamento (art.51 D. Lgs. 24/6/1998, n. 213, nonché circolare del Ministero dell’Interno 29/11/2001, n. 82).
La disposizione dell’art. 12 della legge 18 maggio 1978, n. 191 (di conversione del D.L. 21 marzo 1978, n. 59) che impone l’obbligo di comunicazione per tutte le cessioni dell’uso esclusivo di un fabbricato per la durata superiore ad un mese, qualunque siano le caratteristiche dei soggetti beneficiari di detto uso, ancorché introdotta come misura di lotta contro il terrorismo, non richiede il pericolo per la sicurezza pubblica quale elemento della fattispecie illecita configurata dalla disposizione medesima, onde resta priva di rilievo la circostanza che tale pericolo non possa determinarsi nella situazione concreta[59].
Su giusta segnalazione di un attento lettore (Franco Dall’Aglio), in tema, si riporta un’integrazione attuata con la legge 131/2012 di conversione del decreto legge 79/2012
Art. 2: Comunicazione della cessione di fabbricati
1. La registrazione dei contratti di locazione e dei contratti di comodato di fabbricato o di porzioni di esso, soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso, ai sensi del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, assorbe l’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191. 2. L’Agenzia delle entrate, sulla base di apposite intese con il Ministero dell’interno, individua, nel quadro delle informazioni acquisite per la registrazione nel sistema informativo dei contratti di cui al comma 1, nonche’ dei contratti di trasferimento aventi ad oggetto immobili o comunque diritti immobiliari di cui all’articolo 5, commi 1, lettera d), e 4 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, quelle rilevanti ai fini di cui all’articolo 12 del decreto-legge n. 59 del 1978, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 1978, e le trasmette in via telematica, al Ministero dell’interno. 3. Nel caso in cui venga concesso il godimento del fabbricato o di porzione di esso sulla base di un contratto, anche verbale, non soggetto a registrazione in termine fisso, l’obbligo di comunicazione all’autorita’ locale di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 maggio 1978, n. 191, puo’ essere assolto anche attraverso l’invio di un modello informatico approvato con decreto del Ministero dell’interno, adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che ne stabilisce altresi’ le modalita’ di trasmissione. 4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano per la comunicazione all’autorita’ di pubblica sicurezza, di cui all’articolo 7 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per la quale resta fermo quanto ivi previsto. Con il decreto di cui al comma 3 sono definite le modalita’ di trasmissione della predetta comunicazione anche attraverso l’utilizzo di un modello informatico approvato con il medesimo decreto. 5. L’articolo 3, comma 3, primo periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e’ soppresso. Al medesimo articolo 3, comma 6, primo periodo, le parole: «ai commi da 1 a 5» sono sostituite dalle seguenti: «ai commi 1, 2, 4 e 5». 6. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
F) Certificato APE
Con il DECRETO-LEGGE 4 giugno 2013, n. 63, modificativo del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2013, n. 90 è stato previsto all’art. 6 (modificazioni al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, in materia di attestato di prestazione energetica, rilascio e affissione), per i contratti successivi all’entrata in vigore, l’allegazione del certificato APE ai fini della validità del contratto.
– 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’attestato di prestazione energetica degli edifici e’ rilasciato, per gli edifici o le unita’ immobiliari costruiti, venduti o locati ad un nuovo locatario e per gli edifici indicati al comma 6. Gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, sono dotati di un attestato di prestazione energetica (prima del rilascio del certificato di agibilita’).
Nel caso di nuovo edificio, l’attestato e’ prodotto a cura del costruttore, sia esso committente della costruzione o societa’ di costruzione che opera direttamente.
Nel caso di attestazione della prestazione degli edifici esistenti, ove previsto dal presente decreto, l’attestato e’ prodotto a cura del proprietario dell’immobile.
2. Nel caso di vendita (di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o di nuova locazione di edifici o unita’ immobiliari, ove l’edificio o l’unita’ non ne sia gia’ dotato, il proprietario e’ tenuto a produrre l’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1. In tutti i casi, il proprietario deve rendere disponibile l’attestato di prestazione energetica al potenziale acquirente o al nuovo locatario all’avvio delle rispettive trattative e consegnarlo alla fine delle medesime; in caso di vendita o locazione di un edificio prima della sua costruzione, il venditore o locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica dell’edificio e produce l’attestato di prestazione energetica (entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilità).
3. Nei contratti di vendita (negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unita’ immobiliari e’ inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici. (3-bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullita’ degli stessi contratti).
4. L’attestazione della prestazione energetica puo’ riferirsi a una o piu’ unita’ immobiliari facenti parte di un medesimo edificio. L’attestazione di prestazione energetica riferita a piu’ unita’ immobiliari puo’ essere prodotta solo qualora esse abbiano la medesima destinazione d’uso, (la medesima situazione al contorno, il medesimo orientamento e la medesima geometria e) siano servite, qualora presente, dal medesimo impianto termico destinato alla climatizzazione invernale e, qualora presente, dal medesimo sistema di climatizzazione estiva.
5. L’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1 ha una validita’ temporale massima di dieci anni a partire dal suo rilascio ed e’ aggiornato a ogni intervento di ristrutturazione o riqualificazione che modifichi la classe energetica dell’edificio o dell’unita’ immobiliare. La validita’ temporale massima e’ subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica (dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici), comprese le eventuali necessita’ di adeguamento, previste (dai regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 75). Nel caso di mancato rispetto di dette disposizioni, l’attestato di prestazione energetica decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui e’ prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza energetica. A tali fini, i libretti di impianto previsti dai decreti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), sono allegati, in originale o in copia, all’attestato di prestazione energetica.
6. Nel caso di edifici utilizzati da pubbliche amministrazioni e aperti al pubblico con superficie utile totale superiore a 500 m², ove l’edificio non ne sia gia’ dotato, e’ fatto obbligo al proprietario o al soggetto responsabile della gestione, di produrre l’attestato di prestazione energetica entro (centottanta giorni) dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e di affiggere l’attestato di prestazione energetica con evidenza all’ingresso dell’edificio stesso o in altro luogo chiaramente visibile al pubblico. A partire dal 9 luglio 2015, la soglia di 500 m² di cui sopra, e’ abbassata a 250 m². Per gli edifici scolastici tali obblighi ricadono sugli enti proprietari di cui all’articolo 3 della legge 11 gennaio 1996, n. 23.
Le modifiche apportate dalla L. 3 agosto 2013, n. 90
All’articolo 6, comma 1, capoverso Art. 6:
al comma 1, le parole da: «L’attestato» fino a: «e’ rilasciato» sono sostituite dalle seguenti: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’attestato di prestazione energetica degli edifici e’ rilasciato» e le parole: «al termine dei lavori» sono sostituite dalle seguenti: «prima del rilascio del certificato di agibilita’»;
al comma 2, nel primo periodo, dopo la parola: «vendita» sono inserite le seguenti: «di trasferimento di immobili a titolo gratuito» e, nell’ultimo periodo, le parole: «congiuntamente alla dichiarazione di fine lavori» sono sostituite dalle seguenti: «entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilita’»;
al comma 3, dopo la parola: «vendita» sono inserite le seguenti: «negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito»; dopo il comma 3 e’ inserito il seguente: «3-bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullita’ degli stessi contratti»;
al comma 4, dopo le parole: «destinazione d’uso,» sono inserite le seguenti: «la medesima situazione al contorno, il medesimo orientamento e la medesima geometria e»;
al comma 5, secondo periodo, le parole: «degli impianti termici» sono sostituite dalle seguenti: «dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici» e le parole da: «dal decreto» fino alla fine del periodo sono sostituite dalle seguenti: «dai regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 75»;
al comma 6, le parole: «centoventi giorni» sono sostituite dalle seguenti: «centottanta giorni»; dopo il comma 6 e’ inserito il seguente: «6-bis. Il fondo di garanzia di cui all’articolo 22, comma 4, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e’ utilizzato entro i limiti delle risorse del fondo stesso anche per la copertura delle spese relative alla certificazione energetica e agli adeguamenti di cui al comma 6 del presente articolo»; al comma 8, le parole: «l’indice di prestazione energetica dell’involucro edilizio e globale» sono sostituite dalle seguenti: «gli indici di prestazione energetica dell’involucro e globale»; al comma 11, le parole: «rilascio della prestazione energetica» sono sostituite dalle seguenti: «rilascio dell’attestato di prestazione energetica» e le parole: «sistema di attestazione energetica» sono sostituite dalle seguenti: «sistema di certificazione energetica»; al comma 12, alinea, le parole: «pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153» sono sostituite dalle seguenti: «pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 158».
G) L’oggetto
Anche per la locazione può distinguersi un oggetto immediato ed un oggetto mediato.
Per quanto riguarda l’oggetto mediato, può costituire oggetto della locazione ogni cosa mobile o immobile, purché abbia i requisiti tipici previsti dall’art. 1346: possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità.
A seconda dell’oggetto del contratto, si suole distinguere quattro tipologie di locazione:
a) locazione di mobili;
b) locazione di immobili urbani;
c) locazione di immobili non urbani;
d) locazione di beni produttivi, più propriamente definita “affitto”.
È, invece, discusso se possono costituire oggetto i beni immateriali: prevale la tesi negatrice[60], la quale si basa sul rilievo che non può parlarsi di vera e propria locazione, perché il modo di essere di questi beni li rende in suscettibili ad essere goduti attraverso un rapporto diretto ed immediato, potendo essere goduti soltanto attraverso la loro diffusione. Ma il problema non sorge, in concreto, perché queste utilizzazioni sono espressamente regolate sia dal codice (artt. 2575 – 2594 e 2563 – 2574) che da leggi speciali, le quali hanno dato vita a specifiche forme contrattuali.
Non è possibile, inoltre, che il contratto di locazione abbia ad oggetto, invece di un bene, un diritto.
Possono, invece, essere oggetto di locazione:
A) locazione di beni futuri (ti do in locazione il magazzino che costruirò sul fondo Tuscolano), in tal caso l’efficacia del contratto è posticipata e condizionata dal venire ad esistenza della cosa locata;
B) locazione di bene altrui, , se poi le parti, nella conclusione del contratto, hanno fatto espresso riferimento al bene altrui, si avrà un’ipotesi di promessa di un’obbligazione del terzo, prevista e disciplinata dall’art. 1381.
Inoltre, come da ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 marzo 2016, n. 4902
facendo proprio l’orientamento precedente e meaggioritario, è stato affermato che i beni demaniali ben possono formare oggetto di diritti obbligatori tra privati e, quindi, anche di locazione ed il carattere eventualmente abusivo dell’occupazione da parte del locatore del terreno demaniale non comporta l’invalidità del contratto di locazione del bene che vincola reciprocamente le parti contraenti all’adempimento delle obbligazioni assunte.
Il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dei beni immobili — ovvero alla abitabilità dei medesimi — non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio[61], sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene, mentre, nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d’uso convenuta sia stato negato (con conseguente inidoneità dell’immobile ad assolvere allo scopo convenuto), al conduttore è riconosciuta la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto.
Per una pronuncia della S.C.[62], però, qualora le parti perseguano il risultato vietato dall’ordinamento non attraverso la combinazione di atti di per sé leciti ma mediante la stipulazione di un contratto la cui causa concreta si ponga direttamente in contrasto con le disposizioni urbanistiche e, in particolare, con i vincoli di destinazione posti dal locale piano regolatore, il contratto stipulato è nullo ai sensi dell’art. 1343 cod. civ. (per violazione, appunto, di disposizioni imperative) e non ai sensi dell’art. 1344 cod. civ.
I giudici di legittimità hanno osservato che i vincoli di destinazione dei terreni preordinati a determinati scopi costituiscono «un limite alla proprietà terriera privata conforme al dettato costituzionale, essendo essi volti a conseguire il razionale sfruttamento del suolo» e alla promozione di «equi rapporti sociali». Da tale ragionamento consegue che i vincoli posti dalle norme urbanistiche – leggi speciali, regolamenti edilizi comunali e piani regolatori – rilevano anche nei rapporti tra privati.
A sostegno di tale ragionamento i giudici citano anche una risalente pronuncia delle Sezioni Unite[63], nella quale è affermato che «la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa e inderogabile» anche nei rapporti privatistici. Peraltro, va rilevato che nella pronuncia del 1984 la Corte faceva riferimento all’art. 18 della legge 765/1967 in tema di destinazione dei parcheggi nelle nuove costruzioni: una norma settoriale, dalla quale si fa ora discendere un principio generale.
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 21 agosto 2020, n. 17557.
ha avuto modo anche di precisare che in tema di locazione di immobile ad uso abitativo, atteso che il modo di atteggiarsi dei beni abusivi non può di per sé solo valere ad integrare le vietate ipotesi d’illiceità o d’impossibilità dell’oggetto ovvero d’illiceità della prestazione o della causa, il carattere abusivo dell’immobile o la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 cod. civ. (che riguarda la prestazione) o della causa del contratto ex art. 1343 cod. civ. (che attiene al contrasto con l’ordine pubblico), né potendo operare la nullità ex art. 40 della legge n. 47 del 1985 (che riguarda solo vicende negoziali con effetti reali): ne consegue l’obbligo del conduttore di pagare il canone anche con riferimento alla locazione di un immobile avente i caratteri suddetti.
Ancora sul punto la Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 dicembre 2021| n. 41744.
ha di nuovo chiarito che in tema non di mancanza in astratto delle qualita’ dell’oggetto del contratto rispetto a quelle rappresentate (v., condivisibilmente sul punto, Cass. ord., 13/06/2018, n. 15378) ed evidenziandosi che il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (v. da ultimo Cass. 21/08/2020, n. 17557), al quale va data continuita’ in questa sede, proprio sul rilievo della diretta inerenza della nozione di “vizio” della cosa locata (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1578 c.c.) alla struttura materiale del bene, ha escluso dal tema dei vizi della cosa (oltre che da quello sulla validita’ contrattuale) tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa, in se’ considerata (ossia, secondo la propria destinazione economica), o in conformita’ all’uso convenuto tra le parti, dovendo tale questione integralmente risolversi sul terreno dell’adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti (v., da ultimo, Cass. 20/08/2018, n. 20796 e Cass. 26/07/2016, n. 15377) e non gia’ sul piano dei vizi della cosa locata, come pure un non trascurabile orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (Cass., ord., 13/06/2018, n. 15378, gia’ richiamata sotto altro profilo, e Cass. 7/06/2011, n. 12286) ha in piu’ occasioni (incondivisibilmente) ritenuto di poter fare.
8) La durata, la rinnovazione e l’estinzione del rapporto
art. 1573 c.c. durata della locazione: salvo diverse norme di legge, la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i 30 anni. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo è ridotta al termine stabilito.
In tema di durata della locazione la S.C.[64] ha stabilito che il limite massimo previsto dall’art. 1573 cod. civ. deve intendersi applicabile non solo quando sia stata pattuita sin dall’inizio una durata eccedente i trenta anni ma anche quando, pur pattuita una durata inferiore, sia stata in contratto altresì prevista la rinnovazione del rapporto per un numero indeterminato di volte, in quanto la pattuizione della rinnovazione è valida ed efficace soltanto nei limiti temporali del trentennio, altrimenti realizzandosi attraverso la pattuizione di successive rinnovazioni proprio ciò che la norma ha inteso escludere in occasione della prima stipulazione del rapporto, con conseguente elusione del divieto dalla stessa norma stabilito.
Pertanto, qualora le parti (come nel caso analizzato dalla Corte) abbiano inserito nel contratto la clausola secondo cui il locatore sia vincolato a non fare cessare il contratto alla scadenza se non per determinate proprie necessità, il decorso di un trentennio dal suo inizio comporta che, ove il rapporto alla scadenza si sia rinnovato per il periodo successivo, di esso ben può legittimamente darsi disdetta indipendentemente dal verificarsi delle indicate necessità.
art. 1572 c.c. locazioni e anticipazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione: il contratto di locazione per una durata superiore ai 9 anni è atto eccedente l’ordinaria amministrazione.
Sono altresì eccedenti l’ordinaria amministrazione le anticipazioni del corrispettivo della locazione per una durata superiore a un anno.
art. 1574 c.c. locazione senza determinazione di tempo: quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa s’intende convenuta:
1) se si tratta di case senza arredamento di mobili o di locali per l’esercizio di una professione, di un’industria o di un commercio, per la durata di un anno, salvi gli usi locali;
2) se si tratta di camere o di appartamenti mobiliati, per la durata corrispondente all’unità di tempo a cui è commisurata la pigione;
3) se si tratta di cose mobili, per la durata corrispondente all’unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo;
4) se si tratta di mobili forniti dal locatore per l’arredamento di un fondo urbano, per la durata della locazione del fondo stesso.
Nella disciplina del codice civile non esistono vere e proprie locazioni a tempo indeterminato[65], poiché tutte le locazioni hanno una durata: o quella fissata dai contraenti, o, in difetto, quella stabilita dall’art. 1574 cod. civ.
Pertanto, quando il locatore convenga in giudizio il conduttore per far valere pretese connesse ad una locazione di durata indeterminata (cioè, legale), e il conduttore eccepisca invece una locazione di durata convenzionale, il locatore-attore non è tenuto a fornire alcuna prova in ordine alla scadenza del contratto, in quanto il rapporto locatizio rispetto al quale non risulti obiettivamente dimostrata la fissazione di una data di scadenza è da ritenersi, ope legis, sottoposto alla durata legale, e il conduttore-convenuto non può validamente resistere alla pretesa se non provando l’esistenza di un termine di scadenza negoziale diverso da quello stabilito dalla legge.
In merito agli usi locali per la Corte di Cassazione[66] la disciplina di cui all’art. 1574, n. 1, c.c., a norma del quale, quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa, se si tratta di casa senza arredamento di mobili o di locali per l’esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, si intende convenuta per la durata di un anno, salvi gli usi locali, si riferisce tanto agli usi che prevedono una diversa durata del rapporto quanto a quelli che prevedono una diversa scadenza, con la conseguenza che, nel caso di tacita riconduzione di una casa senza arredamento, la nuova scadenza della locazione, che, ove non sia applicabile la legge sull’equo canone, ha la durata prevista dall’art. 1574 cod. civ., espressamente richiamato dall’art. 1597 dello stesso codice, deve essere determinata in coincidenza con la data della locale scadenza consuetudinaria, ove di essa sia accertata l’esistenza.
A) Scadenza del termine
Il codice prevede, per la durata del contratto di locazione un termine convenzionale ed un termine legale.
art. 1596 c.c. fine della locazione per lo spirare del termine: la locazione per un tempo determinato dalle parti (termine convenzionale) cessa con lo spirare del termine, senza che sia necessaria la disdetta.
(termine legale) La locazione senza determinazione di tempo non cessa, se prima della scadenza stabilita a norma dell’art. 1574 una delle parti non comunica all’altra disdetta nel termine o, in mancanza, di quello determinato dalle parti o dagli usi.
La locazione a tempo determinato si estingue, senza bisogno di preventiva disdetta, con lo spirare del termine, salvo che intervenga una tacita rinnovazione del contratto costituita da un nuovo negozio giuridico bilaterale posto in essere attraverso la permanenza del conduttore nella detenzione della cosa dopo la scadenza del termine ed il silenzio del locatore[67].
B) Disdetta
[68]
E’ un negozio unilaterale recettizio a forma libera e perciò sufficiente anche una comunicazione verbale, purché inequivocabilmente idonea a manifestare alla controparte la volontà di non rinnovare il contratto alla scadenza.
Per una pronuncia della S.C.[69] la disdetta, che il locatore comunica al conduttore per la cessazione del rapporto di locazione, costituisce atto unilaterale recettizio, il quale, ai sensi dell’art. 1335 cod. civ, deve presumersi conosciuto nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, se questi non provi di essere stato, senza colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Al fine di applicare la presunzione di conoscenza dell’atto recettizio, per indirizzo del destinatario si intende qualunque suo recapito che, in ragione di un collegamento ordinario o di una normale frequenza o di una preventiva indicazione o pattuizione, rientri nella sua sfera di dominio e di controllo[70] .
Sul punto ultima Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 giugno 2022| n. 19824
ha riaffermato che ladisdetta del contratto di locazione, quale atto negoziale unilaterale e recettizio, adempiendo alla fuzione di impedire la prosecuzione di un rapporto contrattuale, è soggetta alla disciplina prevista dagli artt. 1334 e 1335 c.c. e in base a tale ultima disposizione essa si reputa conosciuta quando giunge all’indirizzo del destinatario, senza che siano rilevanti le modalità di esercizio, salvo che il destinatario non provi di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di averne avuto notizia. Quindi, per rendere efficace la cessazione del contratto di locazione è sufficiente che la disdetta venga recapitata dall’agente postale all’indirizzo della parte conduttrice, «poiché in tal modo si concreta la possibilità per il destinatario di venire a conoscenza della missiva».
Le modalità della disdetta del contratto di locazione, che siano indicate nel contratto medesimo (nella specie, lettera raccomandata con ricevuta di ritorno), non possono integrare una forma convenzionale ad substantiam, e, pertanto, non ostano a che l’atto possa giungere all’indirizzo del destinatario con mezzi equipollenti (nella specie, raccomandata semplice), ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 1335 cod. civ.[71]
Nella pratica, però, essa viene effettuata con lettera raccomandata.
Per la S.C.[72] la disdetta relativa al contratto di locazione costituisce atto negoziale unilaterale e recettizio, espressione di diritto potestativo attribuito ex lege, concretantesi in una manifestazione di volontà diretta ad impedire la prosecuzione o la rinnovazione tacita del rapporto locativo.
In particolare, la disdetta ha l’unica funzione di comunicare la volontà del concedente di impedire la prosecuzione della locazione; pertanto, è irrilevante l’eventuale erroneità dell’indicazione della data di cessazione del rapporto e la stessa conserva l’efficacia di produrre il medesimo effetto per altra scadenza successiva, poiché tale risultato è conforme alla volontà della parte[73] .
Pur prevedendo l’art. 3 della legge n. 392 del 1978 (abrogato successivamente dall’art. 14 della legge n. 431 del 1998) che la disdetta debba essere comunicata con lettera raccomandata, tuttavia tale forma non è prescritta a pena di nullità (nemmeno desumibile in via interpretativa), ragion per cui può essere comunicata in qualsiasi modo, purché idoneo a portare a conoscenza del conduttore l’inequivoca volontà del locatore di non rinnovare il rapporto alla scadenza.
Sulla scorta di tali principi è possibile, quindi, che la disdetta sia contenuta in un atto processuale come l’intimazione di sfratto per finita locazione, nel quale, però, a tal fine, deve essere espressa chiaramente e senza possibilità di equivoci la suddetta volontà del locatore ovvero risultare che la stessa sia presupposta logicamente e giuridicamente.
La disdetta del contratto di locazione, vigendo – al di fuori del caso di forma scritta convenzionale di cui all’art. 1352 cod. civ. – il principio della libertà di forma, può essere contenuta anche in un atto processuale che presupponga la volontà del locatore di non rinnovare il contratto alla scadenza o che, comunque, esprima anche tale volontà, quale l’intimazione di licenza o sfratto per finita locazione o la citazione in giudizio; né rileva che non sia stata seguita sin dall’inizio la procedura di diniego di rinnovo di cui all’art. 30 della legge n. 392 del 1978, prevista dall’art. 3 della legge n. 431 del 1998, e che l’atto processuale si riferisca ad una scadenza già verificatasi, applicandosi, altresì, il principio secondo cui la disdetta e l’intimazione, in esso contenute, inidonee, per inosservanza del termine, a produrre la cessazione della locazione per la scadenza indicata, hanno l’efficacia di produrla per la scadenza successiva[74].
Inoltre per la medesima Corte[75] la disdetta del contratto di locazione, la quale può esser validamente effettuata anche da un mandatario in base ad incarico conferito verbalmente, ancorché intimata ad uno solo degli eredi del conduttore defunto è idonea a costituire in mora tutti gli altri eredi nella riconsegna dell’immobile alla scadenza del contratto.
In caso di più conduttori[76] la disdetta del locatore è efficace nei confronti di tutti i conduttori, ancorché intimata ad uno solo di essi[77].
Per la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 maggio 2014, n.10542
in tema di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, qualora sia stata inviata disdetta immotivata alla scadenza del secondo sessennio di durata del contratto, la richiesta da parte del locatore di adeguamento del canone sebbene in prossimità della scadenza è – indipendentemente dalla circostanza che l’effetto della provocazione della cessazione del rapporto non può risolversi unilateralmente dal locatore, essendo esso risolvibile solo per effetto di accordo negoziale espresso o tacito di entrambe le parti – un atto di per sé pienamente compatibile con il perdurare dell’effetto di cessazione del rapporto, in quanto risulta diretto soltanto ad assicurare che, qualora il conduttore non rilasci alla scadenza, nella misura del canone dovuto ai sensi dell’art. 1591 c.c. sia compreso l’adeguamento.
Si legge nella sentenza in commento che si deve partire dalla considerazione che il negozio di disdetta, quale atto unilaterale con cui il locatore può provocare alla scadenza del secondo sessennio di durata di una locazione ad uso diverso la cessazione della locazione senza motivazione, quale negozio unilaterale recettizio, una volta giunto a conoscenza (legale) del conduttore è idoneo a determinare l’effetto della cessazione della locazione con riferimento al momento in cui sopraggiunge la scadenza.
Il venir meno di tale efficacia determinativa della cessazione della locazione, comportando che, per effetto dell’esclusione del verificarsi di tale cessazione, il rapporto si intenda rinnovato come se la disdetta non fosse stata inviata, è un risultato che può essere determinato solo dal concorso della volontà sia dello stesso locatore sia dello stesso conduttore: la ragione è che, non essendovi alcuna norma che riconosca al locatore un potere unilaterale di revoca della disdetta una volta che essa abbia prodotto i suoi effetti (potere che, semmai, si può immaginare possibile fino a quando essa, pervenendo al conduttore, non sia divenuta efficace e non abbia coinvolto la sua sfera di interessi, cioè la sua posizione contrattuale) ed essendo dunque escluso una unilaterale incidenza sul rapporto, facendolo rivivere se già la cessazione è sopravvenuta, oppure, se essa non lo sia, impedendo che essa si verifichi per effetto della pregressa disdetta, cioè, nell’uno nell’altro caso, come se il negozio di disdetta non fosse stato compiuto, perché il rapporto si possa intendere, rispettivamente, ripristinato o proseguito in iure occorre una manifestazione di volontà negoziale bilaterale.
Tale volontà può manifestarsi:
a) attraverso un negozio formale nel quale le parti si danno atto che la disdetta deve intendersi priva di effetti, se la cessazione si sia verificata, ovvero inidonea a determinare la cessazione, se la relativa scadenza (per cui è stata inviata) non si sia ancora verificata, e che, dunque, il rapporto si deve o si dovrà considerare tacitamente rinnovato come lo sarebbe stato se la disdetta non fosse (mai) stata inviata e fosse scattata la tacita rinnovazione ai sensi della previsione di legge regolatrice, nella specie quella dell’art. 28, primo comma, della l. n. 392 del 1978;
b) oppure attraverso comportamenti significativi di natura negoziale tacita implicanti la concorde volontà delle parti di determinare quello stesso effetto.
- L’efficacia
La disdetta ha la funzione di impedire la prosecuzione del contratto di locazione, non di determinare la cessazione del rapporto prima della scadenza, sicché essa, quando sia stata intimata per un termine di scadenza anteriore, vale per il termine successivo, non ostando alla sua efficacia la relativa incidenza del maggiore intervallo temporale[78].
C) Rinnovazione tacita
art. 1597 c.c. rinnovazione tacita del contratto: la locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata la disdetta a norma dell’art. precedente. La nuova locazione è regolata dalle stesse condizioni della precedente, ma la sua durata è quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
Se è stata data licenza, il conduttore non può opporre la tacita rinnovazione, salvo che consti la volontà del locatore di rinnovare il contratto.
L’interpretazione di questa norma ha dato luogo a due contrastanti opinioni:
A) teoria soggettiva[79] –– esige per la rinnovazione una manifestazione di volontà, anche tacita, da parte del locatore o quantomeno un suo contegno univoco dal quale possa desumersi l’esistenza di un nuovo accordo negoziale volto a far sopravvivere il contratto ormai estinto per scadenza del termine (nella locazione a tempo determinato) o per mancata disdetta (locazione a tempo indeterminato);
B) teoria oggettiva[80] – secondo la quale, la fattispecie dell’art. 1597 configura un’ipotesi di dichiarazione tipica, figura che ricorre quando la legge attribuisce, invariabilmente per ogni caso concreto, al comportamento inattivo o attivo di un determinato soggetto un significato dichiarativo predeterminato. Basta, infatti, la semplice inerzia del locatore che sarebbe priva ex se (ossia senza l’intervento del legislatore) di ogni valore giuridico.
Per la giurisprudenza[81] maggioritaria la rinnovazione tacita del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1597 cod. civ., postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto.
Mentre[82], secondo un’unica voce fuori dal coro, la volontà espressa dal locatore di non rinnovare il contratto di locazione alla scadenza comporta l’esaurimento dell’efficacia del contratto alla predetta data, che può essere superato soltanto mediante la manifestazione di una concorde volontà contraria rivolta alla costituzione di un nuovo rapporto, con l’ulteriore conseguenza che in caso di mancata dichiarazione di volontà da parte del locatore può trovare applicazione la rinnovazione tacita prevista dall’art. 1597 cod. civ., per il caso in cui dopo la scadenza il conduttore sia rimasto nel godimento dell’immobile per un apprezzabile periodo di tempo.
Per ultima Cassazione[83], ai fini della rinnovazione tacita del contratto di locazione occorre che dall’univoco comportamento tenuto da entrambe le parti, dopo la scadenza del contratto medesimo, possa desumersi la loro implicita ma inequivoca volontà di mantenere in vita il rapporto locativo.
Ne consegue che detta rinnovazione non può dedursi dal totale silenzio serbato dal conduttore dopo la disdetta o dalla permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine contrattuale o, ancora, dall’accettazione dei canoni da parte del locatore.
In forza del principio enunciato dalla giurisprudenza maggioritaria – ovvero, si ripete ancora una volta, che la rinnovazione tacita del contratto di locazione non è desumibile dal solo fatto della permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine, ma occorre che dall’univoco comportamento tenuto dalle parti dopo la scadenza del contratto possa desumersi la tacita volontà di entrambe di mantenere in vita il rapporto locativo – la S.C.[84], ha cassato una sentenza che aveva ritenuto tacitamente rinnovato il contratto per il solo fatto che il locatore aveva accettato i canoni versati dal conduttore successivamente alla scadenza del contratto, rilevando che era stato, invece, accertato che tale accettazione era avvenuta «come corrispettivo della ritardata restituzione dell’immobile» e, dunque, come adempimento dell’obbligazione posta a carico del conduttore ex art. 1591 cod. civ.).
Principio ripreso da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 ottobre 2014, n. 22234
- Rapporto con la novazione
Mentre la rinnovazione tacita del contratto di locazione dà luogo ad un altro rapporto di contenuto identico a quello già in vigore, la novazione dà vita ad un rapporto diverso da quello cessato, le cui clausole non possono intendersi riportate nel nuovo rapporto se non espressamente richiamate.
L’accertamento circa la volontà delle parti — diretta alla rinnovazione ovvero alla novazione — è demandato al giudice del merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto sulla seconda parte[85].
Ad esempio[86] le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per sé indice della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione o di modalità non rilevanti. Inoltre, la novazione deve essere connotata non solo dall’aliquid novi, ma anche dagli elementi dell’animus novandi inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo, e della causa novandi intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo.
La novazione oggettiva del contratto di locazione va ravvisata nella sola ipotesi in cui le parti sostituiscono all’originaria obbligazione una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, purché risulti in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e di sostituirla con una nuova, mentre non può presumersi la novazione del contratto in caso di mera adesione del conduttore ad una proposta del locatore di aumento del canone, laddove restino inalterati tutti gli altri elementi del rapporto e manchi l’espressa manifestazione di una volontà novativa[87].
- La legislazione speciale
Sul tema si rinvia al par.fo 15, lettera B (Rinnovo), pag. 143
D) Estinzione
Uno dei casi disciplinati dalla S.C.[88] discende dalla fattispecie prevista dall’art. 1588 c.c.[89] secondo il quale la totale distruzione dell’immobile locato a seguito di incendio comporta, secondo i principi generali, l’estinzione del rapporto di locazione per la impossibilità del conduttore di continuare a godere del bene locato, ed inoltre l’obbligo del conduttore di risarcire il danno conseguente al perimento del bene, a meno che non riesca a provare che l’immobile sia perito per causa a lui non imputabile; il danno risarcibile è comprensivo sia del danno emergente derivante dalla perdita o dal deterioramento della cosa locata, sia del lucro cessante; in relazione all’ammontare del risarcimento dovrà aversi riguardo alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alla scadenza contrattuale, nel senso che tale limite potrà essere superato solo se la restituzione (ancora possibile) dell’immobile sia stata successiva alla scadenza, ovvero il risarcimento potrà essere inferiore se la restituzione sia avvenuta in epoca precedente alla scadenza stessa, tenuto conto del fatto che la restituzione non necessariamente coincide con il limite temporale cui deve aversi riguardo ai fini della liquidazione del danno da lucro cessante, dovendo il giudice tener conto anche del tempo necessario al ripristino della cosa in modo che sia di nuovo idonea a fornire al locatore le utilità che poteva offrire prima che fosse danneggiata per fatto imputabile al conduttore.
9) Obblighi del locatore
art. 1575 c.c. obbligazioni principali del locatore: il locatore deve:
1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione
[90]
Per la S.C. (Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 16 aprile 2009, n. 9013, Corte di Cassazione 11075/2003) la consegna del bene al conduttore costituisce la prestazione fondamentale a cui e’ obbligato il locatore (articolo 1575 cod. civ., n. 1) per attuare il diritto al godimento del bene, scopo tipico e funzione del contratto di locazione (articolo 1571 cod. civ.), ed obbliga il conduttore alla sinallagmatica prestazione del corrispettivo di tale beneficio economico (che peraltro questi deve rendere possibile avendo l’obbligo di prendere in consegna la cosa: articolo 1587 cod. civ., n. 1). E poiche’ il succitato articolo 1575 cod. civ., n. 1, prescrive che la cosa sia consegnata in buono stato di manutenzione, questo deve esser rapportato all’uso convenuto in quanto soltanto siffatto adempimento consente l’effettivo godimento del bene. Logico corollario che ne consegue e’ che l’inadempimento all’obbligo di consegnare il bene legittima la domanda del conduttore di risoluzione del contratto senza doverne dimostrare l’importanza.
- Natura
La consegna costituisce un atto di adempimento del locatore e, in quanto tale, non ha natura negoziale, ma atto giuridico in senso stretto, con conseguente irrilevanza dell’incapacità dei vizi di volontà di chi l’effettua.
- Il modo, il luogo ed il tempo
Sono normalmente regolati dal contratto; in mancanza, troverà applicazione la normativa sull’adempimento in generale (art. 1176 – diligenza dell’adempimento – art. 1182 – luogo dell’adempimento – art. 1183 – tempo dell’adempimento).
La consegna deve essere reale, anche se può essere effettuata in forma simbolica (si pensi al caso della consegna delle chiavi).
Una deroga in merito alla consegna è stata prevista dalla Cassazione[91] secondo la quale l’art. 1575, n. 1, cod. civ., a norma del quale il locatore è obbligato a consegnare al conduttore la cosa locata, non si applica se le parti di un contratto di leasing stabiliscono invece che il fornitore, scelto dall’utilizzatore, deve consegnargli il bene che il concedente ha comprato per suo conto; né il rischio della mancata consegna di esso si trasferisce a quest’ultimo nel caso abbia ottenuto, a scopo di garanzia, dalle altre predette parti la sottoscrizione di un verbale di consegna indipendentemente da essa.
Tale obbligazione (consegna), qualificata come essenziale al tipo di contratto cui inerisce, non viene meno neppure nell’ipotesi in cui il conduttore non abbia aderito all’offerta di prendere visione del bene prima della conclusione del contratto[92].
Unitamente alla cosa principale dovranno essere consegnate:
1) le pertinenze
2) gli accessori
Agli obblighi, gravanti sul locatore ai sensi dell’art. 1575, n. 2, cod. civ., di mantenere l’appartamento locato in stato da servire all’uso convenuto e da riportare l’obbligo, assunto per contratto, di assicurare il servizio di portierato (da cui nasce una responsabilità del locatore per fatto dell’ausiliario: art. 1228 cod. civ.), giacché la nozione di cosa locata non può essere ristretta alla singola unità dell’edificio ma va estesa alle pertinenze, agli accessori ed ai servizi.
È tuttavia valido il patto che esonera il locatore dalla responsabilità per danni (ed è incensurabile l’interpretazione del giudice del merito che ritiene trattarsi di responsabilità non solo aquiliana ma anche contrattuale) derivati da fatto del portinaio o di un terzo, poiché tale patto preventivo di esonero non contrasta con obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (art. 1229 cpv. cod. civ.), ossia con l’obbligo del portinaio di dispiegare la necessaria vigilanza e di opporsi efficacemente alla consumazione di azioni delittuose sancito dall’art. 113 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, né l’interpretazione che ne conserva la validità svuota di contenuto l’obbligo di assicurare il servizio di portierato, ponendosi così in contrasto col principio di buona fede[93].
Inoltre secondo una pronuncia del Tribunale Foggiano[94] in forza degli artt. 1575 e 1576, c.c., il proprietario dell’immobile locato ha l’obbligo di manutenzione e garanzia del buono stato dell’immobile stesso. Tale obbligo non è limitato alla parte dell’immobile di esclusiva proprietà del locatore, ma si estende anche alle parti comuni dell’edificio, trattandosi di un obbligo strettamente connesso con quello, a carico dello stesso proprietario, di riparazione e manutenzione dell’immobile locato.
Ne consegue che, dedotta ed accertata, anche a mezzo di c.t.u., la violazione del predetto obbligo, il conduttore dispone di azione risarcitoria consequenziale all’inadempimento e può, pertanto, chiedere il ripristino dei locali per utilizzarli secondo l’uso convenuto e il maggior danno da inadempimento.
Assolutamente priva di pregio, al fine di escludere l’applicazione di detto principio generale, è la circostanza che il locatore non sia stato reso edotto che l’uso deposito, contrattualmente convenuto, sia correlato all’impresa commerciale del conduttore. La natura degli oggetti riposti nell’immobile locato e, quindi, la pertinenza degli stessi all’impresa commerciale del conduttore ovvero alla sua sfera di vita privata è, infatti, ai fini della validità del contratto di locazione in relazione all’uso deposito, del tutto irrilevante. Né, tanto meno, è possibile affermare che la detta natura e relativa pertinenza degli oggetti riposti nell’immobile locato possa determinare il mutamento d’uso dell’immobile stesso sì da integrare un inadempimento contrattuale.
Qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto una pluralità di beni, e l’obbligazione del locatore di consegnare i medesimi debba ritenersi soggettivamente indivisibile, alla stregua di una esplicita od implicita volontà delle parti di considerare indissolubili le utilità derivanti dal godimento del complesso dei beni unitariamente inteso, l’avvenuta consegna di una parte soltanto dei beni medesimi, che venga accettata dal conduttore senza rinuncia all’adempimento integrale del locatore, importa che il conduttore medesimo, ove ne persista l’utilità e così il relativo interesse, possa agire per l’esecuzione in forma specifica del contratto al fine di conseguire la consegna anche dei beni mancanti, e di godere dell’intero complesso, per il periodo di tempo fissato dal contratto, a partire dalla data dell’adempimento integrale e così in deroga di quella originaria della convenzione[95].
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 settembre 2015, n. 19226
le obbligazioni del locatore previste dagli artt. 1575 e 1576 c.c. non comprendono l’esecuzione di opere di modificazione o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da disposizioni di legge o dell’autorità, sopravvenute alla consegna, per rendere la cosa stessa idonea all’uso convenuto, né il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore le spese sostenute per l’esecuzione di tali opere, salva l’applicazione della normativa in tema di miglioramenti.
Sotto un profilo processuale, poi, come da ultimo adagio della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 settembre 2015, n. 19209
in tema di locazione immobiliare, in caso di infiltrazioni d’acqua dannose, grava sul locatore, e non già sul conduttore danneggiato, l’onere di dimostrare che le stesse non sono conseguenza immediata e diretta di vizi delle tubazioni o di altre cause strutturali, ma, in ipotesi, siano ascrivibili al comportamento del conduttore medesimo o ad altri fatti cui la legge ricollega una eventuale limitazione o esenzione di responsabilità del locatore stesso. In assenza di tale prova, infatti, la responsabilità del lamentato danno è da ascrivere all’inadempimento del proprietario dell’immobile dell’obbligo di mantenere la cosa locata in buono stato abitativo, e comunque in una condizione di idoneità all’uso cui è destinata, inadempimento che legittima poi la richiesta di risarcimento danni proposta dal conduttore
- Il buono stato
Questa qualità della cosa locata non coincide con il carattere di <idoneità convenuta> che risulta dal n. 2 dello stesso articolo: una cosa, infatti, può trovarsi in buono stato di manutenzione, ma non servire all’uso specificamente stabilito e viceversa.
Come confermato dalla Corte di legittimità[96] secondo la quale che la garanzia per i vizi della cosa locata, che ne impediscono o diminuiscono l’uso stabilito, costituisce obbligazione del locatore diversa e distinta da quella della consegna della cosa in buono stato di manutenzione e tale da servire all’uso convenuto.
Per la Cassazione[97] le obbligazioni poste a carico del locatore dai nn. 1 e 2 dell’art. 1575 cod. civ., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di mantenerla in stato di servire all’uso convenuto, non comprendono quella di apportare alla cosa stessa le modificazioni o aggiunte necessarie per renderla idonea all’uso convenuto, né di assicurare al conduttore la possibilità di apportarvi egli stesso quelle modificazioni o aggiunte. L’originaria mancanza nell’immobile locato di un impianto o accessorio necessario perché esso possa venir adibito dal conduttore all’uso convenuto, dà luogo alla garanzia per vizi della cosa locata se tale mancanza era conosciuta dal conduttore o facilmente riconoscibile.
Le parti possono liberamente derogare alla norma sulla consegna in buono stato di manutenzione, ma è necessaria una chiara manifestazione di volontà.
Difatti, per la S.C.[98] le disposizioni degli artt. 1575, n. 2 e 1576 cod. civ., che pongono a carico del locatore l’obbligo di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto e di eseguire durante la locazione tutte le riparazioni all’uopo necessarie, tranne quelle di piccola manutenzione, non sono di ordine pubblico e possono essere, quindi, derogate dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale.
Inoltre, è bene precisare che la consegna di cosa che risulti inidonea a realizzare l’interesse del conduttore non comporta la responsabilità del locatore per violazione del dovere di cui all’art. 1575 n. 1 cod. civ. e non esonera il conduttore dall’obbligazione di pagamento del corrispettivo quando risulti che il conduttore conoscendo la possibile inettitudine dell’oggetto della prestazione abbia accettato il rischio economico come rientrante nella normalità dell’esecuzione della prestazione stessa[99].
Secondo una recente pronuncia di merito[100], nello specifico, nella locazione di immobili adibiti ad uso commerciale, non possono essere addebitate al locatore, in ragione dell’obbligo contrattuale di quest’ultimo di provvedere alla manutenzione straordinaria dell’immobile, le spese sostenute dal conduttore per l’acquisto di arredi del locale commerciale, trattandosi di beni di esclusiva proprietà del conduttore, asportabili al termine del rapporto di locazione. Allo stesso modo non possono essere addebitate al locatore le spese per la manutenzione della caldaia, trattandosi di interventi di manutenzione ordinaria all’impianto, che gravano sul conduttore.
Infine, la Cassazione, come da ultima pronuncia,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 settembre 2014, n. 24987
ha avuto modo di ribadire che gli obblighi previsti dagli artt. 1575 e 1576 c.c. non comprendono l’esecuzione di opere di modificazione o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da disposizioni di legge o dell’autorità, sopravvenute alla consegna, per rendere la cosa stessa idonea all’uso convenuto, né il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore le spese sostenute per l’esecuzione di tali opere, salva l’applicazione della normativa in tema di miglioramenti (Cass. 2458/2009).
- Risarcimento
La responsabilità del locatore per la violazione dell’obbligo di mantenere la cosa locata in «stato da servire all’uso convenuto» (art. 1575 cod. civ.) dà luogo ad una obbligazione risarcitoria che, al pari di ogni analoga obbligazione contrattuale o extracontrattuale, configura un debito di valore automaticamente rivalutabile sino alla data della liquidazione[101].
L’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto e di eseguire le riparazioni che non sono a carico del conduttore, stabilito dagli artt. 1575 e 1577, comma, primo, cod. civ., trova un limite nella disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione[102], che essendo di carattere generale è applicabile anche al rapporto di locazione e comporta che l’impossibilità sopravvenuta e definitiva di utilizzazione della cosa locata secondo l’uso convenuto o conforme alla sua destinazione, se non sia imputabile al debitore, determina l’estinzione dell’obbligazione a carico di costui.
- In caso di vizi [103]
Per vizi s’intendono quei difetti, che incidono sulla struttura materiale della cosa locata, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se essi siano eliminabili, ma non prontamente.
art. 1578 c.c. vizi della cosa locata: se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che non ne diminuiscono in modo apprezzabili l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili.
In linea generale, come da ultimo arresto della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 10 febbraio 2017, n. 2348
nel caso di domanda di risoluzione ex art. 1578 c.c., grava sul conduttore (anche per ovvie ragioni di maggiore vicinanza alla prova) l’onere di individuare e dimostrare l’esistenza del vizio che diminuisce in modo apprezzabile l’idoneità del bene all’uso pattuito; al locatore convenuto spetta, invece, di dimostrare che i vizi erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore (e ciò al fine di paralizzare la domanda di risoluzione o di riduzione del corrispettivo) o di provare di avere senza colpa ignorato i vizi al momento della consegna, al fine di andare esente dal risarcimento dei danni derivati dai vizi della cosa.
In caso di vizi non conosciuti
Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna.
Per la S.C.[104] costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell’art. 1578 cod. civ. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 1575 cod. civ., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull’idoneità all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l’esperibilità dell’azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione.
Pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’art. 1576 cod. civ., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale.
Casistica:
– Ad esempio, per la S.C.[105], in tema di locazione di immobili, la mancanza delle concessioni amministrative o delle autorizzazioni costituisce inadempimento del locatore; un simile comportamento giustifica, quindi, la risoluzione del contratto ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1578 del c.c., a meno che il conduttore, non sia a conoscenza della situazione e non l’abbia, pertanto, conseguentemente accettata o che comunque ha svolto di fatto la sua attività, nonostante l’irregolarità dei locali. Anche se in tema è bene guardare il paragrafo riguardante gli obblighi del conduttore[106].
– Non costituisce vizio della cosa locata la mancanza, in un edificio di vecchia costruzione e di cui il conduttore conosceva la vetustà, di quelle caratteristiche costruttive che sono proprie di tecniche edilizie più recenti. Né tale mancanza può integrare gli estremi di una inadempienza alle obbligazioni di cui all’art. 1575 cod. civ., perché l’obbligo incombente al locatore di consegnare e mantenere la cosa locata in stato di servire all’uso convenuto non importa, in mancanza di espresse pattuizioni in proposito, anche quello di eseguire modificazioni e trasformazioni della cosa rispetto allo stato esistente al momento del contratto e dal conduttore comunque riconosciuto idoneo all’uso stesso[107].
– Ove il locatore, che abbia convenuto un determinato uso commerciale e/o industriale dell’immobile locato, assicuri a tal fine l’idoneità dell’immobile autorizzando il conduttore alle relative modifiche strutturali, non può ritenersi esente, nei confronti dello stesso, dalla responsabilità per l’anticipato scioglimento del rapporto locativo a seguito del divieto opposto dal condominio, di cui è parte l’immobile, alle dette modifiche (nella specie, installazione di una nuova canna fumaria necessaria per il funzionamento di un ristorante self-service) ove non abbia provveduto ad ottenere il preventivo assenso dei condomini, indispensabile alla stregua del regolamento condominiale[108].
– In tema di vizi della cosa locata, nel caso di locazione di un’automobile, il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore i danni derivanti dal difettoso funzionamento di parti meccaniche; ne egli può esonerarsi dalla responsabilità, adducendo la sua incolpevole ignoranza del difetto, qualora non abbia provveduto, prima della consegna del veicolo al conduttore, ad ispezionare l’autovettura, dovendo tale controllo essere compiuto prima di ogni consegna al conduttore, in considerazione della particolare usura a cui sono sottoposti i veicoli da noleggio[109].
1) Vizi manifestatisi al momento della consegna
Nel contratto di locazione, la garanzia spettante al conduttore, prevista dall’art. 1578 cod. civ. e consistente nel diritto alla risoluzione del contratto o alla riduzione del canone, opera solo se i vizi della cosa locata erano, al momento della stipulazione, sconosciuti e non facilmente riconoscibili dal conduttore stesso.
In caso contrario, quest’ultimo potrà chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento ed il risarcimento del danno — ricorrendo tutti i presupposti di cui all’art. 1453 cod. civ. — solo se il locatore abbia assunto espressamente, e poi non abbia adempiuto, l’obbligo di eliminare i vizi[110].
Allorquando il conduttore, all’atto della stipulazione del contratto di locazione, non abbia denunziato i difetti della cosa da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, e non può, pertanto, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, né il risarcimento del danno o l’esatto adempimento, né avvalersi dell’eccezione di cui all’art. 1460 cod. civ., dal momento che non si può escludere che il conduttore ritenga di realizzare i suoi interessi assumendosi il rischio economico dell’eventuale riduzione dell’uso pattuito ovvero accollandosi l’onere delle spese necessarie per adeguare l’immobile locato all’uso convenuto, in cambio di un canone inferiore rispetto a quello richiesto in condizioni di perfetta idoneità del bene al predetto uso[111].
Mentre, qualora le parti si siano date atto dell’esistenza di vizi del bene locato ed il locatore si sia impegnato ad eliminarli e frattanto si sia fatto luogo comunque alla consegna del bene ed al suo godimento nelle condizioni in cui esso si trova, il regolamento contrattuale sfugge alla regola di cui all’art. 1578 cod. civ., di modo che il conduttore, qualora l’obbligazione di eliminazione dei vizi non venga adempiuta dal locatore, di fronte all’inadempimento non ha la facoltà di chiedere la riduzione del corrispettivo, ma gode soltanto dei rimedi generali contro l’inadempimento e, quindi, ha l’alternativa fra l’azione di adempimento e l’azione di risoluzione del contratto e, a livello di autotutela, ha la possibilità di sospendere il pagamento del corrispettivo proporzionalmente alla diminuzione del godimento arrecata dalla inesecuzione delle opere di eliminazione dei vizi[112].
2) Vizi manifestatisi successivamente alla consegna
La responsabilità del locatore per i danni derivanti dall’esistenza dei vizi sussiste anche in relazione a vizi preesistenti la consegna ma manifestatisi successivamente ad essa nel caso in cui il locatore poteva conoscere, usando l’ordinaria diligenza, i vizi secondo la disciplina di cui all’art. 1578 cod. civ.
L’onere della prova relativa all’impossibilità di conoscere i vizi con l’uso dell’ordinaria diligenza grava sul locatore e la valutazione del raggiungimento o meno della prova liberatoria da parte del locatore costituisce una valutazione di merito tale da escludere la sua sindacabilità nel giudizio di legittimità se non per vizi logici o giuridici[113].
3) Riduzione del corrispettivo
Nel caso in cui la cosa locata sia affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, la riduzione del corrispettivo — che, ai sensi del primo comma dell’art. 1578 cod. civ., tende a ristabilire il rapporto di corrispettività economica tra le contrapposte prestazioni — va operata tenendo conto del grado di rilevanza dei vizi medesimi e, pertanto, il canone locatizio va diminuito in proporzione alla misura in cui questi incidono sulla possibilità di godimento del bene da parte del conduttore[114].
L’azione di riduzione del corrispettivo della locazione, di cui all’art. 1578 cod. civ., ha natura di azione costitutiva, in quanto tende a determinare una modificazione del regolamento contrattuale; pertanto, essa non può essere confusa con l’eccezione di inesatto adempimento di cui all’art. 1460 cod. civ., che tende solo a paralizzare la pretesa di adempimento della controparte[115].
Invece, in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone[116] (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’art. 1578, primo comma, cod.civ., per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata.
Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluta al potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti[117].
4) Risarcimento del danno
Ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 marzo 2014, n. 7210
ha confermato che il locatore deve risarcire i danni, a titolo di lucro cessante, all’impresa affittuaria nel caso in cui essa dimostri che la diminuzione del fatturato sia dipesa dalla cattiva manutenzione dell’immobile
Si legge nella sentenza in commento che la corte di appello: – ha riconosciuto al conduttore anche il risarcimento del danno da diminuzione di fatturato, che costituisce appunto una tipica voce di lucro cessante; – in tanto la perdita di fatturato può essere imputata al locatore, in quanto sia comprovatamente dipesa dai vizi della cosa locata; su questa premessa, la corte di appello non ha omesso alcuna pronuncia, riconoscendo effettivamente al conduttore anche il risarcimento del danno da diminuzione di fatturato proprio perchè ritenuta (anche se solo in parte) derivante dai vizi manutentivi dei locali; – la riduzione del risarcimento a tale titolo (10% della diminuzione complessiva di fatturato così come accertata dal ctu) risponde al fatto che la corte di appello, proprio sulla base della ctu, ha logicamente ritenuto che tale diminuzione complessiva non potesse essere interamente addebitata al locatore, perchè derivante anche da altri e preponderanti fattori di natura gestionale; – diversamente da quanto vorrebbe il conduttore, la prova in sè della diminuzione di fatturato non è evidentemente ancora la prova della sua integrale riferibilità causale al locatore.
art. 1579 c.c. limitazioni convenzionali della responsabilità: il patto con cui si esclude o si limita la responsabilità del locatore per i vizi della cosa non ha effetto, se il locatore li ha in mala fede taciuti al conduttore oppure se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento della cosa .
Relativamente a tale limitazione secondo una lontana sentenza della S.C.[118] la clausola limitativa della responsabilità del locatore, per eventuali danni rapportabili all’obbligo di mantenere la cosa locata in buono stato locativo, perché possa spiegare il suo effetto, deve essere specificamente approvata per iscritto, a norma dell’art. 1341 cod. civ. avendo natura di clausola vessatoria.
La disposizione dell’art. 1579 cod. civ. si applica anche ai vizi conosciuti o riconoscibili dal conduttore, atteso che la conoscibilità o meno dei vizi assume rilevanza, ai sensi del precedente art. 1578 cod. civ. — escludendo la risoluzione del contratto di locazione o la riduzione del corrispettivo — nei soli casi in cui i vizi stessi incidano solo parzialmente sul godimento della cosa locata, senza escluderlo, onde possa risultare ragionevole la preventiva e concorde valutazione delle parti di addossare al conduttore i rischi ad essi relativi[119].
Infine, sempre per la medesima Corte[120] in relazione alla disciplina dell’art. 1579 cod. civ., che, si ripete, circoscrive l’inefficacia della clausola limitativa della responsabilità del locatore alle ipotesi in cui i vizi della cosa siano stati taciuti in mala fede dal locatore o ne rendano impossibile il godimento, è da ritenersi valida la rinuncia del conduttore alla garanzia per vizi ignorati senza colpa dal locatore, e ciò anche quando i vizi abbiano a manifestarsi soltanto successivamente alla consegna della cosa.
In tema la Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 19806 del 28 agosto 2013
ad esempio, ha avuto modo di appurare ed affermare in un caso di specie, che era stato provato, nei vari gradi di giudizio, sia documentalmente che in base alle prove orali (…), che nel corso delle trattative che condussero alla stipula del contratto la locatrice offrì alla controparte una rappresentazione delle caratteristiche e condizioni dell’immobile diversa da quella reale, mostrando, in particolare, una planimetria (…) che indicava lo scarico del wc dotato di collegamento alla pubblica fognatura ed una altezza del locale wc conforme a quella richiesta dal regolamento comunale (m. 2,40)
art 1580 c.c. cose pericolose per la salute: se i vizi della cosa o di parte notevole di essa espongono a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, il conduttore può ottenere la risoluzione del contratto, anche se i vizi gli erano noti, nonostante qualunque rinunzia.
L’art. 1580 cod. civ., relativo ai vizi della cosa locata che espongono a serio pericolo la salute del conduttore, non prevede, tra i rimedi offerti a quest’ultimo, l’azione per esatto adempimento, cioè per l’esecuzione di opere per l’eliminazione dei vizi, sanzionandosi l’inidoneità della cosa locata con la risoluzione del contratto[121].
In altre parole l’art. 1580 cod. civ. attribuisce al conduttore la cui salute sia minacciata da vizi della cosa a lui noti al momento della conclusione del contratto il potere di chiedere la risoluzione, non anche l’ulteriore rimedio del risarcimento del danno eventualmente subito in conseguenza dei vizi, giacché in tale ipotesi il danno deve ritenersi consapevolmente accettato dal conduttore. La norma, atteso il suo carattere eccezionale, non è applicabile nelle ipotesi in cui la cosa sia affetta da vizi non conosciuti dal conduttore ovvero quando il locatore si sia reso inadempiente all’obbligo di mantenere la cosa in stato di servire all’uso convenuto, trovando applicazione in dette ipotesi le disposizioni di cui agli artt. 1218 e 1453 cod. civ.[122]
Il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità[123].
art 1581 c.c. vizi sopravvenuti: le disposizioni degli articoli precedenti si osservano, in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione.
Es. nel caso in cui l’immobile locato perda, a seguito di evento sismico, l’attitudine ad assicurare il godimento convenuto: il conduttore potrà chiedere la risoluzione del contratto, non anche il risarcimento dei danni mancando la colpa del locatore.
2) di mantenerla in stato da servire all’uso convenuto
[124]
art. 1576 c.c. mantenimento della cosa in buono stato locativo: il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.
Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.
- Derogabilità della norma
In senso generale in tema di manutenzione della cosa locata e di miglioramenti ed addizioni alla stessa, le disposizioni di cui agli artt. 1576, 1592 e 1593 sono convenzionalmente derogabili tra le parti[125].
In tema di locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, poiché non trova applicazione l’art. 23 legge 392/1978, che disciplina le riparazioni straordinarie per gli immobili ad uso di abitazione, né è stabilita la predeterminazione legale del limite massimo del canone, non incorre nella sanzione di nullità sancita dall’art. 79 legge 392/1978 la pattuizione che pone a carico del conduttore sia la manutenzione ordinaria che quella straordinaria[126] .
Ancora secondo altra sentenza della medesima Corte[127] in materia di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’obbligo, normalmente gravante a carico del locatore, di mantenere il bene in condizioni tali da poter servire all’uso convenuto non è previsto da norme imperative; ne consegue che le parti possono contrattualmente stabilire che siano a carico del conduttore tutti gli oneri relativi all’utilizzabilità del bene, esonerando il locatore da ogni responsabilità.
Mentre[128], in materia di locazioni di immobili urbani destinati ad uso di abitazione, soggette alla disciplina di cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392, è nullo ai sensi dell’art. 79 della citata legge il patto in deroga all’art. 1576 cod. civ., con il quale le parti abbiano convenuto che siano a carico del conduttore le spese per la straordinaria manutenzione occorrenti per conservare all’immobile locato l’attitudine all’uso abitativo, poiché integra per il locatore un indebito vantaggio in contrasto con la predeterminazione legale dei limiti massimi del canone.
La pattuizione che, in deroga alla disciplina dettata dall’art. 1576 cod. civ., impone al conduttore l’obbligo sia della manutenzione ordinaria che di quella straordinaria, comporta che il conduttore medesimo sia tenuto a compiere tutte le opere necessarie a mantenere la cosa in buono stato locativo ed a restituirla nell’originario stato di consistenza e conservazione, con l’ulteriore conseguenza del trasferimento a suo carico dei deterioramenti risultanti dall’uso della cosa in conformità del contratto[129].
- Effetti riparativi
La manutenzione, a differenza della garanzia per vizi che dà luogo a risoluzione o riduzione del corrispettivo, impone soltanto la riparazione e si riferisce, invece, al c.d. guasto, vale a dire l’alterazione transitoria della cosa locata, la quale subito riparata, può essere restituita al suo normale uso (si pensi al mancato funzionamento dell’ascensore).
In caso d’inadempimento dell’obbligo di manutenzione comporta il sorgere dell’obbligo di risarcire i danni.
- Le riparazioni di piccola manutenzione
Le riparazioni di piccola manutenzione, le quali, ai sensi degli artt. 1576 e 1609 cod. civ., sono a carico del locatario di fondo urbano, sono quelle che risultino dipendenti non da vetustà o caso fortuito, ma da deterioramento prodotto dall’utilizzazione del bene locato, alla stregua di una valutazione d’insieme della modesta entità del loro valore economico, della destinazione dell’immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia del locatario, degli usi locali[130].
Anche se, in realtà, allorquando le parti non invochino, ai sensi del secondo comma dell’art. 1609 cod. civ., né clausole contrattuali, né usi locali, la definizione delle piccole riparazioni è rimessa all’apprezzamento del giudice[131], il quale deve, al riguardo, tener conto, in una valutazione d’insieme, dell’entità del relativo impegno economico, riferita alla rilevanza economica della locazione, nonché della destinazione dell’immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia gravanti sul conduttore.
Invece, la riparazione degli infissi esterni dell’immobile[132] locato non rientra tra quelle di piccola manutenzione che l’art. 1576 cod. civ. pone a carico del conduttore, perché i danni riportati da questi infissi, a meno che non siano dipendenti da uso anormale dell’immobile, debbono presumersi dovuti al caso fortuito o a vetustà e debbono essere, conseguentemente, riparati dal locatore che, a norma dell’art. 1575 cod. civ., ha l’obbligo di mantenere la cosa locata in stato da servire per l’uso convenuto.
Ancora, ad esempio, non rientrano tra le riparazioni di piccola manutenzione a carico dell’inquilino a norma dell’art. 1609 cod. civ. quelle relative agli impianti interni alla struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico) per l’erogazione dei servizi indispensabili al godimento dell’immobile, atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, gli eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti da colpa dell’inquilino per un uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso fortuito od a vetustà e, pertanto, la spesa per le relative riparazioni grava sul locatore che, ai sensi dell’art. 1575, n. 2, cod. civ., deve mantenere costantemente l’immobile in istato da servire all’uso convenuto[133].
E’ stato nuovamente ribadito
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 maggio 2014, n. 11353
che in tema di locazione di immobili urbani, nella categoria delle riparazioni di piccola manutenzione, a carico del conduttore ex art. 1609 c.c., non rientrano quelle relative agli impianti interni alla struttura dell’immobile (elettrico, idrico, termico) per l’erogazione dei servizi indispensabili al suo godimento (Cass. 14 marzo 2006, n. 5459).
A quanto precede va poi aggiunto che il conduttore ha diritto al risarcimento del danno in caso di mancata riparazione della cosa locata, stante l’obbligo del locatore di provvedere alle riparazioni eccedenti la normale manutenzione; quando, poi, dette riparazioni hanno il carattere dell’urgenza, lo stesso conduttore, una volta avvisato il locatore e nell’inerzia di questi – come nel caso all’esame -, ha facoltà di provvedere direttamente ai lavori, non essendo richiesta per tale tipo di intervento la preventiva autorizzazione, e non risultando neppure di ostacolo l’eventuale divieto del locatore (Cass. 8 luglio 2010, n. 16136).
L’obbligo del locatore di effettuare le riparazioni necessarie a mantenere l’immobile in buono stato locativo, di cui all’art. 1576 cod. civ., riguarda gli inconvenienti eliminabili nell’ambito delle opere di manutenzione e, pertanto, non può essere invocato per rimuovere guasti o deterioramenti, rispetto ai quali la tutela del locatario resta affidata alle disposizioni dettate dagli artt. 1578 e 1581 cod. civ. per i vizi della cosa locata[134].
In tema di locazione di immobili urbani, l’obbligo di manutenzione ordinaria o straordinaria, si ripete quando non si tratta di opere di piccola manutenzione, grava sul locatore; pertanto questi non può pretendere, nel corso della locazione, il rimborso delle spese per la manutenzione delle parti dell’immobile logorate dal normale uso, né tantomeno, al termine della locazione, il risarcimento dei danni per le spese di riparazione, se non offre la prova, almeno indiziaria, dello scorretto uso della cosa da parte del conduttore[135].
Qualora un’opera di straordinaria manutenzione dell’immobile locato è posta dalla legge o dal contratto a carico del locatore, questi deve provvedere alla sua effettuazione indipendentemente dal relativo costo ed ancorché esso sia sproporzionato rispetto all’utile ricavato dalla cosa locata[136].
Sempre in merito la S.C.[137] ha stabilito che l’obbligo di manutenzione ordinaria dell’immobile locato grava sul conduttore e, conseguentemente, è quest’ultimo e non il proprietario che deve ritenersi responsabile dei danni subiti da un immobile confinante a causa della sua violazione. (In applicazione del principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso la responsabilità del proprietario per i danni subiti da un immobile a causa delle infiltrazioni d’acqua che avevano danneggiato un immobile confinante, provocate dal fatto che i canali di scolo erano stati intasati dalle foglie cadute dagli alberi di alto fusto siti nel primo, che il conduttore non aveva provveduto ad eliminare).
Antecedentemente, però, la stessa Cassazione[138] ha avuto modo di decidere che nel caso di impianti idrici o sanitari siti all’interno delle strutture murarie sulle quali il conduttore non ha nessun potere di intervento non potendo manometterli, per seguire le riparazioni il proprietario locatore conserva la disponibilità giuridica e quindi la custodia sia dei primi che delle seconde, con la conseguenza che con il limite del caso fortuito, risponde del danno cagionato al terzo dalla rottura di un qualsiasi manufatto incorporato nelle fabbriche.
La differenza tra ordinaria manutenzione e straordinaria manutenzione
Sul punto è opportuno riportare l’ampia dissertazione svolta dalla S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 dicembre 2013, n. 27540
il caso di specie riguardava un contratto di locazione stipulato ai sensi della Legge n. 359 del 1992, articolo 11, comma 2 – laddove si riteneva valida la clausola contrattuale che poneva a carico dei conduttori “l’ordinaria manutenzione, ivi compresa quella inerente i servizi e le cose comuni, anche se dipendente da vetusta’ o caso fortuito”, ma escludeva che fosse dovuta dagli opponenti un’ulteriore somma, afferente al rifacimento della facciata dello stabile condominiale, per la considerazione che la relativa spesa, non poteva ritenersi compresa nella ordinaria manutenzione
Orbene, si legge in motivazione, che la Corte territoriale, da un lato, escludeva che la linea di demarcazione tra manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria potesse desumersi dalle disposizioni urbanistiche richiamate dalla parte ricorrente, trattandosi di normativa dettata per altre specifiche finalita’ (quelle della liberta’ dell’intervento edilizio o della necessarieta’ del permesso di costruire); dall’altro, riteneva che il significato della clausola contrattuale e dello specifico richiamo in esso contenuto alla manutenzione ordinaria, dovesse individuarsi, attingendo alla normativa civilistica (articoli 1005, 1576, 1609 e 1621 cod. civ.), alla cui stregua la distinzione fra riparazioni ordinarie e riparazioni straordinarie puo’ essere effettuata con riferimento al criterio della prevedibilita’ e della normalita’ in relazione al godimento della cosa locata e dell’entita’ della spesa.
Per la Corte di Cassazione il sistema codicistico fa riferimento al concetto quantitativo della tenuita’ della spesa e a quello della riferibilita’ causale della stessa spesa dall’uso normale del bene per gravare il conduttore, esclusivamente, delle spese di “piccola manutenzione”, alla stregua di una valutazione d’insieme della modesta entita’ del loro valore economico, della destinazione dell’immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia del locatario, degli usi locali (cfr. Cass. 6 maggio 1978, n. 2181), lasciando a carico al locatore tutte le altre spese di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, quale modalita’ di adempimento della fondamentale obbligazione di mantenere la cosa in buono stato e in modo da servire all’uso cui e’ destinata (articolo 1575 c.c., n. 2, articoli 1576, 1577 e 1609 cod. civ.); mentre il sistema introdotto dalla Legge n. 392 del 1978 ha previsto che siano a carico del conduttore, sub specie di oneri accessori (ex articolo 9, tuttora in vigore, nonostante l’abrogazione del regime del canone legale), alcune spese di carattere continuativo o periodico, correlate a servizi di cui usufruisce il conduttore – quali quelle “relative al servizio di pulizia” e “alla fornitura di altri servizi comuni” – che, in quanto necessarie a mantenere in buone condizioni di uso le cose comuni, sono ascrivibili all’ordinaria manutenzione delle parti comuni, nonche’ le spese relative “al funzionamento e all’ordinaria manutenzione dell’ascensore“.
Merita, altresi’, puntualizzare che il richiamo alla normativa in tema di usufrutto e, segnatamente, alla nozione di riparazioni straordinarie, di cui all’articolo 1005 cod. civ. (secondo cui “riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilita’ dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”) non e’, di per se’ risolutivo ai fini che ci occupano; e cio’ sia perche’ per riparazione si intende l’opera che rimedia ad un’alterazione gia’ verificatasi nello stato della cosa a differenza della manutenzione, che propriamente si riferisce all’opera che previene l’alterazione (laddove l’espressa previsione, nella clausola che qui rileva, della “manutenzione ordinaria anche se dipendente da vetusta’ o caso fortuito”, finisce per assimilare l’uno e l’altro concetto, accordando rilievo, piuttosto, che alla maggiore o minore attualita’ del danno da riparare, alla essenza dell’opera e al suo carattere ordinario), sia perche’ l’elencazione contenuta nella norma cit. sebbene di carattere generale, non ha carattere tassativo, ma solo esemplificativo (cosi’ Cass. 3 aprile 1979, n. 1881).
Soprattutto l’inserimento della nozione dettata dall’articolo 1005 cod. civ. nella trama del rapporto locatizio va attuato nella considerazione dell’equilibrio sinallagmatico sotteso a detto rapporto e dei principi specificamente dettati in materia, in relazione al quale beneficiario ultimo dei miglioramenti apportati all’immobile condotto in locazione mediante spese di manutenzione straordinaria, rimane esclusivamente il locatore (cfr. articoli 1576, 1609 e 1621 cod. civ.).
Cio’ precisato, il Collegio ha ritenuto che i giudici di appello – assumendo, quali utili parametri di riferimento, la norma di cui all’articolo 1005 cod. civ. e le ulteriori disposizioni in materia di locazione sopra cit. – abbiano individuato, sulla base di un corretto approccio ermeneutico (“nella logica ricostruzione della comune intenzione delle parti e anche al fine dell’equo contemperamento degli interessi contrapposti”), nei suoi tratti salienti la manutenzione ordinaria qualificandola come “quella diretta ad eliminare guasti della cosa o che comunque abbia carattere di periodica ricorrenza e di prevedibilita’, essendo connotata inoltre da una sostanziale modicita’ della spesa” e inquadrando, invece, nell’ambito della manutenzione straordinaria “quelle riparazioni non prevedibili e di costo non modico, eccezionali nell’ambito dell’ordinaria durata del rapporto locatizio” ovvero anche quelle “di una certa urgenza e di una certa entita’ necessarie al fine di conservare o di restituire alla cosa la sua integrita’ ed efficienza”.
Di conseguenza la spesa di rifacimento delle facciate condominiali, per la sua importanza, nonche’ per la “natura episodica” nell’arco di una gestione condominiale pluriennale, e’ stata qualificata come spesa di manutenzione straordinaria (altra cosa e’, evidentemente, se ai fini urbanistici dovesse considerarsi intervento di manutenzione ordinaria), escludendo percio’ che fosse compresa tra quelle contrattualmente a carico dei conduttori.
Si rammenta, alla stregua di consolidata giurisprudenza, che la qualificazione delle opere di ordinaria manutenzione o di manutenzione straordinaria, e l’attribuzione dei lavori all’una o all’altra categoria, spettano al giudice di merito, involgendo indagini di fatto, e il relativo apprezzamento si sottrae a censura in sede di legittimita’, se sia sorretto da esatti criteri nomativi e sia adeguatamente motivato (cfr. Cass. 20 marzo 2003, n. 4064; Cass. 4 gennaio 1969, n. 10).
Nella decisione impugnata la distinzione tra le spese di manutenzione ordinaria e di manutenzione straordinaria risulta correttamente affidata ai profili della normalita’ e/o prevedibilita’ dell’intervento e dell’entita’ materiale della spesa, con il necessario adeguamento della nozione civilistica di riparazioni straordinarie di cui all’articolo 1005 cod. civ. allo statuto del rapporto di locazione, quale consacrato, nella specie, nell’accordo in deroga. Invero per spese straordinarie, facenti carico al locatore, devono intendersi le opere che non si rendono prevedibilmente o normalmente necessarie in dipendenza del godimento normale della cosa nell’ambito dell’ordinaria durata del rapporto locatizio e che presentano un costo sproporzionato rispetto al corrispettivo della locazione; rientrando nella categoria anche le opere di manutenzione di notevole entita’, finalizzate non gia’ alla mera conservazione del bene, ma ad evitarne il degrado edilizio e caratterizzate dalla natura particolarmente onerosa dell’intervento manutentivo.
- Ricostruzione
Il concetto di manutenzione non comprende quello di ricostruzione, per cui, in caso di distruzione del bene, il locatore non ha l’obbligo di ricostruirlo per renderlo nuovamente idoneo all’uso convenuto, perché il contratto deve intendersi risoluto per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c).
Se poi la distruzione è soltanto parziale, il conduttore, in applicazione dell’art. 1464, può chiedere la riduzione della propria prestazione, ma potrà anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
- Culpa in vigilando
Tra gli obblighi del locatore, inoltre, per la Corte di Cassazione, sussiste anche un obbligo di attenzione in merito alle attività esercitate dal conduttore nel proprio immobile, atteggiandosi di fatto come una sorta di culpa in vigilando, quando si ha la consapevolezza degli atti illeciti posti dal conduttore.
Lo hanno stabilito i giudici della S.C.[139], con la sentenza 22 marzo 2011, n. 6525, con la quale è stato condannato il proprietario di un terreno, concesso in locazione, al risarcimento dei danni ambientali provocati dal conduttore, il quale, nell’area locata, aveva abbandonato alcuni rifiuti tossici.
Per la Corte di Piazza Cavour determinata la consapevolezza da parte del proprietario circa l’esistenza dei rifiuti tossici sul terreno locato, al fine di evitare la corresponsabilità con il conduttore, il medesimo proprietario avrebbe dovuto pretendere l’immediato sgombero del terreno; ed eventualmente adire le vie giudiziali in via cautelare.
Con il proprio comportamento omissivo (omissione della dovuta vigilanza nei confronti del conduttore) il locatore non aveva, quindi, evitato che la situazione degenerasse.
Anche perché, secondo altra Cassazione[140], il proprietario e locatore di un immobile, che ha autorizzato il conduttore ad eseguire opere di ristrutturazione del bene, a quest’ultimo altrimenti vietate in base alla disciplina legale della locazione, è legittimato e obbligato, ai sensi degli artt. 1576, 832 e 2043 cod. civ., ad ingerirsi e a sorvegliare l’attività autorizzata o, comunque, consentita, allo scopo di evitare che da essa possa derivarne un ingiusto danno ai terzi, dovendo altrimenti rispondere in solido con il conduttore, ai sensi dell’art. 2055 cod. civ.
Il tutto in base al principio secondo il quale durante il rapporto di locazione, il locatore non può considerarsi dispensato dall’obbligo di vigilanza e di custodia della cosa locata, sia per la parte di immobile di sua esclusiva proprietà sia per le parti comuni dell’edificio, trattandosi di un obbligo strettamente connesso con quelli a suo carico, di manutenzione e di riparazione dell’immobile locato[141].
Principio ripreso da recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 settembre 2014, n. 19657
secondo la quale tramite il contratto di locazione, il proprietario non spoglia dei poteri-doveri di custodia sul lastrico, cioè dei generici doveri di conservazione, di controllo e di intervento sulla relativa manutenzione, né dei poteri di interdizione ai non autorizzati dell’accesso al medesimo, sì da impedirne l’utilizzazione nelle parti pericolose e non transitabili: il godimento concesso al conduttore non esclude la permanenza nel proprietario dei poteri di controllo, di vigilanza e di custodia sullo stato di conservazione delle strutture che compongono l’immobile locato, sulle quali il conduttore non ha poteri di intervento, né doveri di manutenzione. L’evento dannoso del caso di specie costituisce realizzazione di un rischio estraneo al comportamento del proprietario ed agli specifici doveri di custodia su di lui gravanti, rischio che è invece esclusivamente riconducibile all’operato del conduttrore, il quale – in virtù dei poteri di diritto a lui derivanti dalla detenzione dell’appartamento e dei poteri di fatto abusivamente esercitati tramite l’apertura del passaggio e la concreta utilizzazione del lastrico – ha reso possibile, in termini non controllabili dal proprietario, l’uso anomalo del piano di copertura per il passaggio di persone: uso per il quale non era predisposto ed al quale non era né avrebbe potuto essere altrimenti destinato.
Secondo, poi, altra recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 15 novembre 2016, n. 23245
in tema di immissioni illecite – premesso che l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’eliminazione delle cause delle immissioni – che rientra tra quelle negatorie, natura reale, a tutela della proprieta’ – deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta ad accertare in via definitiva l’illegittimita’ delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse, e che cumulativamente ad essa puo’ essere introdotta l’azione per la responsabilita’ aquiliana prevista dall’articolo 2043 c.c., per ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale che sia derivato dalle immissioni stesse – allorche’ le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c. per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi carico di terzi.
Nel caso di specie ritenuto corretto il comportamento dei proprietari che erano piu’ volte intervenuti presso il conduttore per indurlo a evitare le immissioni fino al punto di chiudere definitivamente il lucernario per impedirne l’uso improprio di fuoriuscita di fumi e di cattivi odori provenienti dalla cucina.
-
Responsabilità ex art. 2051 c.c.
Corollario dell’obbligo di manutenzione in capo al locatore è la responsabilità ex art. 2051 c.c. per danni dovuti dalle strutture murarie e dagli impianti.
Sul punto ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12 marzo 2014, n. 5643
ha affermato, nuovamente, il principio per cui in tema di locazione il proprietario dell’immobile, conservando la disponibilità giuridica del bene, mantiene anche gli obblighi di custodia di cui al citato art. 2051 ed è quindi responsabile per i danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati (sentenze 3 agosto 2005, n. 16231, e 9 giugno 2010, n. 13881).
Nel caso di specie, però, tale giurisprudenza non è utilmente richiamata, perché la sentenza in esame ha concluso nel senso della responsabilità esclusiva dei conduttori dell’immobile loro locato dal controricorrente , sul rilievo che la dispersione di corrente traeva la propria origine o dall’abusivo prelievo di energia elettrica o dal difetto di isolamento di un apparecchio domestico; il che vale evidentemente ad escludere la responsabilità del proprietario locatore, a proposito della sussistenza degli obblighi di messa in sicurezza degli impianti elettrici (v. sentenza 26 giugno 2007, n. 14745).
Ancora sul punto è tornata la Cassazione, con ultima pronuncia
Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 27 marzo 2018, n. 7526.
secondo la quale: Poiché la responsabilità ex art. 2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all’evento lesivo, al proprietario dell’immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell’immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità.
Puo’ logicamente sussistere la responsabilita’ sia del proprietario dell’immobile che del conduttore solo quando i pregiudizi siano derivati non solo dal difetto di costruzione dell’impianto conglobato nelle strutture murarie, ma anche da una negligente utilizzazione di esso da parte del conduttore.
- Diritto di visita
Ed in base, anche, a questo ultimo principio che, pur nel silenzio della legge, il locatore ha diritto di eseguire visite periodiche presso l’immobile concesso in locazione, purché esse non vadano a costituire delle vere e proprie molestie al pacifico godimento della cosa durante lo svolgimento del contratto.
Le visite, in ogni caso, devono svolgersi secondo le modalità, eventualmente, indicate nel contratto o con successiva comunicazione dal conduttore e sulla base delle sue disponibilità, tenute però presente le esigenze dello stesso locatore: va da sé, infatti, che se per un verso vanno rispettate le abitudini casalinghe e lavorative del conduttore, per l’altro non è pensabile che le visite avvengano in orari inusuali (2 notte) per i possibili altri inquilini o acquirenti, magari scelti dal conduttore con l’evidente scopo di ostacolare una nuova locazione o la vendita dell’immobile.
Il ripetuto ingiustificato rifiuto del conduttore a consentire la visita dell’immobile da parte del locatore integra gli estremi di grave inadempimento a seguito del quale può essere richiesta la risoluzione del contratto.
Inoltre, pur non volendo addivenire alla risoluzione, la necessità del locatore di far visitare l’immobile può trovare inoltre rapida tutela attraverso il ricorso all’Autorità giudiziaria in via d’urgenza (art. 700 cod. proc. civ.), qualora venga dimostrato al giudice non solo il fondamento del diritto fatto valere, ma anche il pericolo di danno irreparabile che potrebbe conseguire alla mancata visita nell’immobile nei tempi ritenuti opportuni dal locatore.
- Necessità di riparazioni
art 1577 c.c. necessità di riparazioni: quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore.
Se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente, salvo rimborso, purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore.
L’art. 1577 cod. civ. — circa l’obbligo del conduttore di dare avviso al locatore della necessità di riparazioni alla cosa locata — riguarda i rapporti interni tra il locatore e il conduttore e, pertanto, la violazione del predetto obbligo non può essere opposta dal locatore ai terzi che abbiano risentito un danno per effetto dell’omessa manutenzione o riparazione dell’immobile locato[142].
Inoltre[143], purché risulti acclarata la necessità di eseguire nell’immobile locato riparazioni urgenti, la conoscenza accertata, da parte del locatore, di tale necessità e l’inerzia dello stesso a provvedere entro un tempo ragionevole, tenuto conto della natura, dell’entità e dell’urgenza dei lavori, hanno valore equipollente al contestuale avviso al locatore, cui il conduttore é tenuto ai sensi dell’art. 1577 cod. civ. nell’ipotesi che provveda ad eseguirli direttamente.
L’obbligo previsto dall’art. 1577 c.c. deve essere correlato all’art. 1578 c.c.[144] poiché anche in presenza di un vizio della cosa locata rilevante ai sensi dell’art. 1578 c.c. è operante l’obbligo del conduttore, previsto dall’art. 1577, primo comma, di dare avviso al locatore della necessità di riparazioni, dovendosi distinguere tra la conoscenza in termini generali del vizio e la conoscenza di una specifica manifestazione dello stesso che sopravvenga nel corso della locazione ed esiga interventi immediati. Il concorso di colpa del conduttore che abbia omesso di dare tale avviso è configurabile anche in presenza della responsabilità gravante, ai sensi dell’art. 1578, secondo comma, sul locatore che non provi di avere ignorato senza colpa il vizio[145].
Qualora sia stato riconosciuto un concorso di colpa del conduttore, relativamente ai danni verificatisi in conseguenza di un vizio della cosa locata, per avere egli omesso, a causa della sua prolungata assenza dall’immobile, di dare avviso al locatore della necessità di riparazioni in occasione di una specifica manifestazione del vizio, non può ravvisarsi un’ulteriore ragione di sua concorrente responsabilità nella violazione dell’obbligo di impiego della ordinaria diligenza al fine di evitare di contenere le conseguenze lesive del fatto[146].
- Il diritto del conduttore al rimborso
Il conduttore che, avvalendosi dei poteri sostitutivi e di gestione conferitigli dagli articoli 1577, secondo comma, e 2028 cod. civ., esegue riparazioni urgenti, ancorché su cosa non locatagli, ma necessarie per l’uso convenuto di quella locatagli, ha diritto al rimborso[147].
In altre parole, in caso di inerzia, il conduttore ha diritto al risarcimento del danno in caso di mancata riparazione della cosa locata, stante l’obbligo del locatore di provvedere alle riparazioni eccedenti la normale manutenzione, ma ciò non toglie che ha comunque il diritto al rimborso.
Quando, poi, dette riparazioni hanno il carattere dell’urgenza, lo stesso conduttore, una volta avvisato il locatore e nell’inerzia di questi, ha facoltà di provvedere direttamente a dette riparazioni, non essendo richiesta per tale tipo di intervento la preventiva autorizzazione, e non risultando neppure di ostacolo l’eventuale divieto del locatore[148].
Per di più in tema di locazioni di immobili urbani ad uso abitativo, il diritto al rimborso per le riparazioni urgenti effettuate dal conduttore riconosciutogli dalla norma di cui all’art. 1577 cod. civ. non è escluso in caso di mancato previo avviso al locatore[149].
In definitiva, come da ultima sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 febbraio 2014, n. 4064
è ius receptum che il conduttore ha diritto al rimborso delle spese per le riparazioni eccedenti la normale manutenzione se, avendo il carattere dell’urgenza, il conduttore ha avvisato il locatore e nell’inerzia di questi, ha provveduto direttamente ai lavori (ex multis Cass. 10742 del 2002, 4583 del 2008, 16136 del 2010).
3) garantirne il pacifico godimento durante la locazione
art. 1585 c.c. garanzia per molestie: il locatore è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie (di diritto consistono nelle pretese giudiziali o stragiudiziali di terzi, i quali vantano diritti contrastanti con quelli del conduttore) che diminuiscono l’uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima.
Non è tenuto a garantirlo dalle molestie (le molestie di fatto come l’occupazione abusiva del fondo locato, i danneggiamenti di ogni genere, infiltrazioni d’acqua provenienti dall’appartamento sovrastante, nella potatura di siepi, fatto illecito del terzo, ecc. ) di terzi che non pretendono di avere diritti , salva al conduttore la facoltà agire (risarcimento del danno eazioni possessorie limitatamente all’azione di reintegrazione, non compete, invece, l’azione di manutenzione, perché il legislatore espressamente concede quest’azione al possessore), contro di essi in nome proprio.
- La molestia
L’art. 1585 cod. civ. nel disciplinare la garanzia dovuta dal locatore per la piena e normale utilizzazione del bene locato, contiene una duplice previsione in relazione alle possibili molestie che possono essere arrecate dai terzi al pacifico svolgimento del rapporto locativo. Secondo la S.C.[150]
a) ove i terzi accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, sia contestando il potere di disposizione del locatore, sia rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore, si configurano molestie di diritto per le quali il locatore è tenuto a garantire il conduttore ai sensi del primo comma di detto articolo.
La molestia di diritto, per la quale è stabilito l’obbligo di garanzia del locatore, si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compia atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata (come nella specie, in cui il locatore non aveva concesso in godimento anche le aree esterne non di sua proprietà), ma riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore, non giustificate dalla specifica detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione, si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dalla norma di cui all’art. 1585 cod. civ.[151]
b) Nell’ipotesi invece in cui i terzi non avanzino pretese di natura giuridica ma arrechino pregiudizio al godimento del conduttore mediante impedimenti concreti o attività materiali ostative, riconducibili nel concetto di atto illecito in senso lato, si realizzano molestie di fatto per le quali la garanzia del locatore non è dovuta ed il conduttore può agire direttamente contro i terzi ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 1585 cod. civ.
Le disposizioni contenute nell’art. 1585 cod. civ., concernenti l’obbligo del locatore di garantire il conduttore da molestie ad opera di terzi, non escludono che il conduttore, se non voglia avvalersi della garanzia medesima, possa agire direttamente contro l’autore delle molestie con l’azione di responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.[152]
- Casistica
– Si deve riconoscere in capo al conduttore il diritto alla tutela risarcitoria nei confronti del terzo che con il proprio comportamento gli arrechi danno nell’uso o nel godimento della «res locata»; in particolare, qualora a carico dell’appartamento locato si verifichi una infiltrazione d’acqua da un appartamento sovrastante, il conduttore, ex art. 1585, secondo comma, cod. civ., gode di una autonoma legittimazione per proporre l’azione di responsabilità nei confronti dell’autore del danno[153].
– Per la S.C.[154] in caso di danni cagionati dall’edificio, sussiste in capo al conduttore il diritto alla tutela risarcitoria nei confronti del condomino che con il proprio comportamento gli arrechi danno nell’uso o nel godimento della res locata, in quanto, qualora nell’immobile si verifichi una infiltrazione, il conduttore ex art. 1585 c.c., comma 2, gode di una autonoma legittimazione a proporre azione di responsabilità nei confronti dell’autore del danno
Inoltre anche se l’art. 1585, secondo comma, cod. civ. esclude che il locatore sia tenuto a garantire il conduttore dalle molestie di fatto di terzi, comunque resta salva la facoltà del conduttore di agire contro i terzi in nome proprio[155], senza impedire, tuttavia, al proprietario locatore di agire in proprio per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente subiti; ne discende che, qualora a carico dell’appartamento locato si verifichi un’infiltrazione d’acqua da un appartamento sovrastante, il locatore gode di un’autonoma legittimazione per proporre l’azione di responsabilità nei confronti dell’autore del danno.
In altre parole l’art. 1585 cod. civ., disciplina i rapporti tra il locatore ed il conduttore e che la facoltà dello stesso conduttore di agire personalmente contro il terzo, non essendo certo un suo obbligo, non esclude il ricorso ad altri strumenti di tutela giuridica.
Sulla scorta di tale presupposto ed in forza del principio (anche costituzionale) della libertà economica, di cui agli artt. 41 Cost. e 1321, 1322 e 1372 cod. civ., le parti di un rapporto di locazione abitativa possono risolvere il rapporto consensualmente, in caso di gravi molestie arrecate da un terzo al conduttore e tali da pregiudicare il normale godimento dell’immobile, sussistendo, in tale ipotesi, la legittimazione del locatore ad agire in giudizio contro il terzo ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.[156]
art. 1586 c.c. pretese da parte di terzi: se i terzi che arrecano le molestie pretendono di avere diritti sulla cosa locata, il conduttore è tenuto a darne pronto avviso al locatore, sotto pena del risarcimento dei danni.
Se i terzi agiscono in via giudiziale, il locatore è tenuto ad assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo. Il conduttore deve esserne estromesso con la semplice indicazione del locatore, se non ha interesse a rimanervi.
La norma dell’art. 1586 cod. civ. riguarda l’ipotesi del terzo che agisca in via giudiziale contro il conduttore, vantando un diritto sulla cosa locata a costui, prevenendo in tal caso la laudatio auctoris.
Al contrario, il conduttore è passivamente legittimato per le azioni nei suoi confronti proposte, allorché si basino su di una sua personale responsabilità per fatto illecito, lesivo del diritto di un proprietario confinante rispetto al bene locato[157].
Inoltre, nella controversia promossa per il rilascio d’immobile, nei confronti di chi si assuma occuparlo senza titolo, la circostanza che il convenuto, allegando un rapporto di locazione con un terzo, indichi il nome del locatore, non può implicarne l’estromissione, con la prosecuzione della causa contro detto locatore, secondo la previsione dell’art. 1586, secondo comma, cod. civ., qualora l’attore neghi la sussistenza di quel rapporto di locazione, atteso che permane in tal caso la legittimazione passiva del convenuto stesso rispetto all’oggetto della lite[158].
- Divieto d’innovazione
art. 1582 c.c. divieto d’innovazione: il locatore non può compiere sulla cosa innovazioni che diminuiscano il godimento da parte del conduttore.
Il divieto assume, a contrariis, anche un contenuto positivo, perché autorizza il locatore a compiere quelle innovazioni non pregiudizievoli o che, addirittura, migliorino il godimento del bene locato (si pensi all’installazione di un impianto di riscaldamento).
Per la Corte di legittimità[159] l’innovazione pregiudizievole per il godimento della cosa locata, vietata al locatore dall’art. 1582 cod. civ., è solo quella che viene posta in essere attraverso un mutamento dello stato di fatto con riferimento al quale sia ipotizzabile un divieto di modificazione che trovi la sua origine nel contenuto tipico delle obbligazioni contratte dal locatore secondo lo schema negoziale delineato dalla legge o per effetto di specifica clausola contrattuale; pertanto, non può essere inquadrata nella fattispecie indicata dall’art. 1582 cod. civ., ancorché idonea ad influire sull’utilità che il conduttore può trarre dalla cosa locata, l’innovazione consistente nella cessazione di un’attività, in senso lato, imprenditoriale del locatore, la cui prosecuzione, inerendo la libertà di iniziativa economica di una delle parti, non rientra nello schema tipico della locazione ma può entrare a fare parte del sinallagma contrattuale solo nell’ipotesi di espressa previsione.
Contro il divieto d’innovazioni il conduttore è tutelato con i normali rimedi che spettano al creditore in caso di violazione di un’obbligazione negativa:
1) la risoluzione del contratto, naturalmente solo se la diminuzione del godimento è apprezzabile ex artt. 1578 e 1455;
2) il risarcimento del danno;
3) o in alternativa l’eliminazione delle opere compiute in violazionene del divieto
Infine, può anche accadere che le parti del contratto di locazione, nell’ambito dei propri poteri di autonomia contrattuale, abbiano convenzionalmente stabilito, per quanto attiene all’uso della cosa locata, il divieto di ogni forma di innovazione, consentita solo con il consenso (scritto o orale) del locatore, ove il locatore si sia avvalso, ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., della clausola risolutiva espressa, il giudice — chiamato ad accertare l’avvenuta risoluzione del contratto per l’inadempimento convenzionalmente sanzionato — non è tenuto ad effettuare alcuna indagine sulla gravità dell’inadempimento stesso, giacché, avendo le parti preventivamente valutato che l’innovazione o la modifica dell’immobile locato comporta alterazione dell’equilibrio giuridico-economico del contratto, non vi è più spazio per il giudice per un diverso apprezzamento[160].
art. 1583 c.c. mancato godimento per riparazioni urgenti: se nel corso della locazione la cosa abbisogna di riparazioni che non possono differirsi fino al termine del contratto, il conduttore deve tollerarle anche quando importano privazione del godimento di parte della cosa locata.
Il conduttore, ancorché sia privato del godimento dell’immobile durante il periodo in cui il proprietario debba eseguire delle riparazioni, non perde, sino a quando non sia pronunciata la risoluzione del contratto di locazione, la detenzione dell’immobile, che può pertanto tutelare anche da se direttamente ed immediatamente nei confronti del proprietario[161].
art. 1584 c.c. diritti del conduttore in caso di riparazioni: se l’esecuzione delle riparazioni (vedi art. 1576) si protrae per oltre 1/6 della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti (20) giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all’intera durata delle riparazioni stesse e all’entità del mancato godimento Indipendentemente dalla sua durata, se l’esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l’alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.
È opportuno subito segnalare la differenza con l’art. 1583 dichiarata in una sentenza della S.C.[162] secondo la quale gli artt. 1583 e 1584 c.c. disciplinano due fattispecie diverse che hanno in comune il presupposto della necessità di riparazioni improcrastinabili della cosa locata, ma si differenziano, perché l’una attiene alla privazione temporanea parziale del godimento della cosa locata (artt. 1583 e 1584 primo comma), e la seconda all’impedimento temporaneo di ogni godimento della cosa (art. 1584 secondo comma) nel caso in cui «l’esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l’alloggio del conduttore e della sua famiglia», e in particolare l’art. 1584 secondo comma va interpretato nel senso che l’impedimento al conduttore del godimento della cosa nei termini indicati, che si protrae nel tempo, non è di per sé causa di scioglimento del contratto, spettando alla sua iniziativa di manifestare un interesse contrario alla prosecuzione del rapporto.
Ciò premesso l’art. 1584 cod. civ., è applicabile solo per le riparazioni poste dalla legge a carico del locatore, mentre per quelle che, per accordo negoziale, debbono essere eseguite dal conduttore, senza essere prevista alcuna deroga alla disciplina della citata norma, la conseguente riduzione del canone va limitata solo al periodo di tempo necessario per i lavori di riparazione, che il conduttore, per il dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti, è tenuto ad eseguire nel più breve tempo possibile[163].
- Risarcimento del danno oltre alla facoltà della richiesta di riduzione del corrispettivo
Il mancato godimento del bene locato durante l’esecuzione di riparazioni da parte del locatore, che di per sé non implica il diritto del conduttore al risarcimento del danno, bensì, ai sensi dell’art. 1584 cod. civ., la facoltà di chiedere una riduzione del corrispettivo ovvero la risoluzione del rapporto, può determinare l’insorgenza di detto diritto, a titolo di responsabilità contrattuale del locatore, (nonché a prescindere dall’attribuibilità del fatto al terzo appaltatore dei lavori e dall’autonoma responsabilità risarcitoria dello stesso per illecito aquiliano) ove si deduca e dimostri il verificarsi, in derivazione causale rispetto a quelle riparazioni, di un pregiudizio ulteriore e diverso riguardo alla diminuzione o perdita dell’utilizzabilità del bene locato (quale, in caso di locazione ad uso commerciale, la perdita di clientela per effetto delle modalità di esecuzione dei lavori), atteso che, nell’indicata situazione, è configurabile un’autonoma inadempienza del locatore all’obbligo di garantire il pacifico godimento della cosa locata[164].
In tema di risarcimento del danno derivante al conduttore dal mancato godimento di un appartamento per il tempo occorrente a ripararlo, il principio secondo il quale il danneggiato ha diritto di rivalersi delle spese sopportate per procurarsi un altro appartamento va coniugato, da un canto, con l’esigenza che l’immobile presenti caratteristiche similari (non peggiori) a quello temporaneamente inagibile, dall’altro, con quella che, sul danneggiante, non gravi un obbligo risarcitorio eccedente la sua effettiva responsabilità, con la conseguenza che, qualora l’appartamento sostitutivo abbia un valore locativo maggiore (nella specie, doppio) rispetto al primo, il giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, deve, da un canto, evitare una locupletazione eccedente il danno in favore del conduttore, dall’altro tenere conto — qualora il locatore non offra altro idoneo appartamento, obbligando la controparte a procurarselo — di una serie di fattori, tra cui la situazione di particolare urgenza del conduttore stesso e le condizioni di mercato, che possono rendere obbligata la scelta di un appartamento di più alto valore (nel qual caso, non potendo la differenza di canone gravare sul conduttore danneggiato, è ragionevole ritenere che essa debba essere sopportata dal locatore danneggiante)[165].
- Divieto di modificazione dell’uso dei beni
Per la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 25 ottobre 2012, n. 41675
l’azione manifestatasi attraverso l’estinzione dei contratti di somministrazione delle forniture di energia e di acqua relative all’appartamento affittato realizza un concreto e specifico mutamento di destinazione dei beni “portati” dalle utenze (gas metano, energia elettrica, acqua) integrante il reato di cui all’articolo 392 c.p., tradottosi nel modificarne o impedirne l’originaria utilizzazione loro propria, funzionale ad un normale uso della stessa unita’ abitativa concessa in locazione (cfr. Cass. Sez. 6, 17.12.2008 n. 6187/09, Perucci, rv. 243053).
Si legge nella sentenza in commento che correttamente i giudici di merito hanno inquadrato la condotta della ricorrente nella categoria della violenza realizzatrice del reato nella sua manifestazione di “mutamento di destinazione” della cosa oggetto dell’arbitraria autotutela del soggetto agente.
Non è dubitabile che la cessazione delle utenze intestate alla proprietaria locatrice, senza l’assenso del legittimo conduttore, ha determinato, quale effetto automatico, secondo la palese intenzione della locatrice (questo essendo il suo obiettivo, strumentale ad un anticipato rilascio dell’immobile da parte del locatario), l’immediato distacco delle forniture in favore dell’appartamento abitato dal conduttore e dalla sua famiglia. Un esito lesivo che, in forma derivata, ha dato luogo ad una non breve inutilizzabilità del bene immobile concesso in locazione, rendendolo in sostanza “invivibile” per un apprezzabile tempo (una settimana o poco più), necessario al conduttore per ottenere il ripristino delle erogazioni dell’energia e dell’acqua, nonchè inducendo l’intera famiglia (con due bambini piccoli) ad avvalersi dell’ausilio di terzi per le loro elementari esigenze di vita. Il dato per cui il conduttore, al momento dei fatti legittimo locatario dell’abitazione, sia stato in grado di provvedere alla riattivazione delle forniture non elide l’oggettiva rilevanza del periodo di durata della “violenza” (mutamento di destinazione/inutilizzabilità del bene) costitutiva del contestato reato (v. Cass. Sez. 6, 28.10.2008 n. 4373/09, Sola, rv. 242775).
4) Restituzione del deposito cauzionale (c.d. caparra)
[166] [167] [168]
In tema di locazione, l’obbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore, a garanzia degli obblighi contrattuali, sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione ha per oggetto un credito liquido ed esigibile, che legittima il conduttore ad ottenere decreto ingiuntivo.
Principio ribadito da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 25 febbraio 2015, n. 3882
In tal caso i diritti del locatore potranno essere fatti valere in sede di opposizione all’ingiunzione, sempre che la sua pretesa sia compresa nei limiti della competenza del giudice che ha emesso il decreto[169].
L’obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sorge al termine della locazione, ma soltanto se il conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, giacché, diversamente, assume rilievo la funzione specifica del deposito, che è quella di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del conduttore[170].
Infine secondo altra pronuncia[171] l’obbligazione del locatore di restituire al conduttore il deposito cauzionale dal medesimo versato in relazione gli obblighi contrattuali — tramite la consegna di denaro o di altre cose mobili fungibili con funzione di garanzia dell’eventuale obbligo di risarcimento del danno del cauzionante — sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, il conduttore può esigerne la restituzione.
Tuttavia, ove avvenga lo svincolo, volontario o coattivo, dei beni oggetto di deposito, in via di principio non può riconoscersi a siffatta evenienza, proprio in ragione della anzidetta funzione tipica dell’istituto, un effetto diverso ed ulteriore rispetto a quello della perdita della garanzia liquida dal deposito stesso rappresentata, non potendosi, quindi, inferire, sempre e comunque, dalla sua dismissione l’insussistenza di obbligazioni inadempiute del conduttore o di danni da risarcire.
Si è rilevato[172] che l’obbligo posto a carico del locatore di corrispondere annualmente al conduttore gli interessi maturati sul deposito cauzionale trae origine dall’esigenza di evitare che venga altrimenti riconosciuto al locatore un supplemento di canone surrettizio, con la conseguenza che detti interessi, in particolare, devono essere corrisposti anche in difetto di richiesta del conduttore.
In materia di locazioni, la regola dettata dall’art. 11 legge n. 392/1978 sul deposito cauzionale, non prevede affatto una scadenza di anno in anno degli interessi sul deposito cauzionale, consentendo al locatore di corrispondere l’intera somma, costituita da capitale e interessi, alla scadenza contrattuale definitiva[173].
Benché sul piano del diritto sostanziale la cauzione produca sempre interessi in favore del conduttore che l’abbia versata, ai sensi degli artt. 11 e 41 legge n. 392/1978, sul piano processuale, il locatore può essere condannato al pagamento di tali interessi solo se il conduttore abbia proposto ritualmente una domanda in tal senso, non potendo altrimenti il giudice provvedervi di ufficio[174].
Il principio di inderogabilità della disciplina normativa dettata in materia di deposito cauzionale contenuta nell’art. 11 legge n. 392/1978 non opera con riferimento ai contratti di locazione stipulati sotto la vigenza della novella normativa di cui alla legge n. 431/ 1998, poiché deve ritenersi che – secondo la nuova disciplina locatizia – le parti possano legittimamente prevedere che il deposito cauzionale non sia produttivo di interessi[175].
10) Obblighi del conduttore
art. 1587 c.c. obbligazioni principali del conduttore: il conduttore deve:
1) prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze
- La consegna
Poiché non si tratta di un onere (coloro che evidenziano tale natura[176], quale espressione del dovere di cooperazione all’adempimento del locatore – debitore, sostengono l’applicabilità in via esclusiva, attraverso la c.d. offerta d’intimazione quale necessario presupposto, della disciplina in tema di mora credendi o accipiendi, disciplinata agli artt. 1206 ss, nei confronti del locatario – creditore inadempiente), ma di una vera e propria obbligazione[177] da parte del locatario, il suo inadempimento (rectius non prendere in consegna la cosa) giustifica, nei casi di particolare gravità, la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno.
- Concessioni autorizzazioni amministrative[178]
In merito c’è stato un lungo iter giurisdizionale in quanto in origine la S.C.[179] ha stabilito che salvo patto contrario, non è onere del locatore ottenere le eventuali autorizzazioni amministrative necessarie per l’uso del bene locato; pertanto, nel caso in cui il conduttore non ottenga la suddetta autorizzazione, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al locatore, quand’anche il diniego di autorizzazione sia dipeso dalle caratteristiche del bene locato. Inoltre, la destinazione particolare dell’immobile locato, tale da richiedere che l’immobile stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto soltanto se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento della idoneità dell’immobile da parte del conduttore.
Successivamente con altra pronuncia[180] in tema di locazione di bene immobile destinato ad uso diverso da abitazione, il locatore deve garantire non solo l’avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso del bene immobile, ovvero la relativa abitabilità, ma, essendo obbligato a mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto, anche il loro persistere nel tempo. Ne consegue che, ove venga per qualsiasi motivo sospesa l’efficacia dei suddetti provvedimenti e il conduttore venga a trovarsi nell’impossibilità di utilizzare l’immobile per l’uso pattuito, sussiste inadempimento del locatore, che non può al riguardo addurre a giustificazione (e pretendere, conseguentemente, il pagamento del canone maturati nel periodo di inutizzabilità dell’immobile) l’illegittimità del provvedimento di sospensione adottato della P.A.
Invece, poi, secondo ultima Cassazione[181], nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative.
Inoltre, ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato.
Concetto già enunciato dalla Corte Capitolina[182] secondo la quale nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative. Da ciò consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato. La destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore.
Quest’ultimo principio è stato estrapolato da altra massima della Cassazione[183] secondo la quale la destinazione particolare dell’immobile locato, tale da richiedere che l’immobile stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto soltanto se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento della idoneità dell’immobile da parte del conduttore.
Con ultimo arresto la cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 giugno 2014, n. 13651
ha, altresì, precisato che solo quando l’inagibilità o l’inabitabilità del bene attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire il rilascio degli atti amministrativi relativi alle dette abitabilità o agibilità e da non consentire l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatta salva l’ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere tali atti.
Sul punto è nuovamente tornata la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 26 ottobre 2015, n. 21709
affermando il seguente principio: nella locazione di immobile per uso diverso da quello abitativo, il locatore e’ inadempiente ove non abbia ottenuto – in presenza di un obbligo specifico contrattualmente assunto – le autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarita’ del bene sotto il profilo edilizio (e, in particolare, la sua abitabilita’ e la sua idoneita’ all’esercizio di un’attivita’ commerciale), ovvero quando le carenze intrinseche o le caratteristiche proprie del bene locato ostino all’adozione di tali atti e all’esercizio dell’attivita’ del conduttore in conformita’ all’uso pattuito (Cass., 19 dicembre 2014, n. 26907; Cass., 16 giugno 2014, n. 13651).
Ancora e si spera in maniera definitiva la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 gennaio 2016, n. 666
da ultimo, aderendo all’orientamento espresso dalla Cassazione del 16 giugno 2014, ha nuovamente affermato che nel contratto di locazione di un immobile per uso diverso da quello di abitazione, la mancanza delle autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio – e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale o, come nella specie, professionale – costituisce inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1578 c.c., a meno che il conduttore non sia a conoscenza della situazione e l’abbia consapevolmente accettata. Solo quando l’inagibilità o l’inabitabilità del bene attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche proprie del bene locato, si da impedire il rilascio degli atti amministrativi relativi alle dette abitabilità o agibilità e da non consentire l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatta salva l’ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere tali atti.
Purtroppo, non paga degli innumerevoli arresti, la Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 dicembre 2021| n. 41744.
ha di nuovo chiarito che in tema non di mancanza in astratto delle qualita’ dell’oggetto del contratto rispetto a quelle rappresentate (v., condivisibilmente sul punto, Cass. ord., 13/06/2018, n. 15378) ed evidenziandosi che il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (v. da ultimo Cass. 21/08/2020, n. 17557), al quale va data continuita’ in questa sede, proprio sul rilievo della diretta inerenza della nozione di “vizio” della cosa locata (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1578 c.c.) alla struttura materiale del bene, ha escluso dal tema dei vizi della cosa (oltre che da quello sulla validita’ contrattuale) tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa, in se’ considerata (ossia, secondo la propria destinazione economica), o in conformita’ all’uso convenuto tra le parti, dovendo tale questione integralmente risolversi sul terreno dell’adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti (v., da ultimo, Cass. 20/08/2018, n. 20796 e Cass. 26/07/2016, n. 15377) e non gia’ sul piano dei vizi della cosa locata, come pure un non trascurabile orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (Cass., ord., 13/06/2018, n. 15378, gia’ richiamata sotto altro profilo, e Cass. 7/06/2011, n. 12286) ha in piu’ occasioni (incondivisibilmente) ritenuto di poter fare.
- La diligenza nell’uso[184]
Essa non è altro se non l’applicazione del principio generale contenuto nella normativa sull’adempimento e, precisamente, nell’art. 1176.
art. 1176 c.c. diligenza nell’adempimento: nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (703, 1001, 1228, 1587, 1710-2, 1768, 2148, 2167).
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (1838 e seguente, 2104-1, 2174-2, 2236).
L’obbligo del conduttore di osservare nell’uso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, a norma dell’art. 1587 n. 1 cod. civ., con il conseguente divieto di effettuare innovazioni che ne mutino la destinazione e la natura, è sempre operante nel corso della locazione[185], indipendentemente dall’altro obbligo, sancito dall’art. 1590 cod. civ., di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello stesso stato in cui è stata consegnata, sicché il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo l’osservanza dell’obbligazione di cui all’art. 1587 n. 1 e di agire nei confronti del conduttore inadempiente.
Poi, in realtà, non tutte le alterazioni o le modificazioni afferenti l’integrità della cosa locata — una volta che sia rispettata la natura e la destinazione di essa, siccome pattuita dalle parti — integrano una violazione dell’obbligo, posto a carico del conduttore, di usare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia, idonea a legittimare la risoluzione del contratto, occorrendo in concreto accertare l’entità delle eventuali modifiche apportate alla cosa locata e quindi valutarne gli effetti onde stabilire se ne sia derivata un’apprezzabile alterazione all’equilibrio giuridico economico del contratto in pregiudizio del locatore[186].
In senso generale con recente provvedimento la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 settembre 2016, n. 18983
ha ribadito che il conduttore ha l’obbligo di servirsi del bene locato per l’uso determinato in contratto dovendosi escludere che il godimento del bene possa estendersi oltre l’ambito delle facoltà convenute o desumibili dalle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto; cosicché si ha inadempimento ogni qual volta il godimento, svolgendosi oltre detti limiti, sia abusato
ll conduttore viola l’obbligo di usare la diligenza del buon padre di famiglia nel godimento della cosa locata non soltanto quando rechi danni materiali alla stessa, ma anche quando agisca in modo tale da ledere l’interesse del locatore alla conservazione del suo valore locativo.
Ad esempio, in particolare, il comportamento del conduttore che consenta l’esercizio del meretricio nell’immobile locato ad uso albergo, anche se riveste carattere di illecito penale, può assurgere a causa determinante della risoluzione del contratto se si concreti in una violazione dell’articolo 1587 cod. civ. e, cioè, in un abuso della «res» locata che in qualche modo la pregiudichi[187].
- L’osservanza della destinazione d’uso
Essa non s’identifica con il dovere di diligenza, perché non può escludersi che il conduttore, anche superando i limiti di destinazione pattuiti, sia diligente nel servirsi della cosa: si pensi al conduttore che, pur mantenendo in buone condizioni l’immobile locatogli, lo adibisca non ad abitazione, ma a studio professionale.
L’uso diverso da quello contrattuale che legittima il locatore a chiedere la risoluzione del contratto non è qualsiasi mutamento di destinazione, ma solo quello che comporti un corrispondente mutamento di regime giuridico.
Restano estranei alla previsione normativa quei cambiamenti d’uso dai quali non derivi innovazione nella disciplina giuridica del rapporto, in relazione ai quali è configurabile soltanto un inadempimento contrattuale legittimante il ricorso all’ordinaria azione di risoluzione.
Conseguentemente il mutamento, anche parziale, della pattuita destinazione della cosa locata costituisce inadempimento di una delle obbligazioni principali del conduttore da valutarsi alla stregua della ordinaria disciplina del codice civile.
Pertanto ha carattere di gravità e può comportare la risoluzione del contratto, solo ove si traduca in una rilevante violazione del contratto medesimo in relazione alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché all’interesse del locatore.
La modificazione dell’uso della cosa locata, come motivo di risoluzione del contratto per colpa del conduttore, va intesa non in senso assoluto e astratto[188], ma in senso relativo all’interesse del locatore, il quale ha diritto non solo a non vedere pregiudicato in suo danno l’equilibrio giuridico-economico del patto locatizio, ma anche alla conservazione della res locata, con il suo status di liceità urbanistica, le sue caratteristiche catastali, le sue strutture originarie e la sua destinazione assentita.
Tale obbligo è sempre operante nel corso della locazione, cosicché il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo l’osservanza di tali obblighi e di agire nei confronti del conduttore inadempiente[189].
Se il conduttore muta l’uso pattuito dell’immobile e il locatore non chiede la risoluzione del contratto entro tre mesi da quando ne è venuto a conoscenza, al rapporto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo[190] – principio attuato anche per l’uso promiscuo – (art. 80 primo e secondo comma legge 27 luglio 1978 n. 392) con decorrenza dalla scadenza di detto termine perché il consenso del locatore — presunto iuris et de iure — al mutamento dell’uso, in conseguenza della rinunzia a chiedere la risoluzione, non può essere più ampio di questa che, per la natura del contratto di locazione, non ha effetti retroattivi (art. 1458 cod. civ.).
La ratio[191] dell’art. 80 della legge n. 392 del 1978[192] è quella di applicare agli immobili locati il regime giuridico corrispondente al loro uso effettivo onde evitare che il locatore venga a subire, per iniziativa del conduttore, una disciplina del rapporto diversa da quella convenzionalmente pattuita, con la conseguenza che il concetto di «uso diverso da quello contrattuale», che legittima il locatore a chiedere la risoluzione del contratto con la specifica azione di cui al citato articolo, nei limiti temporali ivi fissati ed a pena di decadenza, non si identifica con qualsiasi mutamento di destinazione, bensì solo con quello che comporti un corrispondente mutamento di regime giuridico, ferma restando l’esperibilità della comune azione di risoluzione per inadempimento prevista dagli artt. 1453 e ss. cod. civ. (che postula, peraltro, la valutazione dell’inadempimento a termini dell’art. 1455 cod. civ.) per le diverse ipotesi di cambiamento della destinazione della res locata.
La diversa destinazione dell’immobile è quella che si realizza in concreto con l’effettivo diverso uso della cosa locata, sicché è solo da tale momento che inizia a decorrere il suddetto termine perentorio per chiedere la risoluzione del contratto, non potendo venire in rilievo, a tal fine, una situazione di semplice conoscenza della sola intenzione del conduttore.
In difetto di strumenti di conoscenza legale dello stato di fatto integrante il mutamento, di tale mutamento si esige l’effettiva conoscenza da parte del locatore, conoscenza che si configura necessariamente in rapporto a una situazione concreta e attuale di uso diverso, e non a un progetto di mutamento di destinazione, che il conduttore potrebbe anche non attuare[193].
Per ultimo adagio della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 marzo 2015, n. 5473
ad esempio il locatore può risolvere il contratto per inadempimento del conduttore per abuso della cosa locata e chiedere altresì il risarcimento del danno se l’immobile viene utilizzato come casa d’appuntamenti. Nella specie, si trattava di un piccolo albergo cittadino che era stato adibito dai conduttori in un luogo adibito all’esercizio del meretricio. Ciò aveva leso il valore locativo dell’immobile alterando l’equilibrio economicogiuridico del contratto in danno del locatore per il degrado morale ed economico dell’immobile e legittimando in tal modo la risoluzione giudiziale.
- Il non uso
Mentre il conduttore d’immobile destinato ad uso non abitativo non ha di regola l’obbligo di usare il bene locato, ad eccezione dei casi in cui
1) il contratto abbia ad oggetto o una cosa produttiva o un bene il cui uso sia necessario alla sua conservazione, ovvero
2) quando il prolungato non uso potrebbe provocare un deprezzamento del valore di mercato del bene locato, come nel caso di immobile destinato ad un esercizio commerciale che resti chiuso per più anni.
Nelle suddette ipotesi, come in quella in cui un determinato uso della cosa sia stato specificamente assunto come obbligatorio tra le parti nel sinallagma contrattuale, il non uso della cosa locata posto a base della domanda di risoluzione contrattuale deve essere valutato, non ai sensi dell’art. 80 legge equo canone che contempla il caso di unilaterale mutamento di uso dell’immobile locato, bensì alla stregua dei criteri generali in tema di inadempimento contrattuale[194].
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il non uso della cosa locata non equivale a mutamento di destinazione d’uso[195], ai sensi dell’art. 80 della legge 27 luglio 1978, n. 392, che riguarda esclusivamente il mutamento di destinazione comportante un mutamento del regime giuridico del contratto, ma deve essere valutato alla stregua dei criteri generali in tema di inadempimento contrattuale, secondo i disposti dell’art. 1455 in relazione all’art. 1587 cod. civ., tenendo presente che il conduttore di immobile destinato ad uso non abitativo non ha generalmente l’obbligo di usare l’immobile, tranne nelle ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva o un bene per cui l’uso sia necessario alla sua conservazione o, ancora, nell’ipotesi in cui un determinato uso della cosa sia stato specificamente assunto come obbligatorio dalle parti nel sinallagma contrattuale.
- L’uso promiscuo/parziale
La mancata previsione espressa, nella legge 27 luglio 1978, n. 392, dell’ipotesi di locazione di immobile adibito ad uso promiscuo non impedisce alle parti di concordare la destinazione a più usi dell’immobile locato soccorrendo, ai fini dell’individuazione della disciplina giuridica del rapporto, la possibilità di applicazione analogica del principio dell’uso prevalente stabilito, dal secondo comma dell’art. 80 della predetta legge, per l’ipotesi di mutamento parziale della destinazione d’uso[196].
Qualora la destinazione a uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso prevalente (art. 80, legge n. 392/1978).
Conseguentemente, in caso di prevalenza dell’uso commerciale con contatti diretti con il pubblico, l’indennità di cui all’art. 34, legge n. 392/1978 va commisurata all’intero canone corrisposto per l’immobile concesso in locazione e non già a una parte del canone proporzionata alla sola superficie adibita all’uso commerciale predetto[197].
Un ampio dibattito in ordine al regime giuridico applicabile e alla spettanza o meno dell’indennità[198] per perdita dell’avviamento commerciale si è sviluppato relativamente all’ipotesi di uso promiscuo dell’immobile locato oltre alla fattispecie già descritta in merito al mutamento totale o parziale dell’uso pattuito da parte del conduttore quando nel bene locato venga svolta attività che comporti contatti diretti con il pubblico dei consumatori.
Un primo orientamento giurisprudenziale riteneva che nel caso di uso promiscuo l’indennità competeva al conduttore indipendentemente dalla prevalenza o meno dell’attività che comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e consumatori esercitata nell’immobile locato. In sostanza ove si dimostrava che un immobile era stato, durante il rapporto locatizio, utilizzato solo in parte ad attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, l’indennità di avviamento competeva solo per quella parte dell’immobile che aveva avuto la predetta utilizzazione, anche se si trattava di parte minima rispetto all’intera superficie dell’immobile.
Tale indirizzo[199] asseriva che occorreva individuare l’ambito spaziale nel quale si svolgeva il contatto diretto con il pubblico dei consumatori che consentiva la determinazione, anch’essa stabilita proporzionalmente, del corrispondente canone della locazione e della corrispondente indennità per perdita di avviamento commerciale. Quindi il diritto all’indennità per perdita dell’avviamento veniva riconosciuto anche quando solo una parte dello stabile (o più parti di esso unitariamente locati) era stato utilizzato per lo svolgimento della vendita al pubblico degli utenti e consumatori.
A questa impostazione si contrapponeva la tesi secondo cui l’indennità competeva solo quando l’attività che determinava la sussistenza del diritto del conduttore all’indennità era prevalente.
Il contrasto è stato definitivamente risolto con l’intervento delle Sezioni Unite[200] che hanno enunciato il principio di diritto secondo cui l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale spetta secondo la prevalenza dell’uso effettivo dell’immobile locato.
Secondo questa interpretazione, confermata anche da recenti pronunce, in caso di immobile a uso promiscuo (ovvero adibito a più attività) è la destinazione prevalente a determinare la disciplina giuridica applicabile al contratto di locazione. In particolare ai fini dell’indennità di avviamento, una volta individuata l’attività prevalentemente svolta dal conduttore nell’immobile (tra le varie cui esso è adibito), è esclusivamente a essa e alle sue modalità di svolgimento che deve aversi riguardo per stabilire se ricorrano le condizioni cui all’art. 35 e segnatamente se l’attività commerciale, artigianale ecc., svolta dal conduttore nell’immobile comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, senza che le altre attività possano venire in rilievo per riconoscere in parte (nel caso di immobile non prevalentemente – o marginalmente – adibito ad attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori), o per ridurre (nell’ipotesi inversa) l’indennità di avviamento, stabilita dall’art. 34, legge n. 392/1978.
In sostanza, nel caso di immobile adibito a più usi o attività imprenditoriali differenti, l’attività tra esse prevalente viene ad assumere un ruolo determinante ai fini della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie, sotto ogni aspetto.
Spetta, poi, al conduttore l’onere di fornire, con qualsiasi mezzo, la prova che i locali locati siano effettivamente destinati ad attività che comporta il contatto con il pubblico e che, quindi, tali locali siano aperti alla frequentazione diretta e indifferenziata dei clienti che abbiano necessità e interesse a entrare in contatto con l’impresa. Il conduttore, pertanto, è gravato dall’onere di provare non solo di aver esercitato nell’immobile una delle attività per le quali l’indennità è prevista, ma anche che l’attività stessa comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori.
Il conduttore viene sollevato da tale onere probatorio[201] ove siffatta frequentazione risulti implicitamente, in virtù del notorio, dalla destinazione dell’immobile ad attività che necessariamente la implichi[202].
Se la destinazione dell’immobile a un’attività che comporti contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori è stabilita contrattualmente, il conduttore è tenuto solo a fornire la prova del contratto che prevede la predetta destinazione mentre spetta al locatore che eccepisce la diversa destinazione effettiva fornire la prova di questa come fatto impeditivo della pretesa del conduttore.
Nel caso di locazione di immobile per uso promiscuo, ovvero per lo svolgimento di attività plurime, alcune soltanto delle quali comportanti il contatto diretto col pubblico degli utenti e dei consumatori e altre no, la prevalenza del primo tipo di uso rispetto al secondo deve essere provata dal conduttore che, alla cessazione del rapporto, reclami la corresponsione dell’indennità per la perdita di avviamento commerciale.
Il criterio della prevalenza dell’uso per stabilire il regime giuridico della locazione di un immobile, ai fini dell’indennità di avviamento commerciale, della prelazione e del riscatto, è applicabile se con un unico contratto è pattuita la locazione di un unico immobile, adibito ad uso promiscuo, ma se invece parti di un unico immobile sono locate con separati contratti, l’uso determinante la disciplina giuridica di ciascuna di esse è quello stabilito dalla volontà contrattuale[203].
Infine, è stato affermato[204] che il conduttore, il quale agisca per il versamento dell’indennità da perdita dell’avviamento commerciale in difetto di contestazione da parte del locatore convenuto, non ha l’onere di provare anche che l’attività comportante contatto diretto col pubblico fosse lecitamente svolta sotto il profilo amministrativo, giacché non si ha l’onere di provare i fatti che non siano contestati e poiché corrisponde all’“id quod plerumque accidit” che chi esercita un’attività commerciale sia munito delle necessarie autorizzazioni per svolgerla.
Con massima estrapolata da altra sentenza della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 novembre 2013, n. 26225
che successivamente sarà meglio trattata in merito al relativo paragrafo sull’indennità, è stato affermato che qualora tale richiesta volta ad ottenere la corresponsione dell’indennità di avviamento commerciale ex art. 34 legge n. 392/78 venga formulta in riconvenzionale, trattandosi di un requisito di fondatezza della domanda riconvenzionale, a fronte della specifica contestazione dei locatori, l’attore in riconvenzionale ha l’onere di provare il possesso delle prescritte autorizzazioni.
- Mutamento d’uso e diritto di prelazione
Ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione di cui all’art. 38, legge 27 luglio 1978, n. 392[205] rileva la destinazione effettiva dell’immobile locato, ove lo stesso venga successivamente utilizzato per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e non quella diversa originariamente pattuita, ove il proprietario non abbia tempestivamente esperito a norma dell’art. 80 della legge n. 392 del 1978 l’azione di risoluzione del contratto a seguito del mutamento di uso da parte del conduttore, considerato che il mancato esercizio di detta azione di risoluzione deve essere interpretato come implicito consenso al mutamento d’uso.
Ne consegue che il conduttore che si voglia avvalere della facoltà di prelazione è tenuto a provare, oltre all’intervenuto mutamento della destinazione, l’avvenuta decorrenza del termine a disposizione del locatore per proporre l’azione di risoluzione[206].
2) dare il corrispettivo[207] nei termini convenuti
In quanto costituisce la controprestazione dell’attribuzione del godimento.
Il credito del locatore al corrispettivo (detto anche canone[208]) sorge al momento stesso della conclusione del contratto anche se, per la sua tipica frazionabilità, è assoggettato a termini prestabiliti di esigibilità.
E’ opportuno subito (perchè si avrà modo successivamente di affrontare il tema nell’ambito delle azioni a tutela) segnalare, come anche da ultimo intervento della Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 settembre 2014, n. 19865
che il mancato pagamento di una sola rata, o anche il semplice ritardo nel versamento, può giustificare la risoluzione del contratto di locazione se previsto da una clausola risolutiva espressa.
In materia di contratto di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati (del tutto diversi e indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta) deve ritenersi legittima (ex artt. 32 e 79 della legge sull’equo canone), salvo che essa non costituisca un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria[209] (nel qual caso è nulla).
Il canone viene normalmente versato al locatore con cadenza mensile o trimestrale. A seguito dell’integrale liberalizzazione della misura del corrispettivo, non c’è ostacolo ad ammettere la liceità di una clausola che, invece, ne preveda il pagamento in un’unica soluzione.
E’ stato anche precisato da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 settembre 2016, n. 18991
riaffermando un principio già espresso che in riferimento alla clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito la rende inoperante, ma la clausola riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volonta’, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni.
Inoltre, è bene chiarire, che essendo possibile pignorare il canone locatizio, secondo la S.C.
Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 17 ottobre 2016, n. 20952
il terzo pignorato (il conduttore) non puo’ essere costretto a proseguire contro la sua volonta’ il rapporto di locazione, qualora abbia la facolta’ di sciogliersene secondo le regole che disciplinano il suo rapporto, sol perche’ i canoni siano stati oggetto di pignoramento
- Il modo
Sempre, in mancanza di un accordo anche tacito delle parti, si ritiene, soprattutto in giurisprudenza, che il locatore abbia diritto di pretendere il pagamento in contanti.
Ad esempio, proprio per altra recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 marzo 2014, n. 5786
è stata dichiarata la risoluzione del contratto di locazione stante la previsione contrattuale secondo la quale il canone di locazione dovesse essere pagato in contanti presso il domicilio della locatrice avendo invece la conduttrice sempre pagato a mezzo bonifico bancario, senza autorizzazione della locatrice.
L’invio di un titolo di credito improprio, quale un vaglia postale, per effettuare il pagamento del canone di locazione non ha efficacia liberatoria se non venga accettato dal creditore-locatore, sia perché, a norma dell’art. 1277 cod. civ., i debiti pecuniari si estinguono solo con moneta avente corso legale nello Stato, sia perché, a norma dell’art. 1182 cod. civ., essi debiti vanno adempiuti nel domicilio del creditore al tempo della scadenza, e l’invio del vaglia comporta la sostituzione di questo domicilio con la sede dell’ufficio postale presso cui il titolo è riscuotibile.
Tuttavia l’efficacia liberatoria può ravvisarsi qualora la pregressa e prolungata accettazione dei canoni nella forma suddetta manifesti tacitamente il consenso del creditore, di cui all’art. 1197 cod. civ., alla prestazione diversa da quella dovuta.
Il detto comportamento del creditore può essere idoneo anche ad escludere lo stato soggettivo di colpa del debitore inadempiente, e quindi la sua dimora, idonea a permettere la risoluzione del contratto[210].
Per altra sentenza della S.C. [211], che riprende a pieno il principio testè indicato, integra grave inadempimento del conduttore — per inosservanza del fondamentale obbligo previsto dall’art. 1587 n. 2 cod. civ. — la persistente corresponsione del canone locatizio per mezzo di vaglia postali, nonostante il ripetuto invito del locatore al rispetto dell’obbligo contrattuale di pagamento, in denaro contante, nel suo domicilio.
Né vale a liberare il conduttore dall’obbligo di versare il canone il deposito su un libretto di risparmio delle somme che si presumono dovute, quando tale libretto non è posto nella materiale disponibilità del locatore. L’accordo delle parti in ordine all’anzidetto deposito non vale peraltro a escludere la morosità del conduttore in quanto, di fronte all’intenzione di una delle parti di non adempiere, il consenso del locatore all’adozione di una cautela diretta a scongiurare il pericolo di non realizzare il proprio credito non implica necessariamente l’assenso alla sospensione dei pagamenti: ancor più nel caso in cui poi le somme risultino effettivamente dovute.
Mentre il pagamento del canone mediante assegno bancario inviato per posta può avere efficacia liberatoria per il conduttore se tale modalità è prevista dal contratto o accettata dal locatore. L’assegno però deve pervenire al domicilio del creditore (art. 1182, terzo comma, cod. civ.) entro il termine stabilito per il pagamento, rimanendo a carico del conduttore i rischi del ritardo o del disguido derivanti dall’utilizzazione del servizio postale[212].
Secondo poi una recente pronuncia della Corte Partenopea (Corte di Appello di Napoli – Sentenza maggio 2015 n. 1727) non può essere dichiarata la risoluzione per morosità del contratto di locazione ad uso commerciale se la società conduttrice abbia pagato con bonifico bancario e non presso il domicilio della locataria come previsto contrattualmente. Con questa motivazione la Corte di Appello di Napoli, sentenza n. 1727/2015, ribaltando la decisione di primo grado, ha accolto il ricorso del conduttore condannando il proprietario a restituire l’immobile che era stato costretto ad abbandonare.
Sul punto la sentenza chiarisce che «se è vero che tale modalità di pagamento costituisce, ove non concordata, inesatto adempimento, è pur vero che essa è indicativa della seria volontà del conduttore di adempiere». Infatti, una volta accreditata la somma «esce definitivamente dalla disponibilità dell’ordinante». Tale pagamento equivale – perciò – ad un’offerta non formale ex articolo 1220 c.c. «idonea ad impedire la risoluzione per inadempimento in quanto connotata dei caratteri della serietà consistita nell’effettiva introduzione dell’oggetto della prestazione dovuta nella disponibilità della parte creditrice, nonché nella comunicazione di tale fatto alla medesima», avvenuta tramite tempestivo telegramma.
Del resto, l’accreditamento sul conto ha preceduto la notifica dell’intimazione di sfratto, per cui non si verte neppure «nell’ipotesi del 3 comma dell’art. 1453 c.c. in cui il conduttore in mora di un immobile ad uso non abitativo abbia adempiuto la propria obbligazione solo dopo che il locatore abbia domandato la risoluzione del contratto». In quel caso infatti l’inadempiente non più adempiere. Il proprietario ha però replicato di aver restituito la somma con vaglia postale, di cui ha offerto prova. Sennonché, ad avviso della Corte, «ciò non è sufficiente a far ritenere legittimo il suo rifiuto perché avrebbe dovuto chiarire qual era il giustificato motivo, da valutare secondo le regole della correttezza e della buona fede oggettiva, che lo indusse addirittura a restituire una somma che ormai aveva definitivamente incamerato, prima che il giudizio iniziasse». Secondo la Cassazione (5235/1999), infatti, «nei contratti a prestazioni corrispettive, il contraente non inadempiente non può, prima di proporre la domanda di risoluzione del contratto, rifiutare l’adempimento tardivo dell’altro contraente qualora una idonea offerta di adempimento sia intervenuta». A questo punto, conclude la sentenza, «neppure ha pregio la questione concernente la richiesta di applicazione della clausola risolutiva espressa, per essere questa inoperante nel caso di accertata insussistenza della mora nel pagamento, in virtù della precedente offerta ex art. 1220 c.c.».
Infine, in tema di locazione di immobili urbani, l’art. 5 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sulla «predeterminazione» della gravità dell’inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, atteso che tale norma è specificamente dettata per le locazioni ad uso abitativo, non è richiamata nella disciplina di quelle non abitative, ed altresì si correla alle peculiari regole, anche sulla determinazione del canone, che operano per le locazioni del primo tipo.
Ne consegue che, per le locazioni non abitative, ferma restando l’operatività dell’art. 55 della citata legge con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 cod. civ. (salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto)[213].
Infine, è opportuno precisare, come ha avuto modo la Cassazione con ultimo intervento
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 giugno 2016, n. 13216
che dopo il pignoramento, il locatore-proprietario perde la legittimazione sostanziale sia a richiedere al locatario il pagamento dei canoni, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso come organo ausiliario del giudice dell’esecuzione.
- Divieto di autoriduzione del canone [214]
È dato riscontrare una uniformità di vedute nelle sentenze della Suprema Corte, la quale tende a limitare l’esercizio di poteri di autotutela nell’ambito del rapporto locatizio, evidenziando i confini entro cui può spingersi il conduttore nell’adempimento di una delle sue obbligazioni principali, quella di corresponsione del canone.
Orbene, per la C.S.[215] non è consentito al conduttore autoridursi o sospendere il canone di locazione in forza di controcrediti.
Per gli Ermellini, tale comportamento si trasforma in un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. E questo a prescindere dalla carenza di prova della sussistenza dei presupposti del vantato controcredito, anche per la non configurabilità di una condotta di non contestazione da parte del locatore.
Nel caso di specie l’inquilina aveva interrotto il pagamento dei canoni a causa dell’avanzare di lavori di straordinaria manutenzione.
Ad esempio secondo un’ultima sentenza di merito[216] nel caso di allagamento dei locali condotti in locazione, verificatosi, peraltro, quale episodio unico riconducibile ad infiltrazioni verificatesi a causa di un temporale particolarmente violento, non costituisce titolo per la sospensione del pagamento dei canoni locativi, anche se dal fenomeno siano derivati notevoli danni ai beni custoditi all’interno dei locali stessi, quando, comunque, non se ne è venuta meno l’utilizzabilità.
La sospensione, infatti, è giustificabile solo nell’ipotesi in cui si offrisse compiuta dimostrazione della circostanza che la produzione di siffatti eventi ha carattere sistematico e regolare e, comunque, che si manifesta con una frequenza tale da rendere i locali stessi inutilizzabili.
Il verificarsi di danni in relazione ad un unico fenomeno infiltrativo, quindi, potrebbe essere posto alla base, al più, di una specifica richiesta di risarcimento formulata nei confronti del proprietario locatore, ma non giustifica la sospensione dell’obbligazione principale posta a carico del conduttore.
Ulteriormente, è stato precisato da ultimo
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 20 marzo 2020, n. 7481.
ad esempio un conduttore moroso non può utilizzare, come scusante per il mancato pagamento dei canoni d’affitto, la presunta carenza della messa a norma dell’impianto elettrico. Egli, infatti, ha la facoltà di agire di sua iniziativa e chiedere poi al proprietario il rimborso del costo dei lavori di messa in sicurezza.
Il principio inadimplenti non est adimplendum, previsto dall’art. 1460 c.c., ai sensi del quale risulta giustificato il rifiuto del contraente di adempiere la propria prestazione, se la controparte non abbia adempiuto o non offra di adempiere la propria, è destinato ad assumere delle peculiari sfumature nell’ambito del rapporto locatizio.
La locazione, infatti, si caratterizza per il trasferimento iniziale della res locata al conduttore in modo permanente, con la conseguenza che, anche nel caso in cui questi non adempia alla propria obbligazione principale di consegna del canone convenuto, continua comunque a godere del bene, poiché il locatore non può unilateralmente impedire il godimento in virtù dell’art. 1460, attraverso la sospensione della propria prestazione corrispettiva, essendo necessario, per ottenere tale risultato, adire l’autorità giudiziaria.
Soltanto la totale mancanza della controprestazione del locatore può costituire un inadempimento grave, tale da alterare il sinallagma contrattuale e da giustificare il comportamento di autotutela del conduttore.
In particolare, la Cassazione[217] ha chiarito, di recente, che la sospensione totale del pagamento del canone è legittima soltanto quando venga a mancare completamente la prestazione del locatore, risultando necessario verificare in concreto, in base al principio di buona fede e correttezza, la proporzionalità degli inadempimenti delle parti, in relazione all’intero equilibrio contrattuale.
Con altro intervento la S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 3 maggio 2016, n. 8637
ha affermato che la sospensione del pagamento del canone è, pertanto, da ritenersi del tutto legittima, atteso il grave inadempimento del conduttore nella consegna della cosa locata, affetta da un vizio cosi’ grave, per la comprovata impossibilita’ totale dell’uso dell’immobile.
La Corte di legittimita’, ha piu’ volte consonantemente affermato il principio di diritto secondo il quale la sospensione del canone e’ pienamente legittima in tutte le ipotesi di impossibilita’ totale del godimento del bene.
Il caso di specie riguardava la preesistente situazione di pericolosita’ dell’immobile, in cui era stata riscontrata la presenza di una servitu’ di 4 cavi elettrici posti ad una profondita’ inferiore a quella regolamentare di almeno 50 cm., privi di alcuna protezione e preesistente all’esecuzione dei lavori – ed anzi, scoperta grazie ad essi, cosi’ evitandosi possibili e gravi incidenti, e nel contempo rendendone impossibile la prosecuzione.
Sul punto è nuovamente tornata la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 settembre 2016, n. 18987
riaffermando che non e’ rinvenibile un potere di autotutela del credito da parte del conduttore che, a fronte dell’inadempimento del locatore, decida di non corrispondere i canoni dovuti. In altri termini, al conduttore non e’ consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e cio’ anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore e’, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti
Altra deroga è prevista espressamente dalla legge, infatti, per recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 giugno 2015, n. 12915
l’autoriduzione è resa legittima dalla pendenza tra le parti di una controversia avente specificamente ad oggetto la determinazione del c.d. equo canone dovuto per legge.
Nella pendenza di siffatta controversia il conduttore è ammesso (art.45 1.392/78) a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato; nell’esercizio di una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e sostanzialmente congrua, non concreta morosità e, dunque, ipotesi di inadempimento risolutorio (Cass. n. 9548 del 22/04/2010 ed altre).
Particolarmente significativa è altra sentenza della Cassazione[218] con la quale il Supremo Collegio ha confermato il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi in materia, modificando anche però leggermente tiro.
La Cassazione ha ribadito, nei casi di totale o inesatto adempimento della prestazione locatrice, la particolare rilevanza giuridica del criterio della proporzionalità tra le prestazioni, espressione della ratio del principio di autotutela dell’art. 1460, valorizzando, al contempo, il principio di buona fede, come principio generale destinato a impedire che il potere di autotutela del conduttore diventi arbitrario. Resta, quindi, possibile, nel rispetto di tali principi, la legittimità di un’autoriduzione del canone, a fronte di un inadempimento soltanto parziale del locatore.
In alcune decisioni relative alla locazione di immobili destinati a uso diverso da quello abitativo, i giudici di legittimità hanno precisato che l’autoriduzione del canone integra un comportamento illegittimo del conduttore, anche nell’ipotesi in cui egli vi provveda con l’intenzione di riequilibrare il contratto, turbato dall’inadempimento del locatore, a causa dei vizi della cosa locata.
Infatti, l’art. 1578 c.c. non legittima il conduttore a sospendere il pagamento o ad autoridursi il canone, bensì solo a chiedere la risoluzione del contratto ovvero una riduzione del corrispettivo, attraverso l’intervento dell’autorità giudiziaria, non in via di autotutela.
Per la Cassazione, confermando l’indirizzo consolidato,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 gennaio 2013, n. 2099
in tema di locazione, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nei casi in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore, atteso che la sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti, e, inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede.
Specificando anche nel caso di specie che la sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è illegittima se dovuta ad infiltrazioni ed alla presenza di un tetto in amianto.
Il pagamento del canone in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita integra inadempimento grave secondo la valutazione fattane dal legislatore con l’art. 2 del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, conv. in legge 21 febbraio 1989, n. 61, quando l’importo complessivo superi, anche se riferito agli oneri accessori, quello di due mensilità di affitto, anche se il conduttore abbia ritenuto di giustificare il suo comportamento con il fatto di essere titolare di un credito per restituzione di somme pagate in più del dovuto[219].
- Il luogo
Si applicherà, in mancanza di diverso accordo, l’art. 1182 c.c.
Per la S.C.[220] anche per i crediti per fitti e pigioni non è necessaria — ai fini della decorrenza degli interessi — la costituzione in mora, quando il termine per pagare è scaduto e la prestazione deve essere effettuata nel domicilio del creditore.
Principio ripreso anche da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 dicembre 2014, n. 25853
- Il tempo
Troverà applicazione, in linea di massima, l’art. 1183 c.c., secondo il quale il locatore può esigere immediatamente la prestazione (qualora non sia diversamente convenuto); spesso esistono, però, in materia clausole d’uso (tipiche nelle locazioni immobiliari) le quali s’intendono inserite tacitamente nel contatto, così come prescrive l’art. 1340.
3) dare la garanzia per il pagamento
Questa garanzia è espressamente prevista dagli artt. 2764 e 1608 c.c.
art. 1608 c.c. garanzie per il pagamento della pigione: nelle locazioni di case non mobiliate l’inquilino può essere licenziato se non fornisce la casa di mobili sufficienti o non presta altre garanzie idonee ad assicurare il pagamento della pigione.
art. 2764 c.c. crediti del locatore di immobili: il credito delle pigioni e dei fitti (c.c.1571 e seguenti, 1615 e seguenti) degli immobili ha privilegio sui frutti dell’anno e su quelli raccolti anteriormente, nonché sopra tutto ciò che serve a fornire l’immobile o a coltivare il fondo locato.
Il privilegio sussiste per il credito dell’anno in corso, dell’antecedente e dei successivi, se la locazione ha data certa (c.c.2704), e, in caso diverso, per quello dell’anno in corso e del susseguente.
Lo stesso privilegio ha il credito dipendente da mancate riparazioni le quali siano a carico del conduttore (c.c.1576, 1609, 1621), il credito per i danni arrecati all’immobile locato, per la mancata restituzione delle scorte (c.c.1640 e seguenti) e ogni altro credito dipendente da inadempimento del contratto.
Il privilegio sui frutti sussiste finché si trovano nel fondo o nelle sue dipendenze. Esso si può far valere anche nei confronti del subconduttore (c.c.1595).
Il privilegio sulle cose che servono a fornire l’immobile locato o alla coltivazione del fondo sussiste pure se le cose appartengono al subconduttore, nei limiti in cui il locatore ha azione contro il medesimo.
Il privilegio sulle cose che servono a fornire l’immobile locato ha luogo altresì nei confronti dei terzi, finché le cose si trovano nell’immobile, salvo che si provi che il locatore conoscesse il diritto del terzo al tempo in cui sono state introdotte (Cod. Proc. Civ. 621 e seguenti).
Qualora le cose che servono a fornire la casa o il fondo locato ovvero a coltivare il medesimo vengano asportate dall’immobile senza il consenso del locatore, questi conserva su di esse il privilegio, purché ne domandi il sequestro, nei modi stabiliti dal codice di procedura civile per il sequestro conservativo (Cod. Proc. Civ. 671 e seguenti), entro il termine di trenta giorni dall’asportazione, se si tratta di mobili che servono a fornire o a coltivare il fondo rustico, e di quindici giorni, se si tratta di mobili che servono a fornire la casa. Restano salvi in ogni caso i diritti acquistati dopo l’asportazione dei terzi che ignoravano l’esistenza del privilegio (c.c.1519).
Le parti possono, naturalmente, stabilire convenzionalmente ogni altra forma di garanzia, anche a carico dei terzi (fideiussione, pegno, ipoteca, ecc.).
La volontà di prestare fideiussione deve essere manifestata in modo chiaro e inequivocabile, e qualora la dichiarazione sia inserita in un atto posto in essere allo scopo della conclusione di un diverso negozio, per stabilire se la dichiarazione integri anche l’assunzione delle obbligazioni conseguenti alla fideiussione è necessario valutare se essa possa essere interpretata solo in questo modo, o se essa piuttosto non abbia un contenuto congruente con il negozio per cui l’atto è stato formato ed esaurisca in esso il suo significato. Nella specie[221], in un contratto di locazione era stata inserita la clausola in virtù della quale un terzo si obbligava a garantire l’adempimento delle obbligazioni del conduttore sino alla scadenza del contratto «salvo quanto previsto dagli artt. 28 e 29 della legge n. 392 del 1978». Il giudice di merito aveva ritenuto che tale clausola andasse interpretata nel senso che la fideiussione fosse valida anche per le obbligazioni sorte in caso di automatico rinnovo del contratto; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha ritenuto corretta tale motivazione.
In tema di locazione, qualora il contratto preveda, a garanzia del pagamento dei canoni, la prestazione di una fideiussione da parte di un terzo, il recesso di quest’ultimo, intervenuto prima della scadenza del contratto, esclude l’operatività della garanzia per le obbligazioni maturate a seguito della prosecuzione della locazione per effetto dell’applicazione di una clausola pattizia di tacito rinnovo; sebbene, infatti, la fonte del rapporto contrattuale continui ad essere costituita dall’originario contratto di locazione, la recedibilità della fideiussione è conforme al principio generale dell’ordinamento che tende ad evitare la perpetuità dei vincoli obbligatori, nonché alla buona fede che, ai sensi dell’art. 1375 cod. civ., deve ispirare il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto[222].
Poi, qualora una fideiussione sia stipulata a garanzia di una locazione e si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità per ottenere il pagamento. Diversamente, il fideiussore stesso sarà liberato a norma dell’art. 1956 c.c.
Inoltre, merita particolare attenzione l’istituto, già analizzato in precedenza[223], che è molto frequente nella prassi del rapporto locatizio, vale a dire il c.d. deposito cauzionale, costituito in genere da una somma di denaro, correlata nella sua entità ad una o più mensilità di canone, consegnata dal locatario al locatore all’atto della stipula.
Riguardo alla natura giuridica di tale istituto si ritiene che nel caso di deposito di cose infungibili sia un pegno regolare, mentre, nel caso di deposito di cose fungibili sia un pegno irregolare.
4) L’obbligo di custodia
Quest’obbligo non è espressamente previsto dal legislatore, ma risulta chiaramente sia dalla normativa generale sulle obbligazioni che da quella specifica sulle locazioni.
art. 1177 c.c. obbligazione di custodire: l’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna.
Si tratta, in poche parole, di un’autonoma obbligazione.
art. 1588 [224] c.c. perdita e deterioramento della cosa locata: il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa che avvengono nel corso della locazione, anche se derivanti da incendio, qualora non provi che siano accaduti per causa a lui non imputabili.
È pure responsabile della perdita e del deterioramento cagionati da persone che egli ha ammesso anche temporaneamente, all’uso o al godimento della cosa.
La presunzione di colpa posta dall’art. 1588 cod. civ. a carico del conduttore per il deterioramento o la perdita della cosa locata è applicabile tanto se oggetto della locazione siano beni mobili tanto se oggetto di essa siano beni immobili[225].
Nello specifico la presunzione di colpa in ordine alla perdita o deterioramento della cosa locata, derivanti da incendio, può essere vinta soltanto mediante la dimostrazione che la causa dell’incendio, identificata in modo positivo e concreto, non è a lui imputabile, onde in difetto di tale prova, la causa, sconosciuta o anche dubbia, della perdita o del deterioramento in questione rimane a suo carico con il conseguente obbligo di risarcimento del danno che deve comprendere pure i canoni di locazione dovuti in base al contratto fino allo spirare dello stesso come corrispettivo spettante al locatore per il mancato guadagno[226].
La natura di tale responsabilità si riporta, come detto, nell’ambito della custodia.
Tale responsabilità la si deve leggere correlativamente con la previsione ex art. 1576 c.c., ovvero il mantenimento della cosa in buono stato locativo[227].
Per la S.C.[228] il conduttore risponde quale custode a norma dell’art. 2051 cod. civ. dei danni che la cosa locata abbia cagionato a terzi, compresi in essi il locatore se danneggiato in altra sua cosa o nella persona e si libera da tale responsabilità solo dando la prova del fortuito che può anche consistere nella dimostrazione che il fattore determinante il danno ha riguardato strutture o apparati dell’immobile sottratti alla disponibilità dello stesso conduttore ed estranei, quindi, ai suoi poteri di vigilanza.
Il proprietario-locatore resta tuttavia custode di tutte quelle cose che non passano nella disponibilità del conduttore vale a dire le strutture murarie, gli impianti in essi conglobati sui quali il conduttore non ha la possibilità di intervenire per prevenire o riparare il danno ed è responsabile in via esclusiva ai sensi degli artt. 2051 e 2053 cod. civ. dei danni arrecati a terzi da dette strutture e impianti (salvo eventuale rivalsa, nel rapporto interno, contro il conduttore che abbia omesso di avvertire della situazione di pericolo); con riguardo, invece, alle altre parti e accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà e obbligo di intervenire onde evitare pregiudizio ad altri, la responsabilità verso questi ultimi, secondo le previsioni dell’art. 2051 cod. civ., grava soltanto sul conduttore medesimo[229]
Per ultima Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 luglio 2015, n. 15721
l’obbligo di custodia a carico del conduttore deriva dal combinato disposto dell’articolo 1590 c.c., (restituzione della cosa locata) con l’articolo 1177 c.c., e non dall’articolo 2051 c.c., che ha un differente ambito di operativita’ (e sulla base del quale puo’ fondarsi la responsabilita’ del conduttore o del proprietario o di entrambi, a seconda delle fattispecie, verso i terzi per i danni provocati nei loro confronti dalla cosa in custodia: v. Cass. n. 8006 del 2010, Cass. n. 23945 del 2009).
In particolare, nell’espressione “strutture murarie e impianti in esse conglobati” rientrano soltanto i cornicioni, i tetti, le tubature idriche, gli impianti idrici e sanitari e quanto possa essere raggiunto con interventi sulle opere murarie[230].
Così è evidente la responsabilità del proprietario per le infiltrazioni verificatesi nell’appartamento sottostante, causate da copiose perdite delle tubazioni interne alle pareti collegate ai servizi igienici dell’appartamento locato: infatti, nel caso di impianti idrici o sanitari siti all’interno delle strutture murarie, sulle quali il conduttore non ha alcun potere d’intervento, non potendo manometterle per eseguire le riparazioni, il proprietario- locatore conserva la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia sia dei primi che delle seconde, con la conseguenza che, col solo limite del caso fortuito, risponde del danno cagionato al terzo dalla rottura di un qualsiasi manufatto incorporato nelle fabbriche.
Allo stesso modo, è responsabile il locatore per il danno conseguente allo scoppio di un tubo idrico di piombo poco prima dell’innesto del rubinetto d’uscita e, quindi, derivante da un elemento strutturale dell’edificio, su cui il conduttore non ha il potere-dovere di intervenire ex art. 1575 n. 2 e 1576, comma 1 cod. civ.[231]
Di contro, la Cassazione[232] ha ritenuto che dei danni provocati dalla rottura del tubo flessibile del bidet debba rispondere l’inquilino, atteso che la serpentina è un tubo pieghevole non inglobato nell’impianto interno idrico, per la cui sostituzione non occorre intervenire nelle opere murarie e, di conseguenza, è sotto la vigilanza del conduttore-inquilino che è responsabile dei relativi danni.
Inoltre, è responsabile il conduttore per infiltrazioni d’acqua che hanno danneggiato un immobile confinante, provocate da un guasto alla lavatrice[233], dai canali di scolo intasati dalle foglie cadute dagli alberi di alto fusto, che il conduttore non ha provveduto a eliminare[234].
Infine per la S.C. [235] il proprietario del locale non è responsabile delle immissioni[236] moleste atteso che la disponibilità sia dell’impianto di aerazione sia delle finestre del locale cucina, trattandosi di accessori e di parti del bene locato strettamente connessi alla gestione del ristorante, sono oggetto di diretto ed effettivo potere da parte del conduttore.
Per entrambi i soggetti, tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già a un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma a un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità e inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante[237].
In tema di responsabilità verificatisi per fatto del terzo, nel tempo in cui questi è stato ammesso dal conduttore nel godimento della cosa, l’art. 1588, secondo comma cod. civ. pone a carico del conduttore la responsabilità, in quanto trattasi di fatti che si ricollegano a sue scelte nelle modalità d’uso della cosa locata, svolgendosi normalmente la condotta del terzo entro la sfera di vigilanza riservata al conduttore, senza che al terzo venga attribuito un autonomo potere di disponibilità sull’immobile. Ne discende, fra l’altro, che il danneggiato, al fine di invocare il concorso, con la responsabilità del conduttore, della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del terzo ammesso nella disponibilità o nel godimento della cosa, deve dimostrare che quest’ultimo si trovi in una situazione di autonoma detenzione qualificata, tale da rendere anche lui titolare di un potere di vigilanza sul bene locato[238].
Particolare rilievo ha avuto il caso di furto della cosa locata rispetto al quale si ritiene che il conduttore, per liberarsi della propria responsabilità, deve provare che la sottrazione è avvenuta nonostante che egli avesse preso tutte le misure richieste dalla normale diligenza e previdenza valutate in concreto.
- La prova contraria
l conduttore, ai sensi dell’art. 1588 cod. civ., risponde verso il locatore del deterioramento della cosa locata qualora non dia la prova dell’esistenza di causa a lui non imputabile; tale principio può essere derogato nel caso in cui il fattore determinante il danno abbia riguardato strutture o apparati dell’immobile sottratti alla disponibilità dello stesso conduttore ed estranei, pertanto, alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza[239].
La norma, che sostanzialmente riproduce la disposizione generale di cui all’art. 1218 cod. civ., importa che il conduttore per vincere la presunzione deve dare la prova, piena e completa, non solo del dato obiettivo della perdita o del deterioramento, ma altresì dell’assenza di colpa e, cioè, del caso fortuito o della forza maggiore[240].
In merito la S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 febbraio 2014, n. 2619
ha nuovamente affermato che incombe al conduttore, ai sensi degli articoli 1590 e 1588 cod. civ., l’onere di dare piena prova liberatoria della non imputabilità a lui di ogni singolo danno riscontrato all’immobile locato al termine della locazione ed all’atto della riconsegna, presumendosi buono lo stato di quello all’inizio del rapporto ed esclusi solo i danni da normale deterioramento o consumo in rapporto all’uso dedotto in contratto, sicchè è erronea l’integrale reiezione della domanda di risarcimento dei danni stessi proposta dal locatore, ove manchi o sia incompleta la prova sull’imputabilità di quelli.
Dello stesso avviso è altra recente Cassazione, già richiamata in precedenza,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 luglio 2015, n. 15721
secondo la quale, nel caso specifico di danno derivato da incendio, l’articolo 1588 (coordinato con l’articolo 1218) c.c., in base al quale il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile, pone una presunzione di colpa a carico del conduttore, superabile con la dimostrazione che il conduttore abbia adempiuto agli obblighi di custodia a suo carico con la diligenza richiesta dal caso concreto, e che sia stata identificata in modo positivo la causa dell’incendio ed essa non sia a lui imputabile. Non attiene al contenuto della prova liberatoria, invece, ai fimi della liberazione dalla responsabilita’ contrattuale del conduttore verso il locatore per i danni subiti o il perimento della cosa locata, l’individuazione dei soggetti in concreto responsabili dell’incendio stesso.
art. 1589 c.c. incendio di cosa assicurata: se la cosa distrutta o deteriorata per incendio era stata assicurata dal locatore o per conto di questo, la responsabilità del conduttore verso il locatore è limitata alla differenza tra l’indennizzo corrisposto dall’assicuratore e il danno effettivo .
Quando si tratta di cosa mobile stimata e l’assicurazione è stata fatta per valore uguale alla stima, cessa ogni responsabilità del conduttore in confronto del locatore, se questi è indennizzato dall’assicuratore.
A norma degli artt. 1588, primo comma, e 1589, primo e terzo comma, cod. civ., il conduttore — al di fuori dell’ipotesi di incendio della cosa locata dovuto a causa a lui non imputabile — è comunque tenuto a rispondere dei danni subiti dalla cosa suddetta: nei soli confronti del locatore, se questa non è assicurata; nei confronti dell’assicuratore fino alla concorrenza dell’indennizzo e nei confronti del locatore per l’eventuale differenza, se la cosa è assicurata. Comunque da tale disciplina consegue l’irrilevanza, ai fini dell’esclusione della responsabilità del conduttore, dell’esistenza o meno di un rapporto assicurativo stipulato dal locatore, posto che esso inciderebbe solo sull’identificazione dei soggetti verso cui il conduttore medesimo è obbligato, non sull’esistenza e sul contenuto della sua responsabilità (che, salva la prova liberatoria di cui all’ultima parte del primo comma dell’art. 1588 citato, è totale)[241].
Nell’ipotesi di immobile danneggiato da incendio, l’assicuratore non può evitare il pagamento opponendo all’assicurato (proprietario dell’immobile) l’avvenuto risarcimento in forma specifica da parte del conduttore — presunto responsabile ex art. 1588 cod. civ. — che abbia provveduto alle necessarie riparazioni, non potendo dedurre situazioni giuridiche estranee al rapporto assicurativo, relative a soggetti che non sono parti in causa ed a pretese di rimborso (del conduttore nei confronti del locatore) e di rivalsa (dell’assicuratore nei confronti del responsabile) che sono meramente eventuali e in ogni caso non formano oggetto di giudizio; inoltre, comportando l’art. 1588 cod. civ. solo una presunzione di responsabilità, non potrebbe escludersi il rimborso da parte del locatore delle spese sostenute dal conduttore per ripristinare l’immobile, e, in tal caso, il locatore avrebbe comunque diritto di essere risarcito dal suo assicuratore, atteso che l’esborso troverebbe pur sempre la propria ragione d’essere nel sinistro[242].
- L’obbligo di manutenzione –
Affine all’obbligazione di custodire è quella di manutenzione che consiste nel mantenere la cosa in stato da servire all’uso.
La manutenzione grava prevalentemente sul locatore[243], ma è a carico del conduttore in questi limiti:
1) per la locazione di fondi urbani, soltanto la piccola manutenzione (per la determinazione di tale manutenzione vedi art. 1609)
2) per i beni mobili ed il contratto d’affitto anche le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione (artt. 1576 e 1609).
5) Restituzione della cosa locata
[244]
art. 1590 c.c. restituzione della cosa locata: il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto.
In mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione.
Il conduttore non risponde del perimento o del deterioramento dovuti a vetustà
Le cose mobili si devono restituire nel luogo dove sono state consegnate.
Si è affermato[245] che la restituzione abbia natura di obbligazione extracontrattuale, perché essa nasce quando è cessato il rapporto di locazione; nasce, cioè, al momento in cui la cosa deve essere restituita in quanto detenuta dal conduttore senza titolo.
In contrario è stato osservato[246] che l’obbligazione di restituire sorge nel corso del rapporto locatizio (precisamente nel momento in cui il conduttore accetta la consegna), anche se diviene attuale alla fine del rapporto).
Orbene per la S.C.[247] l’obbligazione di restituire la cosa locata secondo le condizioni stabilite dall’art. 1590, comma primo, cod. civ. pur avendo natura contrattuale, non ha carattere sinallagmatico, ma consegue alla natura propria della locazione (che si configura come contratto a termine), e nasce alla scadenza della locazione.
Corrispondentemente, anche la responsabilità del conduttore per la ritardata consegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto all’uso conforme agli accordi convenzionali assume natura contrattuale ed essa si estende ai danni che sono casualmente collegati alla condotta del medesimo conduttore con esclusione di quelli riconducibili unicamente alla condotta del locatore.
Da ciò si desume che è responsabile del danno consistente nella perdita di vantaggiose occasioni di vendita della cosa locata o nella risoluzione del contratto di vendita di essa il conduttore che, ritardando la riconsegna del bene o riconsegnandolo trasformato o deteriorato (oltre l’usura ordinaria), ponga in essere le condizioni della perdita di siffatte occasioni o per la determinazione dell’evento comportante lo scioglimento del contratto (anche solo preliminare) di vendita concluso dal locatore con terzi.
Non è infrequente nella prassi l’ipotesi in cui il locatore-proprietario lamenti dei pregiudizi di ordine patrimoniale a seguito del rifiuto del conduttore di restituire l’immobile locato alla naturale scadenza del contratto, ovvero alla sua prima scadenza nelle ipotesi in cui il locatore eserciti il diritto di recesso ricorrendo a una delle ipotesi tassativamente indicate dal Legislatore, sia che la cessione onerosa del godimento del bene abbia una finalità abitativa che nella diversa ipotesi di cessione del bene per uso diverso da quello abitativo.
La responsabilità del conduttore, prevista all’art. 1590 cod. civ., per il deterioramento della cosa locata, ripete la propria disciplina dall’art. 1588 cod. civ., che pone a carico del conduttore la colpa presunta.
Tale responsabilità trova limite solo ove il deterioramento sia giustificato da un uso della cosa in conformità del contratto, a norma dell’art. 1590 cod. civ., che delimita la sfera della liceità giuridica del godimento della cosa spettante al conduttore, identificandola nell’uso normale della stessa secondo la sua destinazione[248].
Qualora, in violazione dell’art. 1590 cod. civ., al momento della riconsegna la cosa locata presenti danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso della stessa, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni; pertanto, il locatore può addebitare al conduttore la somma necessaria al ripristino del bene nelle stesse condizioni in cui era all’inizio della locazione, dedotto il deterioramento derivante dall’uso conforme al contratto, mentre non può addebitargli le spese inerenti alle ristrutturazioni e ai miglioramenti che vadano oltre questi limiti[249].
In realtà, secondo ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 7 marzo 2019, n. 6596.
se l’immobile locato viene riconsegnato con danni eccedenti il normale utilizzo, il conduttore è tenuto a pagare, oltre i lavori di ristrutturazione, anche i canoni d’affitto per il periodo necessario alle riparazioni.
Qualora, in violazione dell’art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l’esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest’ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto – da parte di terzi – richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori.
Il locatore, in caso di anormale usura dell’immobile, ha diritto al risarcimento del danno consistente sia nella somma di denaro occorrente per l’esecuzione delle riparazioni imposte dai danni all’immobile provocati dal conduttore, sia nel mancato reddito ritraibile dalla cosa nel periodo di tempo necessario per l’esecuzione dei lavori di riparazione
Perché, poi, il conduttore possa ritenersi esonerato da ogni responsabilità per danni all’immobile locato non è sufficiente che egli provi che il rapporto di locazione ebbe a risolversi consensualmente ed anticipatamente rispetto all’evento generatore di responsabilità, essendo, bensì, necessario che egli provi di avere restituito effettivamente l’immobile, comprese le chiavi relative, in adempimento all’obbligo posto a suo carico dall’art. 1590 cod. civ.[250]
Il principio secondo cui l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione contrattuale costituisce di per sé un illecito, ma non obbliga l’inadempiente al risarcimento, se in concreto non ne è derivato un danno, si applica anche alla fattispecie disciplinata dall’art. 1590 cod. civ., con la conseguenza che il conduttore non è obbligato al risarcimento, se dal deterioramento della cosa locata, superiore a quello corrispondente all’uso della cosa in conformità del contratto, non è derivato, per particolari circostanze, un danno patrimoniale al locatore[251].
Inoltre, qualora, in violazione dell’art. 1590 cod. civ., al momento della riconsegna l’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l’esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest’ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto — da parte di terzi — richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori[252].
- Le modalità della restituzione
L’obbligazione di restituzione della cosa avuta in godimento gravante sul conduttore deve ritenersi adempiuta mediante la restituzione delle chiavi dell’immobile o con la incondizionata messa a disposizione del medesimo, senza che sia al riguardo necessaria la redazione di un relativo verbale[253], anche se sull’opportunità si avrà modo di scrivere nell’immediato.
Da ultimo per la S.C.[254] la restituzione del bene locato al termine del rapporto locativo (quale ne sia stata la causa della cessazione) può essere effettuato con modalità aventi valore di offerta non formale (ad esempio la consegna delle chiavi).
Secondo un più rigoroso indirizzo giurisprudenziale, invero, il conduttore, per sottrarsi agli obblighi conseguenti alla situazione di mora debendi, deve effettuare la riconsegna dell’immobile al locatore, o fargliene offerta formale ai sensi dell’art. 1216 c.c.[255].
Ad avviso di altra più mite interpretazione, il conduttore può evitare la mora anche effettuando un’offerta non formale al locatore: l’eventuale illegittimo rifiuto di quest’ultimo, opposto ad altre modalità di offerta di riconsegna dell’immobile locato, ex art. 1220 c.c., diverse dall’offerta formale, purché serie, concrete e tempestive, escluderebbe, quindi, la mora del conduttore nell’adempimento dell’obbligo di restituzione, esonerando lo stesso altresì dall’obbligo di pagare al locatore il corrispettivo convenuto previsto dall’art. 1591 c.c.[256].
Da ultimo la Cassazione è tornata nuovamente ad un indirizzo meno rigido in merito alla riconsegna dell’immobile
Corte di Cassazione sezione III, sentenza 29 gennaio 2014, n. 1980
difatti anche l’offerta non formale, pur non essendo idonea a costituire in mora il locatore, può tuttavia fondare la liberazione del conduttore dal pagamento dell’indennità di occupazione; a condizione che venga formulata in maniera seria, concreta ed efficiente rispetto allo scopo: Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 1337 del 20/01/2011 “In tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, secondo comma, cod. civ., costituita dall’intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 cod. civ.), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 cod. civ.) – purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore – pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione (costituita, nel caso esaminato, dal pagamento di un’indennità per occupazione dell’immobile ex art. 1591 cod. civ.); ed ancora: “L’offerta non formale della prestazione è idonea ad escludere la mora del debitore soltanto se sia seria, tempestiva e completa, e consista nell’effettiva introduzione dell’oggetto integrale della prestazione dovuta nella disponibilità del creditore, nonché nella comunicazione di tale fatto al medesimo. Il parametro valutativo della sussistenza dei caratteri della serietà e della completezza è costituito dalla esaustività della posizione assunta dal debitore con l’offerta stessa, nel senso che il creditore deve potervi aderire senza ulteriori accordi ed ottenere la prestazione limitandosi semplicemente a riceverla, ovvero a porre il debitore nelle condizioni di poterla materialmente effettuare” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15352 del 06/07/2006, Rv. 591558).
Con pronuncia immediatamente successiva la medesima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2014, n. 3616
ha nuovamente ribadito che l’offerta seria, concreta e tempestiva di riconsegna dei locali – ancorché non formale – solleva il conduttore dall’obbligo del pagamento dei canoni ex articolo 1591 cod.civ. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21004 del 27/11/2012); e che “il conduttore non può essere considerato in mora nell’adempimento dell’obbligo di restituzione della cosa alla scadenza del contratto, con conseguente cessazione altresì dell’obbligo di corrispondere l’indennità di occupazione, se abbia fatto, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., un’offerta seria ed affidabile, ancorché non formale, della prestazione dovuta, liberando l’immobile locato; e il locatore abbia opposto a tale offerta un rifiuto ingiustificato sulla base del dovere di buona fede ex art. 1375 cod. civ., non comportandone l’accettazione alcun sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18496 del 03/09/2007; e molte altre in termini).
Ne deriva che l’offerta reale di riconsegna dei locali al locatore non vale a costituire quest’ultimo in mora, ma può invece risultare idonea – se assistita da modalità di restituzione serie, concrete e funzionali allo scopo – ad escludere la mora del conduttore ed il suo obbligo al pagamento dell’indennità di occupazione.
Va poi considerato che il riscontro della serietà e funzionalità delle modalità dell’offerta di restituzione in concreto adottate costituisce accertamento di fatto insindacabile ove congruamente e logicamente motivato – in sede di legittimità.
E nel caso di specie la corte territoriale ha dato efficacemente conto del perché la riconsegna dell’immobile mediante lettera RR e messa a disposizione delle chiavi dovesse ritenersi a tal punto seria ed idonea allo scopo, da non poter essere rifiutata se non in forza di una “resistenza pretestuosa” del locatore e dunque, in buona sostanza, di un contegno di mala fede.
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 settembre 2022| n. 26135
ha affermato che in tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della complessa procedura di cui all’articolo 1216 del codice civile e all’articolo 1209 del codice civile, comma 2, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore e per provocarne i relativi effetti (articolo 1207 del codice civile), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (articolo 1220 del codice civile), purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore rispetto all’obbligo di adempiere la prestazione, anche ai fini dell’articolo 1591 del codice civile; la valutazione circa l’idoneità di tale offerta è rimessa al giudice di merito e non è sindacabile in questa sede in presenza di congrua ed adeguata motivazione.
Per altra pronuncia l’omessa verifica, all’atto della riconsegna delle chiavi, delle condizioni dell’appartamento locato e dei danni arrecativi dal conduttore non è, di per sé, espressione di una inequivoca volontà abdicativa del diritto del locatore al risarcimento del danno e non implica, quindi, tacita rinuncia a tale diritto[257].
L’onere della prova dell’effettuata restituzione incombe sul conduttore trattandosi di fatto estintivo del diritto di credito del locatore, al quale il bene va restituito al termine del rapporto locatizio ovvero va offerto con modalità aventi valore di offerta reale[258].
E’ bene, comunque, che, al momento della restituzione del bene locato, le parti provvedano a redigere un verbale di riconsegna, con un’indicazione precisa delle condizioni del bene, e che il locatore, in caso di discussione con la controparte in tale sede, provveda tempestivamente a richiedere un accertamento tecnico preventivo (in gergo si abusa dell’acronimo ATP) che descriva la reale situazione del momento, al fine di ottenere una relazione peritale, che fotografi la situazione creatasi (necessaria, tenuto conto dei tempi dei processi e delle probabili mutate condizioni dell’immobile nel caso di consulenza tecnica d’ufficio che venga espletata dopo anni), sempre distinguendosi tra i due tipi di danno, nonché per la determinazione della spesa necessaria per la rimessione in pristino dell’immobile.
- Il rifiuto del locatore
È legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli artt. 1176 e 1218 cod. civ., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l’abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all’obbligazione di cui all’art. 1590, comma primo, cod. civ.[259]
ll principio desumibile dall’art. 1590 cod. civ., che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell’immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui all’art. 1227 comma secondo cod. civ. secondo il quale in base alle regole dell’ordinaria diligenza il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, ad un facere non corrispondente all’id quod plerumque accidit.[260]
Ne deriva che il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all’immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell’obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione ex art. 1576 cod. civ.; il locatore può invece rifiutare la riconsegna dell’immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all’obbligo, impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l’ordinaria manutenzione o per avere egli di propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poiché in tale caso la rimessione in pristino richiederebbe l’esplicazione di un’attività straordinaria e gravosa e, cioè, un facere al quale il locatore non è tenuto secondo l’id quod plerumque accidit.
In tema è ritornata la S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 maggio 2013 n. 12977
affermando nuovamente che se il conduttore abbia arrecato all’immobile gravi danni o effettuato non consentite innovazioni di tale rilievo che, nell’economia del contratto, sia necessario l’esborso di notevoli somme per eseguire le opere di ripristino, il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione è in via di principio legittimo fino a quando quelle somme non siano state corrisposte dal conduttore; la legittimità del rifiuto del locatore comporta, in applicazione dell’art. 1220 c.c., che fino ad allora persisterà la mora del conduttore, dunque tenuto anche al pagamento del canone ex art. 1591 c.c.
- Obbligo del pagamento del canone sino alla riconsegna
L’obbligo del conduttore in mora nella restituzione della cosa di pagare al locatore il corrispettivo convenuto sino alla riconsegna, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., costituendo una forma di risarcimento minima per la mancata disponibilità dell’immobile, prescinde dalla prova di un danno in concreto subito dal locatore, essendo tale prova necessaria solo per gli eventuali maggiori danni[261].
Ancora, per il disposto dell’art. 1591 cod. civ. il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto e a risarcirgli il maggiore danno. Quest’ultima obbligazione esclude che il conduttore debba pagare soltanto il canone legale con gli aumenti stabiliti dalle sopravvenute disposizioni di legge, la cui applicabilità o meno al rapporto di locazione rimane un fatto irrilevante per la maggiore estensione del risarcimento[262].
Poi, il principio stabilito dall’art. 1591 cod. civ., relativo all’obbligo del conduttore in mora nella restituzione del bene locato di dare al locatore il corrispettivo pattuito fino alla riconsegna effettiva di esso, salvo il risarcimento del maggior danno, deve trovare applicazione anche con riferimento al caso in cui il conduttore rivesta contestualmente anche la qualità di comproprietario del bene stesso, trovando giustificazione tale estensione nell’obbligo di reintegrare gli altri comproprietari[263] nella facoltà di disporre della loro quota e di far uso della cosa comune secondo il loro diritto, alla stregua di quanto disposto espressamente dagli artt. 1102 e 1103 cod. civ.[264]
art. 1591 c.c. danni per ritardata restituzione: il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno.
Elementi della fattispecie sono:
a) la mora del conduttore nella restituzione del bene;
b) l’obbligazione di pagamento del canone di locazione fino alla riconsegna;
c) l’obbligazione di risarcire il danno ulteriore rispetto a quello costituito dal canone.
Il diritto al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento a tale obbligo, ancorché in parte normativamente determinato con riferimento al corrispettivo convenuto, non si prescrive nel termine breve di cui all’art. 2948 n. 3 cod. civ., bensì nell’ordinario termine decennale[265].
Le due obbligazioni previste dall’art. 1591 cod. civ., inoltre, sono autonome e di duplice natura: di valuta quella avente ad oggetto il canone, su cui maturano gli interessi dalla domanda; di valore invece quella avente ad oggetto il maggior danno.
Poi, l’adozione da parte del conduttore, di modalità aventi valore di offerta non formale, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore circa l’esecuzione della sua prestazione e ad escludere, quindi, il prodursi dei relativi effetti — in particolare il sorgere dell’obbligazione di risarcimento del danno per il ritardo —, mentre l’unico mezzo per costituire in mora il creditore e provocare liberazione del conduttore dall’obbligo di pagamento del canone — è costituito dall’offerta formale di riconsegna, ai sensi dell’art. 1216 cod. civ.[266].
Per recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 ottobre 2012, n. 18499
la responsabilità del conduttore a norma dell’art. 1591 c.c. per ritardata restituzione dell’immobile locato ha natura contrattuale, con la conseguenza che il locatore, in applicazione del principio dettato dall’art. 1218 c.c., deve provare il danno derivatogli dalla ritardata restituzione con l’ulteriore effetto che per il c.d. maggior danno è il locatore a dovere fornire la prova della lesione del suo patrimonio, consistente nel non avere potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato o nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo più vantaggioso o nella perdita di altre analoghe situazioni vantaggiose.
Tuttavia, la richiesta del maggior danno da parte del locatore medesimo per la mancata disponibilità del bene può essere provata secondo le regole ordinarie e, quindi, anche con presunzioni, avendo presente che la carenza di specifiche proposte di locazione relative a quell’immobile è obiettivamente giustificabile proprio alla luce della persistente occupazione del bene da parte del conduttore, successivamente alla scadenza del rapporto.
Sul punto è intervenuta nuovamente la S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 ottobre 2014, n. 22352
andando ad affermare il seguente principio:
in tema di locazione di immobili, la valutandone relativa alla configurabilita’ o meno del danno da ritardato rilascio di immobile va effettuata, una volta che l’attore abbia provato l’esistenza di una favorevole occasione di vendere o di locare l’immobile, con valutazione prognostica ex ante in cui si consideri se, in mancanza del ritardo nella riconsegna, il proprietario avrebbe potuto secondo la regolarita’ causale concludere l’affare .
Non puo’ procedersi, accolto il ricorso, alla decisione nel merito della controversia ex articolo 384 c.p.c., comma 2, recependo la quantificazione dei danni effettuata dal giudice di primo grado, in quanto la determinazione del danno da ritardo nella riconsegna di un immobile, che faccia perdere una occasione di vendita favorevole, non e’ automaticamente corrispondente, e come tale determinabile con semplice operazione aritmetica, alla differenza tra quanto si sarebbe potuto guadagnare cogliendo l’occasione favorevole e quanto effettivamente guadagnato, dovendo tenersi conto per la sua quantificazione di diversi fattori, quali l’andamento del mercato, che fanno parte della valutazione del giudice di merito.
Nelle sentenza in commento è stato ribadito che perche’ sia configurabile il maggior danno da ritardo nella restituzione del bene locato, ex articolo 1591 c.c., debbono essere provate la situazione di mora del conduttore, il maggior danno subito dal locatore (prova che deve essere fornita secondo le regole ordinarie e, quindi, allegando e documentando piu’ vantaggiose proposte di locazione o concrete possibilita’ di vendita dell’immobile occupato o anche mediante presunzioni) e deve essere dimostrata l’esistenza del nesso di causalita’ tra il ritardo nella riconsegna e la perdita della proposta vantaggiosa.
Ai fini della corretta formulazione del giudizio volto all’accertamento del nesso di causalita’ tra ritardo e perdita dell’occasione vantaggiosa, esso deve essere strutturato come giudizio prognostico con valutazione ex ante, ovvero occorre chiedersi, ponendosi nella situazione del locatore ovvero utilizzando gli elementi di conoscenza a sua disposizione nel momento di compiere la scelta, se, qualora il fatto dannoso- nel caso di specie, il ritardo nell’adempimento della obbligazione di rilascio – non si fosse verificato, avrebbe l’attore potuto evitare il danno, consistente nella perdita di una piu’ favorevole occasione di vendita. In caso di risposta affermativa il danno da ritardo nell’inadempimento sussiste (ed e’ da quantificarsi nel corso del giudizio di merito) ed e’ imputabile al comportamento del conduttore.
Altrimenti, se questo accadimento – ritardo nella riconsegna – risulta irrilevante o comunque non determinante, nel senso che pur in presenza di esso il locatore avrebbe potuto concludere l’affare (o all’opposto, ma la questione non e’ affrontata sotto questo profilo, se in ogni caso il locatore non avrebbe per altri motivi concluso l’affare), non esiste la prova del nesso causale, e l’eventuale perdita dell’occasione favorevole non sara’ imputabile al conduttore ed al ritardo con cui questi ha rilasciato l’immobile.
Per fare questo ragionamento con coerenza logica e seguendone le regole, il giudice si deve porre nelle condizioni del danneggiato ex ante ovvero al momento di compiere la scelta, e non deve inserire quegli elementi di fatto che solo dopo si sono verificati o di cui solo successivamente il danneggiato ha acquisito conoscenza e che quindi non possono aver inciso sulla sua scelta.
Infine, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, la subordinazione, ai sensi dell’art. 34 della legge 27 luglio 1978 n. 392, della esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato, al pagamento della indennità di avviamento[267], non esclude la permanenza dell’obbligo del conduttore di continuare a pagare il canone fino alla riconsegna del bene, anche se abbia cessato di utilizzarlo e si limiti a detenerlo, salvo che, con comportamento conformato alla buona fede, egli ne abbia offerto la restituzione al locatore nelle forme e per gli effetti di cui all’art. 1216 cod. civ. e all’art. 1209 cod. civ., mediante cioè atto notificato al creditore «nelle forme prescritte per gli atti di citazione», e quindi a mezzo di ufficiale giudiziario, non essendo a tale fine viceversa idonea l’intimazione a riceverlo inviata al locatore a mezzo lettera raccomandata; quest’ultima vale peraltro quale offerta non formale ai sensi dell’art. 1220 cod. civ. e, se illegittimamente rifiutata dal locatore, esclude la mora del conduttore nell’adempimento dell’obbligo di restituzione (cosicché per tale aspetto essa è parificabile all’offerta formale), e conseguentemente esclude per il conduttore, l’obbligo di pagare al locatore il corrispettivo convenuto previsto dall’art. 1591 cod. civ., riferendosi detta norma espressamente al «conduttore in mora»[268].
In via generale, è stato anche precisato
Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 13 settembre 2017, n. 21209
che nel caso di contratto di locazione o di contratto di albergo a favore di un terzo, colui che ha stipulato il contratto e’ il soggetto obbligato nei confronti del locatore alla restituzione della cosa locata e alla corresponsione della somma dovuta come corrispettivo fino alla data della consegna, salvo il maggior danno, in caso di ritardo, a norma dell’articolo 1591 c.c.
- La prova del maggior danno e la quantificazione
Trattandosi di responsabilità contrattuale non potrà che applicarsi l’art. 1224 c.c., e pertanto il locatore potrà richiedere sia la perdita subita (ovvero il danno emergente ) che il mancato guadagno (c.d. lucro cessante , inteso comunemente nella dottrina giuridica come mancato guadagno, ossia come il lucro che il creditore avrebbe realizzato se avesse utilizzato la prestazione ottenuta). A ciò dovranno aggiungersi gli interessi legali dal giorno della costituzione in mora, ex art. 1124 c.c.
Tuttavia, nulla esclude la possibilità per il locatore di domandare il risarcimento anche dei danni di natura non patrimoniale , qualora dalla mancata riconsegna dell’immobile nei termini, e dalla convinzione, fondata su elementi concreti, di trovarsi nell’impossibilità di accettare proposte di locazione o di acquisto del bene o di destinarlo al proprio godimento diretto (destinandolo ad esempio a studio professionale), siano derivate delle sofferenze di ordine morale degne di rilievo e suscettibili di valutazione economica .
Il maggior danno che il locatore assuma di aver subito per effetto della morosità del conduttore e del mancato, tempestivo rilascio dell’immobile locato (art. 1591 cod. civ.), scaturendo da una fonte di responsabilità «ex contractu», come già detto, va rigorosamente provato, nella sua sussistenza e nel suo concreto ammontare, dal locatore medesimo, sul presupposto che l’obbligo risarcitorio non sorge automaticamente, in base al valore locativo presumibilmente ricavabile dall’astratta configurabilità dell’ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell’immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzazione, onde far emergere il verificarsi di una lesione effettiva nel patrimonio del locatore, ravvisabile nella circostanza del non aver potuto locare o alienare il bene a condizioni vantaggiose, e dimostrabile attraverso la prova dell’esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione[269].
Principio confermato da altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 21234 del 29 novembre 2012
secondo la quale il mero ritardo nella riconsegna dell’immobile legittima soltanto la condanna generica al risarcimento del danno, richiedendosi, in sede di liquidazione del danno medesimo, che il proprietario dimostri, con ogni mezzo, e, quindi, anche per presunzioni, l’esistenza di una concreta lesione del suo patrimonio in relazione alle condizioni dell’immobile, alla sua ubicazione e alle possibilità di una specifica attuale utilizzazione (potendo assumere rilievo anche al circostanza che il proprietario non sia autorizzato a dare in locazione a terzi l’immobile oggetto di restituzione: Cass. n. 5051/2009), nonchè all’esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsene il godimento dietro corrispettivo (argomento desumibile da Cass. n. 23720/2008; 7499/2007; 993/2002, tutte in tema di ritardato rilascio ex art. 1591 c.c.).
Altra ultima sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 gennaio 2014, n. 530
ha affermato che, una volta intervenuta la risoluzione anticipata per inadempimento del conduttore e cessata, altresì, l’occupazione dell’immobile – il danno risarcibile al locatore (id est, l’effetto pregiudizievole, conseguente alla risoluzione anticipata) a titolo di lucro cessante è rappresentato dalla mancata percezione di un introito mensile per tutto il tempo presumibilmente necessario per poterlo nuovamente locare, in relazione al quale un obiettivo parametro di riferimento può essere utilmente individuato, salvo prova diversa, nel periodo di preavviso previsto per il recesso del conduttore. Il che postula che, una volta ottenuta la disponibilità materiale del bene, il locatore abbia effettivamente rimesso l’immobile sul mercato delle locazioni, non essendo, altrimenti, possibile profilare l’esistenza di un danno che trovi fonte nell’inadempimento del debitore. Inoltre – in applicazione del principio generale che onera la parte creditrice della specifica dimostrazione dell’esistenza del danno – deve ritenersi che gravi sul locatore l’onere della prova di avere inutilmente tentato di locare l’immobile ovvero della sussistenza di altre analoghe situazioni pregiudizievoli (come ad es. il reperimento di offerte di locazione meno vantaggiose), dando conto dei concreti propositi di utilizzazione dell’immobile, atteso che la relativa dimostrazione, anche in ragione del criterio di vicinanza della prova, non può far carico al conduttore.
Con altro adagio recente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 febbraio 2015, n. 2865
è intervenuta dichiarando che quanndo il locatore abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto. L’ammontare del danno risarcibile costituisce valutazione del giudice di merito che terrà conto di tutte le circostanze del caso concreto.
Ancora la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 14 dicembre 2016, n. 25599
ha avuto modo di affermare che in tema di locazione di immobili urbani, la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna dell’immobile locato, dal medesimo comunque dovuti a seguito della risoluzione della locazione a titolo di danni per la protratta occupazione dell’immobile (ai sensi dell’articolo 1591 Cc), costituisce ampliamento della domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che trova fondamento nella particolare disposizione dell’articolo 664, comma 1, Cpc. secondo cui, in caso di convalida definitiva dello sfratto intimato per la morosità del conduttore, è ammissibile l’emissione dell’ingiunzione al pagamento non solo dei canoni scaduti alla data di notificazione dell’intimazione ma, ove l’intimante ne abbia fatto contestuale richiesta, anche di quelli «da scadere fino all’esecuzione dello sfratto», quale ipotesi specifica di condanna c.d. in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l’ordinamento tutela l’interesse del creditore all’ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l’inadempimento.
Per altra pronuncia[270] la prova del maggior danno, ai sensi dell’articolo 1591 cod. civ., non deve essere necessariamente fornita attraverso la dimostrazione di determinate proposte di locazione per un canone più elevato, potendo il locatore avvalersi a questo fine di elementi presuntivi dotati dei requisiti previsti dall’articolo 2729 cod. civ., purché consentano di ritenere l’esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsi il godimento dell’immobile dietro corrispettivo; l’offerta da parte del conduttore di un canone maggiore per la rinnovazione del contratto può tutt’al più valere come elemento presuntivo che concorre unitamente ad elementi dello stesso segno a provare l’esistenza del danno.
Pertanto, secondo la tesi più restrittiva il locatore non può limitarsi a dedurre, genericamente, che il bene locato era suscettibile di impiego tale da garantirgli un risultato economico migliore rispetto al canone originariamente pattuito. La giurisprudenza di legittimità con orientamento che appare altrettanto consolidato riconosce poi al locatore la possibilità di fornire la prova del maggior danno avvalendosi di ogni mezzo di prova , quindi anche dello strumento delle presunzioni[271].
In particolare – precisa la Suprema Corte – le presunzioni non possono essere invocate in astratto, al solo scopo di provare l’esistenza di un maggior canone virtuale di mercato, ma debbono essere idonee a dare in concreto la prova del danno del locatore derivante dal fatto provato dal quale si risale al fatto ignoto[272].
Ad esempio: rilevano ai fini della prova per presunzioni del maggior danno le vere e proprie trattative[273] per la stipulazione di una nuova locazione con terzi che si instaurano normalmente quando sussiste almeno la certezza circa l’epoca dell’effettivo rilascio dell’immobile; non è consentito assumere come dato di comune esperienza che il conduttore è frequentemente inadempiente ed escludere, per tale ragione, la serietà della trattativa intercorsa con un aspirante conduttore[274]; è raggiunta la prova del maggior danno mediante presunzioni allorquando dal fatto noto dell’avvenuta stipulazione di un nuovo contratto per un determinato canone mensile pochi mesi dopo il rilascio sia stato desunto il fatto ignoto della perdita di favorevoli occasioni di locazione già nel periodo in cui si era realizzata la mora del conduttore nella restituzione[275].
Infine è bene anche precisare che la disposizione sancita dall’art. 1591 cod.civ. costituisce espressione di un principio applicabile a tutti i tipi di contratto con i quali viene concessa l’utilizzazione del bene dietro corrispettivo, per l’ipotesi in cui il concessionario continui ad utilizzare il bene oltre la scadenza del termine finale del rapporto senza averne più il titolo.
In queste ipotesi, infatti, al vantaggio che consegue il concessionario da tale utilizzazione consegue un danno per il concedente, che ha come misura certa il corrispettivo periodico che era stato stabilito nel contratto, salva la prova del maggior danno[276].
Il conduttore rimasto nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione del contratto (nella specie, accertata giudizialmente) è tenuto al pagamento, da tale momento, dell’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., e non già del canone secondo le scadenze pattuite, perché, cessato il rapporto di locazione, la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell’obbligo di restituzione della cosa locata anche quando è consentita dalla legge di sospensione degli sfratti, e la liquidazione del relativo danno, da riconoscersi fino all’effettivo rilascio dell’immobile, deve essere effettuata in base all’art. 1 bis del d.l. n. 551 del 1988 (convertito, con modif., dalla legge n. 61 del 1989), senza che possa avere alcuna rilevanza al riguardo la diversa misura inferiore stabilita nel contratto (ormai conclusosi) a titolo di indennità di mora per il ritardo nel pagamento del canone[277].
Il potere riconosciuto al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte istante dall’onere di fornire gli elementi probatori ed i dati di fatto in suo possesso, al fine della precisa determinazione del danno stesso, ed è altresì subordinato alla condizione imprescindibile della sua esistenza ontologica e dell’impossibilità di provarlo nel suo preciso ammontare, così da non poter essere esercitata quando tale impossibilità sia esclusa dallo stesso danneggiato, il quale abbia chiesto l’ammissione di prove aventi ad oggetto proprio la precisa determinazione del danno, ovvero (nell’ipotesi, quale quella di specie, di risarcimento connesso alla mancata disponibilità di un immobile locato) quando sia possibile far riferimento ai dati del mercato immobiliare, opportunamente portati a conoscenza del giudice[278].
Qualora questo danno sia stato determinato con apposita clausola penale[279], a corrispondere l’ammontare di detta penale — ancorché il ritardo sia dipeso da vicende dilatorie dovute a termini fissati in sentenza per l’esecuzione e graduazione dello sfratto o a proroghe e sospensioni ex lege dello stesso, perché trattandosi di termini apposti all’esecuzione forzata e non all’adempimento, non fanno venir meno la mora e così la responsabilità del conduttore, senza che al riguardo possa rilevare la norma di cui all’art. 2 del d.l. 25 settembre 1987, n. 393 (convertito in legge 25 novembre 1981, n. 478), che esonera il conduttore dal risarcimento dei danni di cui all’art. 1591 cod. civ. per il tempo intercorrente tra la data di scadenza del regime transitorio e la data fissata giudizialmente per il rilascio — atteso che detta norma si applica espressamente alle sole locazioni di immobili ad uso non abitativo[280].
Unica deroga al pagamento del maggior danno si ha nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate dagli artt. 27 e 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (e, in regime transitorio, dagli artt. 68, 71 e 73 della stessa legge); il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell’immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento[281], è obbligato al solo pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, e non anche al risarcimento del maggior danno[282].
Infine, dopo la cessazione «de iure» del rapporto, sino alla riconsegna dell’immobile, rientrano anche gli aumenti stabiliti dalle sopravvenute normative (come quelli previsti dalla legge 27 luglio 1978 n. 392, «ratione temporis» applicabile), essendo l’indennizzo sempre ragguagliabile alla misura convenzionale o legale dei canoni per il tempo in cui si è protratta l’occupazione di fatto, senza che alla richiesta di siffatti aumenti, possa essere ricondotta — in mancanza di prova in contrario — la volontà del locatore di riattivare il rapporto locatizio[283].
- I rapporti con la legge 61/1989 e 431/1998 [284]
Secondo una prima pronuncia[285] in tema di locazione d’immobili adibiti ad uso di abitazione, l’art. 1bis della legge 21 febbraio 1989, n. 61 — il quale, nel convertire con modifiche il decreto legge 30 dicembre 1988, n. 551, ha disposto che, per i comuni ad alta tensione abitativa, l’esecuzione degli sfratti per finita locazione rimaneva sospesa fino al 30 aprile 1989 e che, durante il periodo di sospensione dell’esecuzione, il conduttore era tenuto a corrispondere, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto, maggiorato del venti per cento — va interpretato nel senso che tale maggiorazione escludeva (ed esclude) eventuali, ulteriori pretese pecuniarie del locatore, ai sensi del menzionato art. 1591, limitatamente al periodo di sospensione dell’esecuzione, ferma restando, al di fuori di tale ambito temporale, l’applicabilità delle regole ordinarie dettate dalla citata norma del codice civile.
Mentre per altra sentenza[286] l’art. 1bis della legge 21 febbraio 1989, n. 61 considera in mora il conduttore non soltanto durante il periodo di sospensione dell’esecuzione stabilito dall’art. 1 della medesima legge, ma per tutto il periodo successivo alla condanna di rilascio, fino alla riconsegna effettiva dell’immobile, in virtù dell’espresso richiamo all’art. 1591 cod. civ.
La maggiorazione del venti per cento che il conduttore è tenuto a corrispondere, oltre al canone mensile, durante il periodo di sospensione dell’esecuzione degli sfratti a norma dell’art. 1 bis del D.L. 30 dicembre 1988, n. 551, conv. nella legge 21 febbraio 1989, n. 61, costituendo risarcimento del danno da inadempimento dell’obbligazione di restituzione, è dovuta indipendentemente dalla richiesta del locatore[287].
A mente di una nota sentenza della S.C.[288], in tema di locazione di immobili urbani, la dichiarazione di incostituzionalità «in parte qua» dell’art. 6 della legge 431/1998, – che, interpretando autenticamente la norma di cui all’art.1 bis della legge 61/89 (a mente della quale, dichiarata la cessazione della locazione, il conduttore, per tutto il periodo di sospensione dell’esecuzione dello sfratto, era tenuto a corrispondere una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto al momento della cessazione del contratto maggiorato del quinto, oltre aggiornamenti ISTAT), sanciva, durante i periodi di sospensione delle esecuzione degli sfratti, l’obbligo del conduttore di corrispondere la somma di cui al citato art. 1 bis, e non altra diversa, per tutto il periodo effettivo di sospensione (e, dunque, fino all’effettivo rilascio, e non soltanto limitatamente al periodo di sospensione «ope legis», a prescindere dall’eventuale maggior danno sofferto dal locatore) – comporta che, a tutt’oggi, il sistema normativo vigente in tema di quantificazione legale del danno subito dal locatore per il periodo intercorrente tra la data della sentenza di rilascio dell’immobile e quella dell’effettiva riappropriazione del bene risulta così delineato:
1) la quantificazione legale del danno che il conduttore è comunque tenuto a corrispondere al locatore ai sensi dell’art. 1591 c.c. è quella determinata con la prevista maggiorazione del canone nella misura del quinto oltre aggiornamenti ed oneri accessori;
2) detto importo è astrattamente dovuto per tutto il periodo di sospensione delle esecuzioni e sino all’effettivo rilascio;
3) per il periodo sino al termine della sospensione «ope legis» delle esecuzioni (o per quello giudizialmente fissato per il rilascio, ex art. 56 legge 392/78), la corresponsione dell’ultimo canone così maggiorato esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno ex art. 1591 seconda parte cod. civ., pur in costanza di prova dell’esistenza di un più grave pregiudizio fornita dal locatore;
4) per il periodo intercorrente tra la scadenza della sospensione «ope legis» e la data dell’effettivo rilascio, il locatore (giusta sentenza della Corte costituzionale 482/2000), ove ne abbia offerto la prova, può pretendere il risarcimento del maggior danno subito, rispetto a quello quantificato «ex lege» ex art. 1 bis legge 61/89.
- Provvedimenti di sospensione o proroga degli sfratti per finita locazione
In forza di cicli legislativi lo Stato è intervenuto più volte al fine di tutelare le classi deboli con provvedimenti di sospensione o proroga degli sfratti per finita locazione[289].
Ciò non toglie, però, che la responsabilità risarcitoria del locatario, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., per ritardato rilascio dell’immobile, non resta esclusa, in difetto di espressa previsione, dai provvedimenti normativi di sospensione o proroga dello sfratto, quali quelli resi, ad esempio, si legge nella sentenza in commento, nell’ambito della Regione Campania, dal d.l. 26 novembre 1980, n. 776, convertito in legge 22 dicembre 1980, n. 874, e dal d.l. 30 dicembre 1985, n. 791, convertito in legge 28 febbraio 1986, n. 46, in quanto i medesimi attengono alla fase esecutiva, senza incidere sugli obblighi contrattuali del conduttore[290].
Inoltre anche qualora questo danno sia stato determinato con apposita clausola penale, a corrispondere l’ammontare di detta penale — ancorché il ritardo sia dipeso da vicende dilatorie dovute a termini fissati in sentenza per la esecuzione e graduazione dello sfratto o a proroghe e sospensioni ex lege dello stesso, perché trattandosi di termini apposti alla esecuzione forzata e non all’adempimento, non fanno venir meno la mora e così la responsabilità del conduttore[291].
11) Miglioramenti ed addizioni
art. 1592 c.c. miglioramenti: salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un’indennità corrispondente alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna .
Anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si sono verificati senza colpa grave del conduttore .
Nella nozione di miglioramenti rientrano quelle opere che con trasformazioni o sistemazioni diverse determinano all’immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi.
Al concetto di miglioramenti ai sensi dell’art. 1592 c.c. l’elaborazione giurisprudenziale ha ricondotto tutte quelle opere che, con trasformazioni o sistemazioni diverse, apportano all’immobile un notevole aumento di valore, accrescendone, si ripete ancora una volta, in modo durevole il godimento, la produttività, la redditività, incorporandosi con il bene senza stravolgerne la continuità strutturale rispetto all’antecedente.
Per la S.C.[292] la disciplina dei miglioramenti e delle addizioni eseguiti dal conduttore sulla cosa locata, dettata dagli artt. 1592 e 1593 cod. civ., riguarda soltanto quelle innovazioni o quegli incrementi, qualitativi o quantitativi, che ineriscono alla cosa locata in quanto compiuti nell’ambito rigoroso dei suoi confini, lasciandone integra la struttura fondamentale, l’organizzazione funzionale autonoma e la destinazione sua propria, e ad essa non può farsi riferimento quando si tratti di alterazioni strutturali profonde, che abbiano come conseguenza la trasformazione, anche di una parte soltanto, della cosa locata.
Le norme, contenute negli artt. 1592 e 1593 cod. civ., sono applicabili anche alle accessioni operate dal conduttore che, originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per disposizione di legge o per vincolo amministrativo, dovendosi ritenere che la volontà di legge, come attuata, si sia sostituita al consenso del locatore in ordine alle addizioni al proprio immobile, per la regolamentazione di più beni originariamente separabili come entità indivisibile[293].
Con riguardo alle addizioni effettuate dal conduttore[294],
A) se il locatore vi ha prestato consenso e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano anche un miglioramento della cosa locata, comportando un incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione ed il conduttore ha diritto all’indennità prevista dall’art. 1592 cod. civ.
Questo consenso, importando cognizione dell’entità anche economica e della convenienza delle opere da eseguirsi, non può essere implicito né può arguirsi da pretesi atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una manifestazione esplicita ed inequivoca di volontà, senza la quale rimane inoperante la norma generale dell’articolo predetto[295].
Grava sul conduttore l’onere di dimostrare di aver ottenuto il preventivo espresso consenso del locatore.
B) Mentre qualora non vi sia stato il consenso, il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Nel caso invece in cui le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l’eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite.
Anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si siano verificati senza colpa grave del conduttore (art. 1592 c.c.).
Il principio generale di cui all’art. 1592 c.c., in forza del quale il conduttore non ha diritto ad indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, trova eccezione con riferimento alla ipotesi in cui il locatore abbia a ciò prestato il proprio consenso, con conseguente facoltà del conduttore di richiedere un’indennità corrispondente alla minor somma inter expensum et melioratum.
Tale facoltà va necessariamente esercitata, quoad tempus, al momento della riconsegna dell’immobile al locatore, potendo solo in tale occasione operarsi una utile comparazione tra l’importo delle spese sostenute dal conduttore e l’incremento di valore conseguito dall’immobile[296].
Sul punto Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 gennaio 2023| n. 2535
recente ha affermato che in tema di locazione, l’art. 1592, comma 1, cod. civ. stabilisce, quanto ai miglioramenti apportati dal conduttore alla cosa locata con il consenso del locatore, il principio che quest’ultimo è tenuto a pagare al primo un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa ed il valore del risultato utile al tempo della riconsegna, la quale, se non può essere assunta quale condizione di proponibilità della domanda, deve nondimeno sussistere al momento della proposizione della domanda stessa. In effetti, il legislatore ha voluto semplicemente, attraverso quel riferimento cronologico, assicurarsi che la liquidazione dell’indennità “de qua” venga determinata in concreto non prima del momento in cui cessi la disponibilità dell’immobile da parte del conduttore e la riacquisti invece il locatore, e con riferimento esclusivo ad esso, non rilevando che la domanda relativa sia stata proposta anteriormente a tale momento. In altri termini, nel sistema normativo delineato dalla evocata disposizione, la riconsegna della cosa da parte del locatario non va intesa quale condizione di proponibilità della relativa domanda, ma quale presupposto perché si abbia un provvedimento favorevole o sfavorevole sulla domanda stessa, vale a dire una pronuncia nel merito (Nel caso di specie, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata avendo nella circostanza la corte del merito pronunciato condanna a carico della società attrice al pagamento dell’indennità prevista dall’art. 1592 cod. civ. senza verificare in fatto se l’immobile era stato o meno restituito alla società proprietaria)
L’azione del conduttore volta ad ottenere, ai sensi dell’articolo 1592 c.c., l’indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, non può essere proposta prima dell’avvenuta riconsegna del bene locato al locatore[297] .
Lo ius tollendi di cui all’art. 1593 c.c. può essere esercitato anche successivamente alla cessazione del rapporto locatizio in quanto la disposizione non fissa un termine per l’esercizio di tale diritto, ma condiziona soltanto l’esercizio di esso alla volontà del proprietario di non voler ritenere per sé le addizioni)[298].
Ove, invece, le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l’eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite”.
La cassazione[299], giustamente, ha anche precisato che, poiché la mancanza di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale, ai fini dell’indennizzo per ingiusto arricchimento ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., non si identifica con il danno soggettivamente ingiusto sofferto dalla parte «depangerata», ma va accertata con riferimento alla posizione giuridica dell’arricchito, sussiste detta causa giustificatrice anche se essa derivi da un contratto intercorrente non tra il depauperato e l’arricchito, ma tra questi ed un terzo, almeno finché tale rapporto non sia annullato, rescisso o risolto.
Conseguentemente colui che abbia eseguito, su incarico del conduttore di un immobile, opere di miglioramento dell’immobile locato non può, ove il conduttore non l’abbia soddisfatto del suo credito, rivalersi con l’azione di indebito arricchimento verso il locatore al quale, in virtù di apposita clausola contrattuale o ai sensi dell’art. 1592 cod. civ., i miglioramenti siano acquisiti senza obbligo di indennizzo alla cessazione della locazione, trovando il vantaggio del locatore causa giustificatrice nel rapporto di locazione intercorso con il conduttore committente delle opere suddette.
- Deroga
Le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., sui miglioramenti e sulle addizioni, non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle parti[300].
Se le parti, nella loro autonomia contrattuale, derogando alla disciplina legale prevista dagli artt. 1592 e 1593 cod. civ. per i miglioramenti e le addizioni apportati alla cosa dal conduttore con il consenso del locatore, pattuiscono l’obbligo di questi di rimborsargli le spese occorrenti per le corrispondenti opere, il relativo debito non muta la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all’integrale valore di esse, così modificandosi soltanto il criterio legale della minor somma tra lo speso e il migliorato[301].
Difatti, come confermato anche da recente Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza, 3 marzo 2020, n. 5968.
la clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione di un’indennità per i miglioramenti in favore del conduttore non è da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilità della controparte che l’abbia predisposta, non incidendo sulle conseguenze della colpa o dell’eventuale inadempimento di quest’ultimo, agendo bensì sul diritto sostanziale, escludendo l’indennità per i miglioramenti previsti, dall’art. 1592 cod. civ. con norma derogabile
Inoltre[302] non costituisce clausola vessatoria a norma dell’art. 1341 la clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione di un’indennità per i miglioramenti, atteso che la clausola in questione non è da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilità a favore di chi la ha predisposta, poiché non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento, né tra quelle che stabiliscono limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni o di agire in giudizio per ottenere l’adempimento dell’altra parte, ma agisce sul diritto sostanziale escludendo l’indennità per i miglioramenti, previsti dall’art. 1592 cod. civ. con norma derogabile.
art. 1593 c.c. addizioni: il conduttore che ha eseguito le addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In tal caso questi deve pagare al condutture un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna.
I miglioramenti accrescono l’utilità e il valore della cosa rimanendone intrinsecamente assorbiti, mentre le addizioni, che trovano la loro regolamentazione nell’articolo 1593 c.c., rappresentano un incremento estrinseco, costituendo aggiunte che, pur unite e incorporate alla cosa, non si fondano con essa.
Secondo ultima Cassazione, penale,
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 23 marzo 2016, n. 12377
in tema di locazione, gli incrementi del bene locato, in applicazione dei principio generale dell’accessione, divengono di proprietà dei locatore, proprietario della cosa locata, pur con le specifiche modalità dettate dall’art. 1593 cod. civ., rimanendo, tuttavia, in facoltà delle parti di prevedere apposita clausola derogatrice volta ad escludere che il bene immobilizzato nel suolo sia ritenuto dal proprietario di quest’ultimo; in presenza di tale accordo, pertanto, il contratto di locazione, per tutta la sua durata, costituisce titolo idoneo a impedire l’accessione, configurandosi il diritto del conduttore sul bene costruito come diritto non reale, che si estingue con il venir meno dei contratto stesso e con il riespandersi dei principio dell’accessione
Per quanto concerne, invece, le addizioni, il conduttore ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse pagando al conduttore un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. Se le addizioni non sono separabili senza nocumento e ne costituiscono miglioramento, si osservano le disposizioni già viste per i miglioramenti (art.1593 c.c.).
12) Sublocazione
La sublocazione è il contratto con il quale il conduttore (sublocatore) attribuisce, in tutto o in parte, ad un terzo (subconduttore) il godimento che a lui spetta sulla cosa locata.
- Natura
– subcontratto – avente carattere autonomo, in quanto costituisce un nuovo rapporto locativo, regolato da clausole proprie, fra sublocatore e subconduttore, rapporto al quale il locatore non partecipa (estraneità confermata dalla 2 Aparte del 3 co dell’art. 1595).
art. 1594 c.c. sublocazione o cessione della locazione: il conduttore salvo patto contrario(rectius divieto di sublocazione viene inteso estensivamente, nel senso che comprende ogni godimento concesso a terzi anche con negozi diversi dalla sublocazione) ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore .
Trattandosi di cosa mobile, la sublocazione deve essere autorizzata dal locatore o consentita dagli usi.
Il divieto non comprende i casi di ospitalità data:
1) al convivente more uxorio;
2) a domestici o custodi;
3) ai rappresentanti o ausiliari
4) sublocazione parziale[303].
Per la S.C.[304] i controlli insiti nell’ordinamento positivo relativi all’esplicazione dell’autonomia negoziale, coincidenti con la meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente e con la liceità della causa, devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi, ivi compreso quello contemplato dall’art. 2 Cost. (che tutela i diritti involabili dell’uomo e impone l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà); è pertanto nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia[305].
Poiché il contratto di sublocazione è un contratto derivato, ne consegue che le norme che regolano gli obblighi del locatore regolano nella stessa maniera anche gli obblighi del sublocatore e, per converso, il subconduttore ha le stesse facoltà e gli stessi diritti del conduttore e cioè di mantenere in buono stato il bene detenuto in sublocazione e di esigere la riparazione dei difetti e vizi, anche sopravvenuti, di tale bene[306].
Nella disciplina di cui all’art. 36 della legge n. 392 del 1978 sull’equo canone[307], in caso di cessione o di affitto di azienda relativi ad attività svolta in un immobile condotto in locazione, non si produce l’automatica successione del cessionario nel contratto di locazione dell’immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell’azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede comunque la conclusione, tra cedente e cessionario dell’azienda, di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione, senza necessità, in tale seconda ipotesi, del consenso del locatore, in deroga all’art. 1594 cod. civ., ma salva comunque la facoltà di quest’ultimo di proporre opposizione per gravi motivi, entro trenta giorni dalla avvenuta comunicazione della cessione del contratto di locazione insieme all’azienda, proveniente dal conduttore[308].
È stato già scritto[309] che qualora in un contratto di locazione di immobile la parte locatrice sia costituita da più locatori, in capo a ciascuno dei comproprietari concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo, peraltro, a regole di comune esperienza che uno o alcuni dei comproprietari gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti; l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di colui o di coloro che apparivano agire per tutti. In applicazione di tale principio, la S.C.[310] ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva ritenuto valida la cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, in quanto i locatori, dopo aver ricevuto la comunicazione scritta dell’avvenuta cessione, avevano accettato senza riserve dalla cessionaria il pagamento dei canoni scaduti, rilasciandone ricevuta, e solo due mesi dopo tale comportamento concludente avevano comunicato di non acconsentire alla cessione, senza che nelle sedi di merito nessuno dei locatori avesse dimostrato di essersi espressamente e formalmente dissociato dai comportamenti di colui che aveva incassato i canoni rilasciandone ricevuta.
Sempre per altro principio previsto nel codice civile ovvero l’obbligo del conduttore di osservare nell’uso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, a norma dell’art. 1587 n. 1 cod. civ.[311], con il conseguente divieto di effettuare innovazioni che ne mutino la destinazione e la natura, è sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall’altro obbligo, sancito dall’art. 1590 cod. civ., di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello stesso stato in cui è stata consegnata, sicché il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo l’osservanza dell’obbligazione di cui all’art. 1587 n. 1 e di agire nei confronti del conduttore inadempiente.
Ne consegue che nel caso di cessione del contratto di locazione, l’obbligo del risarcimento del danno sorge in capo a chi, cedente o cessionario, era conduttore al momento in cui il danno stesso si è verificato, se questi non prova che il deterioramento è accaduto per causa a lui non imputabile, salva la responsabilità solidale di entrambi nei confronti del locatore[312].
- Conseguenza del divieto
Nell’ipotesi di sublocazione la quale sia stata convenuta nonostante che il contratto di locazione la vietasse, il principio applicabile, ai fini della risoluzione di quest’ultimo, è che, qualora l’inadempimento di una parte sia totale e riguardi una delle obbligazioni primarie ed essenziali scaturenti dal contratto, non è necessaria alcuna valutazione specifica della gravità dell’inadempimento stesso, essendo questa implicita nella circostanza stessa del mancato adempimento[313].
In difetto di una valutazione legale tipica della gravità dell’inadempimento, la violazione del divieto pattizio di sublocazione di cui all’art. 1954, comma primo, cod. civ. o di cessione in uso dell’immobile locato ad uso non abitativo in tanto consente la pronuncia di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1452 cod. civ. in quanto l’inadempimento integrato dalla violazione del patto non abbia, secondo quanto richiesto dalla norma di generale applicazione posta dall’art. 1455 cod. civ., scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte, da apprezzarsi dal giudice in base alle circostanze del caso[314].
Nell’ipotesi di sublocazione d’immobile urbano adibito ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e quindi della sublocazione l’indennità[315] per la perdita dell’avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 della legge sull’equo canone, compete al conduttore-sublocatore nei confronti del locatore e al subconduttore nei confronti del sublocatore medesimo[316].
art. 1595 c.c. rapporti tra il locatore e il subconduttore: il locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, ha azione diretta contro il subconduttore per esigere il prezzo della sublocazione, di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale, e per costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione .
Il subconduttore non può opporgli pagamenti anticipati, salvo che siano stati fatti secondo gli usi locali.
Senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore, e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui (la norma, infatti, vuole solo significare che, essendo il locatore terzo rispetto alla sublocazione, non è a lui opponibile il diritto del subconduttore, il quale nulla potrà opporre di fronte alla pretesa restitutoria e al titolo che, in giudizio, il locatore ha ottenuto) (c.c. 2909).
Riguardo alla natura di tale azione, si discute se essa possa rientrare tra le ipotesi di azione surrogatoria, rappresentanza, successione nel credito e nel debito, in particolare, è stato unanimemente escluso che possa trattarsi di azione surrogatoria, non rinvenendosene gli aspetti connotativi quali l’inerzia del debitore principale; la ratio legis di tale disposizione risiederebbe, dunque, nell’intento di accordare maggiore tutela al locatore, per effetto del collegamento derivativo costitutivo che esiste tra locazione e sublocazione.
Difatti per la S.C.[317] l’azione diretta concessa dall’art. 1595 cod. civ. al locatore contro il subconduttore, per esigere il prezzo della sublocazione, non può considerarsi come una forma di azione surrogatoria (art. 2900 cod. civ.) ed anzi da questa è ben distinta; con essa, il locatore esercita, in nome e per conto proprio, il diritto del sublocatore di esigere dal sublocatario i canoni di sublocazione: presupposto necessario dell’azione è la coesistenza di due situazioni giuridiche che, pur avendo in comune uno dei soggetti (il locatario sublocatore), restano, dal punto di vista giuridico, del tutto distinte ed autonome tra loro: il rapporto, cioè, di credito-debito tra locatore e locatario e l’analogo rapporto di credito-debito tra locatario sublocatore e sublocatario. Pertanto, il sublocatario convenuto direttamente dal locatore, potrà, senza dubbio, contestare l’esistenza di uno dei detti due rapporti di credito-debito, ma non potrà mai eccepire in compensazione del suo proprio debito verso il sublocatore, un eventuale credito di quest’ultimo verso il locatore, relativo al negozio primario di locazione e subordinato, nell’accertamento, alla iniziativa potestativa del sublocatore stesso. E, l’esercizio di detta azione ex art. 1595 cod. civ., trattandosi di azione di condanna, non determina un litisconsorzio necessario nei confronti del locatario sublocatore.
Ai sensi del terzo comma dell’art. 1595 cod. civ., la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione (nullità, risoluzione, scadenza del termine della locazione, rinuncia del conduttore sublocatore al contratto in corso etc.) spiega, nei confronti del subconduttore, ancorché rimasto estraneo al giudizio tra locatore e conduttore, e, quindi, non menzionato in alcun modo nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata sostanziale, ma anche l’efficacia del titolo esecutivo per il rilascio; a maggior ragione questa efficacia, che discende dal principio resoluto iure dantis resolvitur et jus accipientis, deve essere riconosciuta nel caso in cui la sublocazione sia inopponibile al locatore[318].
La norma contenuta nel terzo comma è ispirata ad una maggiore tutela del diritto del locatore nei confronti del subconduttore[319]; essa, pertanto, attribuisce solo al locatore il diritto sostanziale alla restituzione del bene da parte del subconduttore, ma non conferisce analoga facoltà al sublocatore, che non può, quindi, pretendere dal subconduttore la restituzione del bene a seguito della risoluzione del contratto di locazione. In tal caso, avendo natura contrattuale l’obbligo della restituzione della cosa locata, il conduttore sublocatore può esimersi dalla conseguente responsabilità, che ha come presupposto il dolo o la colpa, provando che l’inadempimento o il ritardo nella riconsegna sono dovuti a impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, e di aver fatto il possibile per ottenere il rilascio della cosa con i mezzi consentitigli.
Sotto un profilo meramente processuale, poiché, come appena scritto, la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione (nullità, risoluzione, scadenza della locazione, rinuncia del conduttore-sublocatore al contratto in corso) nei confronti del conduttore esplica nei confronti del subconduttore, ancorché rimasto estraneo al giudizio e quindi non menzionato nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata sostanziale, ma anche l’efficacia del titolo esecutivo per il rilascio.
Ne discende, anche, che il subconduttore non potendo vantare diritti di sorta nei confronti del locatore principale ed avendo un semplice interesse alla continuazione del rapporto locatizio fondamentale, può spiegare nella causa per finita locazione tra il proprietario ed il conduttore originario soltanto un intervento adesivo semplice o dipendente, non già autonomo litisconsortile e, di conseguenza, non è titolare del diritto di impugnare in via autonoma la sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, ma può solo aderire all’impugnazione proposta da quest’ultima. Analogamente, se il locatore abbia convenuto nel giudizio instaurato per sentir dichiarare la cessazione della locazione sia il conduttore sia il subconduttore, è inammissibile l’impugnazione del subconduttore contro la sentenza che abbia accolto la domanda del locatore non impugnata dal conduttore[320].
Da ultimo la SC è intervenuta in via generale stabilendo nuovamente alcuni principi
Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 15 marzo 2018, n. 6390
In realta’, ictu oculi l’articolo 1595 c.c., comma 3, costruisce proprio un rapporto di dipendenza tra i due contratti, e questo non e’ diretto soltanto a tutelare il locatore, bensi’ anche a tutelare il subconduttore nel contratto collegato a quello di locazione: infatti “la nullita’ o la risoluzione del contratto di locazione” e la relativa sentenza pronunciata tra locatore e conduttore hanno effetto pure nei confronti del subconduttore, ma cio’ avviene “senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore”. Dunque, il legislatore ha perseguito, come e’ usuale, un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi: il collegamento tra i contratti, che qui risiede nella identita’ (totale o parziale) dell’oggetto, impone che il locatore non possa essere privato, quando vi ha diritto, della restituzione dell’oggetto attraverso la stipulazione da parte del conduttore di un contratto di sublocazione; peraltro, a sua volta il subconduttore deve in tal caso restare “senza pregiudizio” nel suo rapporto con il sublocatore. E cio’ significa che il contratto di sublocazione e’ collegato al contratto di locazione ma non da esso “assorbito” e asservito, vale a dire avvinto al punto che le parti del rapporto “principale” possano essere stesse governare pure l’esecuzione, e – soprattutto – prima ancora il contenuto dell’accordo correlato, ovvero anche apportare un “pregiudizio” al subconduttore nel subcontratto che non si limiti a coincidere con quanto spetta nel contratto principale al locatore: al di la’ di questa coincidenza, che incardina il collegamento, rimane invece integro per il resto il rapporto sublocatore-subconduttore come dalle parti di tale rapporto – e solo da esse – disciplinato nel regolamento negoziale.
Il che, a ben guardare, significa che, una volta tutelato il locatore in riferimento alla particolarita’ della fattispecie giuridica – l’identita’ dell’oggetto dei due contratti collegati -, si applicano per il resto i principi generali che regolano l’autonomia negoziale e circoscrivono l’ambito dei suoi effetti. Se e’ vero, allora, che il contratto di sublocazione e’ avvinto da un collegamento di dipendenza unilaterale al contratto locatizio, che assume il ruolo di contratto fondamentale a fronte di quello, proprio del contratto di sublocazione, di contratto derivato (cfr. Cass. sez. 3, 11 gennaio 2006 n. 260 e Cass. sez. 3, 23 luglio 2002 n. 10742), e’ altrettanto vero, tuttavia, che il collegamento negoziale, o che sia legislativamente istituito come nel caso in esame, o che discenda direttamente dalla volonta’ delle parti coinvolte, cioe’ sia atipico, non da’ luogo ad un unico contratto, bensi’ ad una pluralita’ coordinata di contratti, che quindi, laddove non incide direttamente l’interesse economico-giuridico che li ha connessi, rimangono entita’ negoziali autonome (cfr. Cass. sez. 3, 18 luglio 2003 n. 11240 e Cass. sez. 3, 28 giugno 2001 n. 8844). Ed e’ pertanto applicabile al contratto di sublocazione il principio generale, implicitamente ma inequivocamente invocato dalla ricorrente, dell’articolo 1372 c.c., comma 2: il contratto ha effetto sui terzi solo nei casi previsti dalla legge.
Come si e’ appena visto, allora, la legge non prevede che il locatore e sublocatore possano con accordi stipulati esclusivamente tra di loro modificare il contenuto di un contratto di sublocazione che ha per oggetto lo stesso immobile, essendo l’effetto del contratto locatizio sul subconduttore circoscritto dall’articolo 1595 c.c., che in nessuno dei suoi commi conferisce al contratto principale un globale effetto di “governo” del contratto collegato, tale da attribuire alle parti del contratto principale un’autonomia negoziale relativa anche al contratto collegato, autonomia che venga cosi’ “sottratta” al subconduttore, l’unico dei tre soggetti che, non accordandosi nell’ambito del rapporto principale cui e’ estraneo, potrebbe infatti ricevere “pregiudizio” da un accordo locatore-sublocatore attinente al contenuto del contratto di sublocazione: e cio’ pure nel caso in cui tale contenuto non possa definirsi novativo, perche’ comunque verrebbe lesa la sua autonomia negoziale. Quel che rileva, invero, non e’ il contenuto del regolamento negoziale, bensi’ la titolarita’ dell’autonomia negoziale: titolarita’ che, come si e’ appena visto, al di fuori di quanto e’ riconducibile all’identificazione normativa dell’ambito del collegamento – qui concentrata nell’articolo 1595 c.c. -, permane in capo alle parti di quello che e’ un vero e proprio contratto, pur se collegato ad un altro.
- In caso di detenzione
Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui al momento della proposizione della domanda detto bene è detenuto da un terzo, immessovi dal conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui titolo presuppone quello del conduttore[321]. Né d’altro canto rileva che il locatore ometta di notificare al terzo detta sentenza di condanna e il precetto, conosciuti pertanto solo al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario, essendo soltanto lui che può adempiere l’obbligo di restituire il bene al locatore.
13) La cessione della locazione
Si ha cessione della locazione quando il conduttore (cedente), con il consenso del locatore (ceduto) sostituisce, a sé un altro soggetto (cessionario) nei rapporti che derivano dal contratto di locazione.
Di conseguenza i diritti e gli obblighi si trasferiscono al cessionario, mentre restano immutati gli elementi oggettivi del contratto.
Mentre nell’ipotesi di sublocazione si ha la nascita di un ulteriore rapporto, la cui sorte dipende da quello principale che permane, nel caso di cessione del contratto di locazione, per il cui perfezionamento è necessaria la partecipazione di tutti e tre i soggetti interessati, cedente, cessionario e ceduto (negozio plurilaterale), si instaura un rapporto diretto tra il terzo cessionario (che subentra al conduttore originario) ed il locatore[322].
art. 1594 c.c. sublocazione o cessione della locazione: il conduttore salvo patto contrario (rectius divieto di sublocazione ) ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore .
L’istituto rappresenta una tipica applicazione della figura generale prevista dalla normativa sui contratti ex artt. 1406 e ss[323].
Non integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo dell’obbligo di pagare il canone, pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento[324].
La cessione del contratto di locazione, quando per il contratto ceduto non è richiesta la forma scritta, si perfeziona e produce effetto, nei confronti del locatore, nel momento in cui questo vi acconsente anche tacitamente o per facta concludentia, come nel caso in cui, venuto a conoscenza della cessione, abbia consentito il godimento della cosa locata da parte del cessionario ed accettato gli effetti della cessione, ricevendo da quest’ultimo il canone locativo[325].
Con ultima pronuncia la S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 28 febbraio 2013 n. 4986
ha affermato che non è opponibile al subentrante, in caso di cessione del contratto, il contratto simulato.
Poichè il soggetto in mancanza di prova dell’adesione a questo negozio, è terzo rispetto ad esso, e perciò l’articolo 1415 del Cc ne esclude l’opponibilità, a meno che sia provata la sua malafede da colui che contesta la presunzione della buona fede, in quanto terzo. Pertanto non gli sono opponibili gli accordi dissimulati contrari al contenuto del contratto e tale è stata qualificata la scrittura del 1° aprile 1998.
Con altra recente sentenza, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 6 ottobre 2016, n. 20024
ha avuto modo di confermare un precedente indirizzo secondo il quale in materia di risarcimento del danno arrecato alla cosa locata, in caso di cessione del contratto di locazione, ferma la responsabilita’ solidale del conduttore cedente e del cessionario nei confronti del locatore, nell’ambito dei rapporti interni tra i vari conduttori, il debito va ripartito secondo il criterio dell’imputabilita’, salvo che per i deterioramenti per i quali non sia possibile accertare a quale dei debitori solidali siano imputabili; in tal caso le parti del debito solidale si presumono uguali tra i conduttori.
In particolare, si tratta non di responsabilita’ solidale, ma di responsabilita’ sussidiaria del cedente una volta che il locatore si sia inutilmente rivolto al cessionario inadempiente, ma non e’ comunque intaccato il principio secondo il quale, in caso di cessione del contratto di locazione ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 36, nei confronti del locatore che non abbia liberato il cedente, anche quest’ultimo risponde dell’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto, salvo il beneficium ordinis nel senso chiarito.
14) Trasferimento della cosa locata
In caso di trasferimento non si perde il contratto di locazione, esclusi i quattro limiti indicati successivamente.
In tal modo si è fissata la regola emptio non tollit locatum, che non è però assoluta.
art. 1599 c.c. trasferimento a titolo particolare della cosa locata: il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente, (1° limite) se ha data certa anteriore all’alienazione della cosa.
(2° limite) La disposizione del co. precedente non si applica alla locazione di beni mobili non iscritti in pubblici registri, se l’acquirente ne ha conseguito il possesso in buona fede.
(3° limite) Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione (rectius l’opponibilità sarà limitata al novennio)
L’acquirente è in ogni caso tenuto a rispettare la locazione, se ne ha assunto l’obbligo verso l’alienante.
Dal disposto combinato degli articoli del codice civile (1599 – 1606) emerge che la ratio legis del Legislatore del Codice civile del 1942 è stata quella di disciplinare dettagliatamente gli effetti sostanziali, nei rapporti fra acquirente-cessionario, locatore-cedente e conduttore-ceduto, del trasferimento a titolo particolare della res locata, garantendo una tutela maggiormente incisiva e solida al conduttore quale contraente debole rispetto alle altre parti coinvolte nella cessione.
Tutto ciò ripreso appieno dalla successiva normativa speciale in materia di locazione, ovvero le leggi nn. 392 del 1978 e 431 del 1998, rafforzando, però, ulteriormente la posizione del conduttore, cui è garantita ormai una posizione contrattuale di assoluta preminenza rispetto al locatore.
Tornano alla specifico la prova della data certa deve essere data, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti mediante atto scritto ai sensi dell’art. 2704, essendo irrilevante la sola conoscenza della locazione da parte dell’acquirente.
La dottrina e la giurisprudenza della Cassazione hanno, peraltro, chiarito che la norma in questione trova applicazione ogni volta che il terzo acquista a titolo derivativo – costitutivo[326], esulando, invece, i modi di acquisto a titolo originario.
La regola emptio non tollit locatum dettata dall’art. 1599 cod. civ., con specifico riguardo al trasferimento a titolo particolare della cosa locata, in base alla quale si verifica la cessione legale del contratto con la continuazione dell’originario rapporto e l’assunzione da parte dell’acquirente della stessa posizione del locatore, si ripete nuovamente, non opera quando il terzo abbia acquistato il bene locato a titolo originario; pertanto, il terzo, ad esempio, che abbia usucapito la proprietà della cosa locata, mentre non può esperire l’azione di sfratto, non essendo succeduto nel rapporto di locazione, è legittimato a promuovere le azioni reali per conseguire nei confronti del conduttore la disponibilità dell’immobile[327].
Il trasferimento a titolo particolare in corso di causa, dell’immobile locato, produce, sul piano processuale — nonostante l’art. 1599 cod. civ. preveda il subingresso dell’acquirente all’alienante nella posizione di locatore — gli effetti di cui all’art. 111 del codice di rito, sicché l’alienante, pur dopo l’intervento in causa dell’acquirente (e sempre che egli non sia stato estromesso dal giudice con il consenso delle altre parti), continua ad essere parte del processo in qualità di sostituto processuale dell’acquirente medesimo (art. 81 cod.proc.civ.), restando, per l’effetto, titolare di un autonomo diritto ad impugnare la sentenza pronunciata nei suoi confronti e destinata a produrre effetti anche con riguardo ai sostituti suoi aventi causa[328].
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|4 febbraio 2021| n. 2711.
ha anche precisato che ove ricorrano i presupposti di cui all’art.1599 c.c., l’acquirente della cosa locata subentra “ex lege”, ai sensi dell’art.1602 c.c., all’originario locatore, anche nel rapporto obbligatorio di garanzia costituito tra quest’ultimo e il suo fideiussore, soltanto se tale obbligazione possa ritenersi “derivante” dal contratto di locazione (in quanto ne abbia costituito una clausola da esso inscindibile) e non sia venuta meno per specifiche intese tra le parti originarie, dovendosi altrimenti ritenere inoperante la detta surrogazione legale, giacché l’autonomia del contratto di fideiussione rispetto al contratto principale di locazione esclude che l’attribuzione della garanzia “derivi” di regola da quest’ultimo, per gli effetti di cui al citato art.1602 c.c., nonostante il carattere accessorio da cui è contraddistinta, tanto sul piano genetico quanto su quello funzionale (Principio enunciato nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 3, c.p.c.).
- Effetti
Il terzo acquirente dell’immobile locato, nei casi in cui il contratto di locazione è a lui opponibile perché avente data certa anteriore all’alienazione della cosa locata, subentra nella medesima posizione del locatore alienante, sostituendosi a questo nel rapporto locativo, ed è, conseguentemente vincolato dal termine di durata della locazione concordato dagli originari contraenti, con la medesima decorrenza per questi applicabili[329].
Altrettanto granitico è nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui l’acquirente dell’immobile locato, pur subentrando in tutti i diritti e le obbligazioni correlati alla prosecuzione del rapporto di locazione deve tuttavia considerarsi terzo rispetto agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore e a carico delle parti originarie nel giorno del suo acquisto.
Se poi il contratto di locazione è già cessato alla data della stipula del definitivo di compravendita allora l’acquirente non ha titolo per agire in via contrattuale nei confronti del conduttore, in quanto non sono applicabili in tali ipotesi gli artt. 1599 e 1602 c.c., la cui operatività è condizionata alla persistenza in essere del contratto di locazione.
Nell’ipotesi di vendita dell’immobile locato, il conduttore deve corrispondere il canone all’acquirente dal momento in cui ne sia venuto comunque a conoscenza, anche in mancanza di una formale comunicazione; infatti, la vendita del bene locato non comporta una cessione del contratto di locazione inquadrabile nella norma di cui all’art. 1460 cod. civ., ma soltanto una successione a titolo particolare del compratore nel rapporto di locazione per la quale, contrariamente a ciò che avviene per la cessione del contratto per la quale si richiede il consenso del contraente ceduto, non è necessario il consenso del conduttore[330].
art. 1600 c.c. detenzione anteriore al trasferimento: (4° limite) se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al trasferimento, l’acquirente non è tenuto a rispettare, la locazione che per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
art.1601 c.c. risarcimento del danno al conduttore licenziato: se il conduttore è stato licenziato dall’acquirente perché il contratto di locazione non aveva data certa anteriore al trasferimento, il locatore è tenuto a risarcirgli il danno.
art. 1602 c.c. effetti dell’opponibilità della locazione al terzo acquirente: il terzo acquirente tenuto a rispettare la locazione subentra, dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione.
La comunicazione o notificazione dell’alienazione della cosa locata — da farsi al conduttore perché questi possa adempiere ai propri doveri nei confronti del nuovo proprietario subentrato ex lege nella posizione di locatore — non esige alcun specifico requisito formale, potendo essere data in qualunque forma idonea al raggiungimento dell’effetto della cognizione e provenire sia dal locatore alienante, sia dall’acquirente[331].
In mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la vendita dell’immobile locato determina la surrogazione, nel rapporto di locazione, del terzo acquirente che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore locatore senza necessità del consenso del conduttore, con la conseguenza che quest’ultimo è tenuto, di regola, a pagare i canoni all’acquirente, nuovo locatore, dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell’immobile in una qualsiasi forma idonea, in applicazione analogica dell’art. 1264 cod. civ. in tema di cessione dei crediti[332].
art. 1264 c.c. Efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto
La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata (967-2, 1248, 1407-1, 2914).
Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione (1978, 2559).
Per ultima sentenza di merito[333] ai sensi dell’art. 1602 cod. civ. l’acquirente di un bene locato subentra, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, dal giorno in cui l’acquisto è perfezionato escludendo, così, che il trasferimento a titolo particolare dell’immobile ex art. 1599 cod. civ. possa spiegare effetti retroattivi.
Siffatta costruzione comporta una sorta di scissione del rapporto locatizio in due periodi distinti rispetto ai quali gli effetti del medesimo contratto si dispiegano nei confronti del soggetto titolare del rapporto in ciascun periodo.
L’acquirente, quindi, non può chiedere l’adempimento di obbligazioni, connesse al rapporto stesso, che siano già esaurite al momento in cui è avvenuto il trasferimento del bene (come non può farlo, d’altra parte, il conduttore nei confronti del soggetto subentrato nel rapporto) mentre subentrerà in tutte quelle, sia diritti che doveri, che, invece, in tale momento non possano dirsi ancora compiute. In tal senso, nel caso in cui il conduttore adempia, dopo la cessazione del rapporto di locazione e dopo il trasferimento del bene al nuovo acquirente, all’obbligazione che condiziona la restituzione della cauzione, sarà quest’ultimo il soggetto onerato dalla citata restituzione e non l’originario titolare del rapporto. Al momento del perfezionamento del trasferimento, infatti, devono, in tale ipotesi, dirsi sussistenti adempimenti ancora attuali – diritti e obblighi delle parti contrattuali ancora in essere – che, in applicazione dell’art. 1602 cit., si trasferiscono all’acquirente del bene locato.
La regola dell’art. 1602 cod. civ. è stata opportunamente specificata dalla giurisprudenza[334] nel senso che l’acquirente del bene locato, mentre non può invocare a suo favore i fatti che abbiano ormai esaurito i loro effetti al momento dell’acquisto, da tale momento ha azione nei confronti del conduttore per gli adempimenti, cui lo stesso possa considerarsi attualmente tenuto.
E infatti detto acquirente, pur subentrando in tutti i diritti e gli obblighi correlati alla prosecuzione del rapporto di locazione, deve considerarsi terzo rispetto ai diritti e agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore e a carico delle parti originarie fino al giorno del suo acquisto.
Sul punto ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 aprile 2015, n. 7696
ha avuto modo di riprecisare che l’articolo 1602 c.c., prevede la cessione ex lege del contratto di locazione all’acquirente del bene locato, in forza della quale – ove la locazione sia opponibile al conduttore ai sensi dell’articolo 1599 c.c. – l’acquirente subentra nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione, senza necessita’ del consenso del conduttore, in deroga ai principi generali in tema di cessione del contratto di cui all’articolo 1406 c.c. e segg. (Cass. civ. Sez. 3, 9 giugno 2010 n. 13833), essendo richiesta solo la comunicazione della cessione al conduttore.
La deroga si giustifica sia allo scopo di agevolare la circolazione dei beni, sia in considerazione del fatto che i diritti del conduttore sono comunque tutelati dal fatto che la prestazione principale del locatore – cioe’ la concessione del godimento dell’immobile – e’ gia’ stata eseguita, sicche’ il conduttore non e’ normalmente pregiudicato nei suoi interessi essenziali dal mutamento della persona del locatore. Tali principi sono applicabili anche dopo che il contratto sia stato risolto per disdetta o per altra causa, qualora il rapporto non abbia esaurito i suoi effetti (Cass. civ. Sez. 3, 24 luglio 2012 n. 12883).
Lo scioglimento del contratto, infatti, non necessariamente comporta l’esaurimento dei rapporti obbligatori fra le parti, ma nella maggior parte dei casi lascia in vita debiti e crediti di notevole rilievo: soprattutto nelle locazioni immobiliari, allorche’ l’occupazione del conduttore si protragga oltre la data della cessazione del rapporto, si’ che rimangono in vita le obbligazioni di lui – ed i corrispondenti crediti del locatore – aventi ad oggetto la restituzione dell’immobile; l’eventuale ripristino dell’immobile stesso nelle condizioni in cui fu consegnato (salvo il deterioramento relativo all’uso normale); il risarcimento dei danni in caso di deterioramento ingiustificato; la disciplina degli effetti delle eventuali addizioni e miglioramenti, e cosi’ via.
Sopravvivono quindi alla disdetta molteplici rapporti che necessitano di apposita disciplina e che – traendo anch’essi origine dal contratto – vanno disciplinato in base alle norme i cui all’articolo 1590 c.c. e segg. (cfr. Cass. civ. Sez. 3, n. 12883/2012 cit. ed ivi ampie citazioni giurisprudenziali).
In definitiva è stato ribadito, dalla sentenza in commento, il principio per cui, in mancanza di contraria volonta’ dei contraenti, la vendita dell’immobile locato determina di diritto la cessione del contratto di locazione al terzo acquirente, senza necessita’ del consenso del conduttore, anche nel caso in cui la locazione sia cessata in data anteriore alla vendita (Cass. civ. Sez. 3, 14 gennaio 2005 n. 674; Idem, 9 giugno 2010 n. 13833; Cass. civ. Sez. 3, n. 12883/2012 cit.).
Cosi’ definita la disciplina sostanziale, gli effetti processuali sono consequenziali, nel senso che “per effetto del negozio di cessione del credito, notificato al debitore ceduto, il diritto di credito trasmigra al cessionario con tutte le azioni dirette ad ottenerne la realizzazione, e nell’ipotesi di esercizio di tali azioni da parte del cessionario contro il debitore ceduto non e’ necessaria la partecipazione al processo del cedente” (Cass. civ. Sez. Lav. 18 luglio 2006 n. 16383).
Ben puo’ l’acquirente, pertanto, esercitare anche l’azione di sfratto per finita locazione, ai sensi dell’articolo 657 c.p.c., cosi’ come avrebbe potuto il cedente e locatore originario “intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto medesimo” (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 16 giugno 1994 n. 5851; Idem, n. 12883/2012 cit.).
art. 1604 c.c. vendita della cosa locata con patto di riscatto: il compratore con patto di riscatto non può esercitare la facoltà di licenziare il conduttore fino a che il suo acquisto non sia divenuto irrevocabile con la scadenza del termine fissato per il riscatto.
art. 1605 c.c. liberazione o cessione del corrispettivo della locazione: la liberazione o la cessione del corrispettivo della locazione non ancora scaduto non può opporsi al terzo acquirente della cosa locata, se non risulta da atto scritto avente data certa anteriore al trasferimento. Si può in ogni caso opporre il pagamento anticipato eseguito in conformità degli usi locali.
Se la liberazione o la cessione è stata fatta per un periodo eccedente i tre anni e non è stata trascritta può essere opposta solo entro i limiti di un triennio; se il triennio è già trascorso, può essere opposta solo nei limiti dell’anno in corso nel giorno del trasferimento .
Clausola di scioglimento: come deroga al principio emptio non tollit locatum
art. 1603 c.c. clausola di scioglimento in caso di alienazione: se si è convenuto che il contratto possa sciogliersi in caso di alienazione della cosa locata, l’acquirente che vuole valersi di tale facoltà deve dare licenza al conduttore rispettando il termine stabilito dal sec. co. dell’art.1596. In tal modo al conduttore licenziato non spetta il risarcimento dei danni, salvo patto contrario.
La clausola, in definitiva, conferisce un diritto di recesso che non è ad nutum, essendo condizionato all’onere della licenza; neanche è, nonostante le apparenze, una clausola a favore del terzo perché l’acquirente, dopo il trasferimento, è successore a titolo particolare del locatore – alienante, ossia di una delle parti che inserì nel contratto la clausola stessa.
Estinzione del diritto del locatore: come deroga al principio della retroattività
art. 1606 c.c. estinzione del diritto del locatore: nei casi in cui il diritto del locatore sulla cosa locata si estingue con effetto retroattivo, le locazioni da lui concluse aventi data certa sono mantenute, purché siano state fatte senza frode e non eccedano il triennio.
A rigore il contratto di locazione dovrebbe considerarsi come concluso da un soggetto (locatore) non legittimato, perché, in base alla regola della retroattività, il locatore non aveva la disponibilità giuridica della cosa; ma il legislatore, al fine di proteggere, per ragioni di equità, la situazione del locatario, ha introdotto la descritta normativa, di natura indubbiamente eccezionale.
15) Figure affini
A) Comodato
[335]
La distinzione teorica fra le due figure è evidente e si basa :
1) sia sulla struttura;
A) il comodato è un contratto reale;
B) la locazione è un contratto consensuale;
2) sia sugli obblighi di chi riceve il bene in godimento;
A) il comodato è un contratto tipicamente gratuito;
B) la locazione è tipicamente onerosa;
Qualche difficoltà presenta il comodato modale che si ha quando al comodatario venga imposta una prestazione (accessoria) nell’interesse del comodante.
Si può, comunque, affermare che ricorre questa figura, e non la locazione, nel caso in cui la prestazione accessoria resti estranea al sinallagma contrattuale e rappresenti unicamente un’attenuazione del beneficio che s’intende attribuire al comodatario.
La differenza ha notevole importanza sia per il formalismo, in quanto il comodato ultranovennale non richiede la forma scritta né la trascrizione.
Il comodato è il contratto “essenzialmente gratuito” col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, “con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta” (art. 1803 c.c.).
Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto. Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata (art.1809 c.c.).
In ogni caso, ai sensi dell’art.1810 c.c., “se non è stato convenuto un termine, né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede” (c.d. comodato precario).
Per la S.C.[336] al fine di stabilire la sussistenza di un rapporto di comodato ovvero di locazione, occorre mettere a confronto i sacrifici ed i vantaggi che dal negozio derivano rispettivamente alle parti, con contenuto di equivalenza sullo stesso piano, cosicché il carattere di essenziale gratuità del comodato non viene meno se vi inserisce un modus posto a carico del comodatario, mentre cessa se il vantaggio fornito da questi si pone come corrispettivo del godimento della cosa con natura di controprestazione.
Secondo, poi, una pronuncia del ’75[337] ogni qualvolta che per il godimento di un bene sia stata pattuita una controprestazione di qualsiasi natura, forma o misura, si realizzano gli estremi di un rapporto locatizio e non di un comodato.
Inoltre[338], poiché la normale gratuità è incompatibile con la nozione generale della locazione a norma dell’art. 1571 cod. civ., non si può presumere il carattere gratuito dell’uso di un immobile di proprietà del datore di lavoro accordato al lavoratore e costituisce onere di quest’ultimo provare l’eventuale esistenza di un rapporto di comodato.
Infine[339], con riguardo al contratto con il quale il locatario di immobile ceda ad altri il godimento di una porzione del bene, ancorché senza prefissione di scadenza, deve negarsi la ricorrenza di un comodato, e ravvisarsi un rapporto di sublocazione (parziale)[340], qualora risulti che il cessionario non si limiti a concorrere nelle eventuali spese riferibili all’uso del bene (riscaldamento, pulizia, ecc.), ma versi un corrispettivo, che si traduca per il cedente in un risparmio sui propri esborsi di locatario, mediante proporzionale recupero del canone dovuto al locatore, sicché resti esclusa la sussistenza di una causa gratuita, sia pure con l’imposizione di oneri modali, ed emerga la previsione di reciproche prestazioni legate da vincolo di corrispettività.
B) Il precario oneroso
A differenza del precario gratuito che è espressamente previsto dal legislatore all’art. 1810, il c.d. precario oneroso, non è preso in considerazione dallo stesso legislatore.
La sua differenza dalla locazione si ravvisa nella causa stessa del negozio: non il godimento del bene verso un corrispettivo, ma la necessità di soddisfare particolari esigenze del concedente, normalmente quella di provvedere alla custodia temporanea.
Per la S.C.[341] la figura del comodato precario si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare ad nutum mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l’immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore sine titulo e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario
Nel comodato c.d. precario in mancanza di determinazione della sua durata, ove non risulti un termine in relazione all’uso del bene, ancorché il comodatario sia tenuto a restituire la cosa “non appena il comodante la richieda”, ai sensi dell’art. 1810 c.c., tale disciplina, configurando un’ipotesi specifica della regola generale prevista nella prima parte dell’art. 1183 c.c., non esclude l’applicazione della disposizione di cui alla seconda parte del citato comma 1 dell’art. 1183, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di accordo delle parti, possa stabilire il termine per la restituzione della cosa oggetto di comodato, quando sia necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione e, in particolare, quando, trattandosi di comodato di immobile ad uso di abitazione, il comodatario necessiti di congrua dilazione per rilasciare vuoto l’immobile e per trovare altra sistemazione abitativa.[342]
C) Appalto
E’ sorta l’esigenza nella pratica di distinguere tali figure, nel caso in cui il locatario assuma l’obbligo di seguire o far eseguire lavori di modifica strutturale dell’immobile al momento della stipula del contratto di locazione. La giurisprudenza della Cassazione ha risolto la questione precisando che se i lavori sono funzionali all’uso pattuito e costituiscono semplice adempimento dell’obbligazione assunta dal locatario, nell’esercizio dell’autonomia delle parti, si tratta di locazione, altrimenti si tratterà di contratto atipico misto.
Ad esempio[343], il contratto con il quale si concede una macchina (nella specie autogrù) in godimento per un certo tempo e dietro un determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione per assumere quelli dell’appalto, per il fatto che la manovra ed il funzionamento della macchina medesima vengano affidate ad un dipendente del concedente, ove ciò non comporti alcuna ingerenza nell’utilizzazione del bene che rimane a disposizione dell’altra parte, perché se ne serva per i propri fini con ampia discrezionalità di iniziativa. In tale ipotesi, infatti, le prestazioni dirette al funzionamento del mezzo non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura del concedente con propria organizzazione e a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio e strumentale rispetto al godimento del bene che resta l’oggetto principale del contratto.
D) Leasing
Qualora il bene venga prodotto dallo stesso concedente, il contratto denominato leasing operativo, non è altro, in concreto, se non una vera e propria locazione, alla quale viene aggiunto un patto di futura vendita; un patto, cioè, che conferisce al locatario il diritto di acquistare in futuro il bene locato.
In tema per la Cassazione[344] il leasing o contratto di locazione finanziaria, con il quale una parte (produttore o terzo acquirente, a seconda che si tratti di «leasing operativo» o «leasing finanziario»), dietro corrispettivo di un canone periodico determinato in relazione al recupero del prezzo ed al conseguimento di un utile, concede il godimento di un bene all’altra, con facoltà di questa, alla scadenza del termine fissato, di restituirlo ovvero di acquistarlo per una specifica somma residua, integra un contratto atipico avente ad oggetto il trasferimento della disponibilità della cosa in un periodo di tempo determinato, e tendente ad esaurire le proprie finalità produttive e finanziarie nell’ambito del periodo stesso, la cui scadenza è caratterizzata dal quasi totale venir meno dell’utilità economica della cosa medesima. Peraltro, l’atipicità di tale contratto, e la circostanza che l’ordinamento prevede figure negoziali tipiche idonee ad assicurare finalità simili (locazione, mutuo, vendita con riserva di proprietà) non ostano a che il contratto stesso trovi tutela giuridica quale espressione del principio dell’autonomia negoziale fissato dall’art. 1322, in considerazione della peculiarità e rilevanza degli interessi che esso persegue, specie con riferimento a soggetti muniti della qualità d’imprenditore, e ravvisabili nel reddito che una parte trae dall’investimento di capitali, in termini brevi e con garanzie obiettive, nonché nella possibilità dell’altra di acquisire la disponibilità di un bene senza l’immobilizzo dell’intera somma occorrente all’acquisto.
Per altra pronuncia[345] il cosiddetto «leasing finanziario», cioè il contratto con il quale una società finanziaria, che ha acquistato per conto di un’impresa industriale o commerciale un bene ad essa necessario, lo cede all’impresa stessa in godimento, per un determinato periodo di tempo (normalmente corrispondente a quello in cui il bene è idoneo ad apportare utilità economica), dietro pagamento di un canone, e con facoltà di optare, alla scadenza, fra la restituzione od il conseguimento in proprietà previo versamento di un ulteriore importo, configura un contratto atipico, essenzialmente rivolto a consentire ad una parte la disponibilità della cosa mediante un prestito di capitale effettuato dall’altra, ove detto canone assume principalmente il valore di restituzione della somma mutuata, non di versamento periodico di un prezzo di acquisto, anche perché tale acquisto è contemplato in via meramente eventuale e comunque abbisogna di una nuova manifestazione di volontà negoziale (esercizio dell’opzione). Pertanto, in caso di risoluzione anticipata del contratto, per l’inadempimento dell’imprenditore che utilizza il bene, deve escludersi che la società finanziaria sia tenuta alla restituzione delle somme riscosse, stante l’inapplicabilità delle disposizioni dettate dall’art. 1526 per le ipotesi della vendita con riserva di proprietà o della locazione con patto di trasferimento della cosa locata; resta, invece, operante il principio generale posto dall’art. 1458, primo comma, per i rapporti di durata, sull’inoperatività degli effetti della risoluzione per le prestazioni già eseguite con l’ulteriore conseguenza che va riconosciuta come lecita, in quanto coerente con tale principio, la clausola che prevede l’integrale percezione da parte della società finanziaria dei ratei di canone scaduti fino alla data della risoluzione stessa.
Infine[346], per stabilire se il contratto di leasing è di godimento o traslativo, occorre individuare la volontà delle parti al momento della conclusione di esso, accertando se il canone è stato pattuito come corrispettivo dell’utilizzazione del bene, ovvero come corresponsione anticipata di parte del prezzo per il suo acquisto alla prevista scadenza del contratto.
Si ha infatti la figura del leasing di godimento allorché l’insieme dei canoni è inferiore, in modo consistente, alla remunerazione del capitale investito nell’operazione di acquisto e concessione in locazione del bene, e lascia non coperta una parte non irrilevante di questo capitale, mentre il prezzo pattuito per l’opzione è di corrispondente livello; ricorre, invece, la figura del leasing traslativo se l’insieme dei canoni remunera interamente il capitale impiegato, ed il prevedibile valore del bene alla scadenza del contratto sopravanza in modo non indifferente il prezzo di opzione.
E) Il contratto di lavoro
[347]
L’affinità tra locazione e contratto di lavoro si rileva nell’ipotesi che il godimento di un bene rappresenti il corrispettivo della prestazione di lavoro; ma in tal caso non sembra che si possa parlare di locazione, di contratto atipico o di contratto misto, perché il godimento costituisce una vera e propria retribuzione e si avrà, perciò, un autentico contratto di lavoro.
Diverso è il caso nel quale una vera e propria locazione sia connessa al rapporto di lavoro (si pensi agli alloggi destinati esclusivamente ad abitazione dei dipendenti di un’impresa, i quali pagano una pigione, ancorché modesta). I due contratti sono autonomi, pur se fra loro collegati, con la conseguenza che, cessato il rapporto di lavoro, cesserà anche il rapporto di locazione.
F) L’anticresi
Il problema della differenza dalla locazione sorge qualora uno dei contraenti sia creditore dell’altro e goda direttamente dell’immobile del debitore a scomputo del suo credito.
In tal caso potrà aversi sia locazione che anticresi e la distinzione si ritrova nella sua diversa funzione economica – sociale dei negozi.
Quindi secondo la dottrina preferibile tale fattispecie ha una causa mista, poiché:
A) da un lato garantisce l’adempimento attraverso la percezione dei frutti dei beni immobili;
B) dall’altro lato costituisce il sistema per la soddisfare la pretesa del creditore stesso attraverso la diretta ed immediata percezione dei frutti.
G) Deposito
Il rapporto fra locazione e deposito rileva soltanto nel caso in cui un soggetto, mediante lo stesso contratto, con o senza corrispettivo, acquista il diritto non solo di collocare una cosa mobile in un determinato posto, ma anche di farla custodire.
Come nel caso del contratto di parcheggio, in cui il cliente ha il diritto di sistemare l’automobile in un determinato posto (carattere della locazione), mentre l’altra parte assume l’obbligo della custodia (carattere del deposito) e sembra preferibile le tesi (alcune sentenze della Cassazione[348]) di chi considera tale fattispecie un’ipotesi di contratto misto.
H) Noleggio
In base all’unico modello previsto dal codice della navigazione – il contratto col quale una parte (noleggiante) si obbliga a mettere a disposizione all’altra parte (noleggiatore) un determinato bene, fornendo anche tutto quanto è necessario per la sua concreta funzionalità, per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
L’esempio tipico riguarda le navi: l’armatore, dietro corrispettivo convenuto, si obbliga a compiere determinati viaggi, mettendo a disposizione del noleggiatore una nave in stato di navigazione, armata, equipaggiata convenientemente e provvista dei prescritti documenti.
La sua distinzione dalla locazione è, perciò, evidente, in quanto il noleggio non è una locatio rei, ma una locatio operis, in quanto il bene non è oggetto del rapporto, ma è solo il mezzo indispensabile affinché si realizzi la funzione del contratto.
Nel noleggio il rischio tecnico resta a carico del noleggiante, il quale, nel caso di noleggio di nave, conserva la qualifica di armatore ed ha alle sue dipendenze l’equipaggio; nella locazione, invece, il rischio tecnico grava sul locatario.
Per la S.C. nel contratto di noleggio di cose mobili una parte, senza attribuire all’altra il godimento della cosa, si obbliga a compiere con questa, mediante l’opera sua o di propri dipendenti, determinate attività in favore della controparte sicché i rischi connessi alle stesse ricadono sul noleggiante nella cui sfera di disponibilità rimane il bene oggetto del contratto, senza alcuna ingerenza del noleggiatore; invece, nel rapporto di locazione il conduttore acquista la detenzione della cosa che entra nell’ambito della sua disponibilità e comporta l’assunzione, da parte sua, dei rischi inerenti all’utilizzazione della medesima, anche se eventualmente alla locazione si accompagni il distacco di personale del locatore che temporaneamente venga inserito nell’organizzazione aziendale del conduttore. Consegue che, ove l’attività del dipendente del noleggiante sia causa di danno risarcibile per responsabilità extracontrattuale, risponde ex art. 2049 cod. civ. il noleggiante e non invece il noleggiatore; viceversa dell’attività del dipendente del locatore distaccato presso il conduttore risponde solo quest’ultimo[349].
Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione[350] la distinzione tra il contratto di noleggio e il contratto di locazione di cose mobili risiede nel fatto che il noleggiante, senza attribuire al noleggiatore il godimento della cosa mobile, si obbliga a compiere con questa, mediante l’opera propria o altrui, determinate attività a favore della controparte e il rischio delle attività compiute è, quindi, a suo carico in quanto la cosa resta nella sua sfera di disponibilità e viene da lui usata sotto la sua direzione tecnica e senza alcuna ingerenza da parte del noleggiatore. Al contrario, nel contratto di locazione di cose mobili, quando il conduttore acquista la detenzione della cosa, che entra, così, nell’ambito della sua disponibilità, su di lui ricadono i rischi inerenti all’utilizzazione di essa.
Inoltre sempre per Corte di piazza Cavour[351], sussiste locazione di cosa mobile e non noleggio, nel caso in cui taluno, nel fruire del risultato dell’utilizzazione di un bene mobile altrui, s’ingerisca, con ordini impartiti al personale del concedente distaccato per il concreto utilizzo della cosa, entrata in tal modo nella sua detenzione nelle modalità di esecuzione delle opere da compiere con essa, senza che rilevi — a tale fine — il fatto che non impartisca ordini concernenti le modalità tecniche di impiego del bene onde assicurarne la stabilità e garantire — conseguentemente — la sicurezza delle persone che vi lavorano.
Ad esempio, per la S.C.[352], il contratto di cosiddetto noleggio di film, con il quale il produttore o l’agente distributore di una pellicola la cede in temporaneo godimento al gestore di sala cinematografica, dietro corrispettivo di somma determinata di denaro o di percentuale sugli incassi delle proiezioni, configura, nell’ambito della categoria dei negozi di concessione del diritto d’autore, un contratto atipico, assimilabile al rapporto di locazione ed assoggettabile alla relativa disciplina, ivi comprese, pertanto, le norme inerenti alla garanzia per vizi della cosa locata. (Nella specie, i giudici del merito, in applicazione analogica dell’art. 1578, primo comma, cod. civ., avevano escluso che il distributore dovesse rispondere dell’aver taciuto al gestore che la visione della pellicola era vietata ai minori di quattordici anni, per precedente decisione della commissione di censura, in considerazione della facile riconoscibilità della circostanza da parte del gestore medesimo, anche sulla base dello stesso titolo del film. La Suprema Corte, premesso il principio di cui sopra, ha ritenuto corretta l’applicazione della citata norma).
I) Il contratto d’albergo
È il contratto col quale una parte (albergatore) si obbliga a fornire alle altre (albergato o cliente) l’alloggio ed i servizi che rendono confortevole il soggiorno (pulizia, cambio della biancheria, segreteria telefonica, riscaldamento, luce, eventuale vitto ecc.) per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Si tratta di un contratto autonomo che si distingue dalla locazione perché l’albergatore è tenuto, oltre che a garantire il godimento, anche ad un complesso di ulteriori prestazioni.
Per la S.C.[353] il contratto di albergo costituisce un contratto atipico o misto, con il quale l’albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio, la fornitura di servizi, il deposito, senza che la preminenza riconoscibile alla locazione d’alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a dare carattere accessorio alle altre prestazioni. Pertanto, secondo i principi applicabili in tema di contratto misto, il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell’uno o dell’altro contratto in base alla prevalenza degli elementi, salva l’applicazione degli elementi del contratto non prevalente se regolati da norme compatibili con quelle del contratto prevalente.
Tale figura comprende:
1) sia l’albergo in senso stretto;
2) sia il contratto di affittacamere;
Per la S.c.[354] l’attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, presenta analoga natura, in quanto richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (con caratteristiche professionali e finalità speculative), pur a prescindere dal conseguimento o meno della prescritta licenza amministrativa. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell’ambito dell’indicata attività di affittacamere né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo.
3) sia il Residence; il quale si differenzia dal contratto di locazione d’immobile arredato, perché in quest’ultimo l’oggetto della prestazione si esaurisce nel godimento del bene, mentre, nel contratto di albergo e di residence, il godimento dell’immobile, avente di regola carattere temporaneo e transitorio, si accompagna e si integra con una serie di servizi di natura alberghiera.
Mentre, si versa in ipotesi di affitto di azienda alberghiera quando l’immobile non è considerato nella sua individualità giuridica, ma viene a costituire uno dei beni aziendali in rapporto di complementarietà e di interdipendenza con gli altri elementi in vista del fine economico perseguito dall’imprenditore, non rilevando che, al momento della conclusione del contratto, l’azienda non sia ancora in grado di funzionare per mancanza di alcuni suoi elementi; si versa, invece, in ipotesi di locazione di immobile adibito ad attività alberghiera, quando l’immobile conserva la natura di cosa principale oggetto del contratto ed attrae ed assorbe gli altri elementi, che assumono carattere di accessorietà, in quanto, pur se non siano materialmente legati all’immobile sì da perdere la propria individualità economica, vi siano funzionalmente collegati in posizione di subordinazione e di coordinazione. Accertare se nel caso concreto ricorra l’una o l’altra figura rientra nei compiti riservati al giudice del merito, il quale deve procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la comune intenzione dei contraenti, ed avendo riguardo, dall’altro, all’obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto[355].
Per altra pronuncia[356] la locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall’affitto di azienda (nella specie, alberghiera) perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene — l’immobile concesso in godimento — che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell’economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione-subordinazione, mentre, nell’affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, così che oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all’art. 2555 cod. civ. La valutazione circa l’avvenuto inizio dell’attività alberghiera da parte del conduttore dell’immobile, compiuta ai fini della qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina degli artt. 27 — 42 della legge 27 luglio 1978, n. 392), che si ha quando l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, secondo la presunzione posta dall’art. 1, comma nono «septies», del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modificazioni, in legge 5 aprile 1985, n. 118, o piuttosto come affitto di azienda, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da congrua motivazione, esente da errori di diritto.
Infine anche il contratto di affitto di azienda paraalberghiera (campeggio) si distingue da quello di locazione di immobile adibito a campeggio per il fatto che, mentre in quest’ultima ipotesi è dedotto in contratto un terreno destinato all’attendamento ed al parcheggio delle «roulottes», corredato delle sole attrezzature indispensabili per tale destinazione, nel primo caso oggetto del contratto è un complesso organico preesistente alla pattuizione delle parti, del quale, oltre a detto immobile, siano elementi integranti una serie di servizi, di attrezzature e di impianti organizzati per l’esercizio di una impresa turistica ricettiva già funzionante con una sua precisa denominazione, e dotata delle relative scritture contabili. — Cass. 23-4-99, n. 4044
L) Il contratto di fitto di azienda
[357]
Trattasi di locazione ad uso commerciale e non di affitto di azienda quando il locatore cede in godimento al conduttore i locali ove esercitare l’attività commerciale e non anche i beni strumentali per detto esercizio, giacché se è vero che la titolarità dell’azienda può essere disgiunta dalla proprietà dei beni strumentali destinati al funzionamento della stessa, è, però comunque necessario che di questi beni il titolare possa disporre in base a titolo idoneo che gli consenta di destinarli per sè o per altri all’esercizio dell’azienda medesima[358].
Secondo altra pronuncia[359] si ha locazione di immobile urbano quando questo sia stato specificamente considerato nella sua effettiva consistenza, con funzione prevalente rispetto ad altri beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati fra loro da un vincolo che li unifichi ai fini produttivi; ricorre invece l’affitto di azienda quando oggetto del contratto sia il complesso unitario di tutti i beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali, concessi in godimento in quanto organizzati per la produzione di beni e di servizi. Ai fini dell’individuazione, nel caso concreto, dell’una o dell’altra figura di contratto, il giudice deve procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la comune intenzione delle parti ed avendo riguardo, dall’altro, all’obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto.
Sempre per la S.C.[360] la differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto di azienda consiste nel fatto che, nella prima ipotesi l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell’economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all’immobile) assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e coordinazione. Nell’affitto di azienda, invece, l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario.
Consegue che l’indagine per l’individuazione in concreto dell’una o dell’altra figura di contratto deve essere rivolta, da un lato, ad accertare la comune intenzione delle parti; e, dall’altra, deve riguardare l’effettiva consistenza dei beni dedotti in contratto[361].
Ai fini della qualificazione di un contratto come affitto di azienda anziché come locazione di immobile ad uso commerciale, la circostanza che la licenza d’esercizio di attività commerciale sia stata rilasciata a soggetto diverso dall’effettivo esercente può (senza che a ciò sia d’ostacolo il carattere personale e la non cedibilità della licenza stessa) essere valorizzata dal giudice di merito come sicuro sintomo della preesistenza di un’azienda, quale complesso di beni organizzati a fini produttivi, senza che, inoltre, la configurabilità di un contratto di affitto di azienda sia condizionata dalla effettiva produttività di tali beni al momento della conclusione del contratto, essendone sufficiente la potenziale attitudine produttiva, quale prevista e considerata dalle parti contraenti, attitudine da valutarsi peraltro anche in relazione al luogo o alla particolarità del contesto ove si esercita l’impresa, e perciò non esclusa dalla circostanza che ai beni e servizi da essi offerti possa accedere solo una clientela determinata, costituendo per contro tale circostanza causa certa di produttività dell’attività commerciale[362].
L’accertamento se le parti contraenti abbiano stipulato una locazione di immobile con pertinenze o un affitto di azienda rientra nei compiti del giudice del merito il quale deve indagare sulla comune intenzione delle parti e sui beni dedotti in contratto, al fine di stabilire se l’oggetto principale della stipulazione sia l’immobile singolarmente considerato o un complesso unitario costituito dall’organizzazione aziendale destinata allo svolgimento di un’attività economica. Detto accertamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione[363].
Sul punto, è nuovamente tornata la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 17 febbraio 2020, n. 3888
affermando che il giudice, nel valutare se un contratto debba essere qualificato come locazione di immobile od affitto di azienda (o di un ramo di essa), deve, in primo luogo, verificare se i beni oggetto di tale contratto fossero già organizzati in forma di azienda; in caso di esito positivo dell’indagine, egli è tenuto, quindi, ad accertare se le parti abbiano inteso trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato o semplicemente quello di un immobile, al cui utilizzo risultino strumentali gli altri beni e servizi eventualmente ceduti, restando poi libero l’avente causa di costituire “ex novo” un’azienda propria. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione della corte di appello, la quale, poiché l’immobile oggetto del contratto era situato in un centro commerciale, aveva erroneamente ritenuto l’avvenuta cessione di un’organizzazione aziendale, senza verificare se il cedente avesse in precedenza impresso ai beni interessati dall’accordo una tale organizzazione e valorizzando, invece, il trasferimento in godimento, assieme al locale, di elementi, quali un massetto, un registratore ed un gabinetto, di per sé insufficienti a costituire un’azienda).
Ad esempio, il contratto avente ad oggetto la concessione dello sfruttamento di una cava di pietra deve essere inquadrato nello schema dell’affitto di beni immobili produttivi e non nella diversa figura contrattuale della locazione: ne consegue l’inapplicabilità alle controversie relative a tale contratto del cosiddetto rito delle locazioni, regolato dall’art. 447 bis c.p.c., introdotto dall’art. 70 l. 26 novembre 1990 n. 353, mediante rinvio ad alcune disposizioni del processo del lavoro e concernente, anche nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 87 d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51, sulla istituzione del giudice unico di primo grado, le sole controversie in materia di locazione o comodato di immobili (non più, nella nuova dizione, necessariamente urbani) e di affitto di azienda. Nè sono applicabili, nella materia di cui si tratta, il criterio di competenza territoriale del forum rei sitae, previsto dallo stesso art. 447-bis del codice di rito[364], e la sanzione di nullità, ivi disposta, delle clausole di deroga a tale competenza, riferibile solo alle indicate controversie in materia di locazione e comodato di immobili ed affitto di azienda[365].
Peraltro, nel codice civile tra le norme sulla locazione e quelle sull’affitto, compreso l’affitto di azienda, corre il rapporto tipico tra norme generali e norme speciali, per cui se la fattispecie non è regolata da una norma specificamente prevista per l’affitto dovrà farsi ricorso alla disciplina generale sulla locazione di cose, salva l’incompatibilità con la relativa normazione speciale. Consegue che la violazione da parte dell’affittuario dell’obbligo di restituzione all’affittante dell’azienda per scadenza del termine dà luogo a carico del primo a responsabilità a norma dell’art. 1591 c.c. dettato in tema di locazione, mancando nella disciplina dell’affitto una norma che regoli i danni per ritardata restituzione e non essendo incompatibile con la normazione speciale sull’affitto l’art. 1591 c.c.
Infine, è bene sottolineare che è legittima la trasformazione di un contratto di affitto di azienda in contratto di locazione di immobile in quanto sarebbe pur sempre ammessa per i contraenti del contratto di affitto la stipula tra loro di un secondo accordo successivo nel tempo nel quale vengano trasfuse le clausole contenute nel primo negozio, fatta salva la compatibilità di esse con la disciplina della locazione[366].
M) Affitto di fondo rustico
La ricorrenza di un contratto di affitto di fondo rustico, come tale assoggettato alla speciale normativa in materia di rapporti agrari, postula che il godimento di un fondo venga ceduto al fine di ottenere il reddito agricolo proveniente dalla sua coltivazione, e, pertanto, non è configurabile quando detta cessione sia rivolta a consentire l’utilizzazione del fondo per un’attività di allevamento, addestramento e pensione di cani, con deposito e commercio degli articoli inerenti, e, quindi, per un’attività industriale e commerciale non riconducibile nell’ambito di quella agraria o di quelle con essa connesse[367].
Il contratto con il quale, per un unico corrispettivo, è ceduto il godimento di un immobile composto da una casa di abitazione e da un terreno idoneo allo sfruttamento agricolo può essere qualificato di locazione o di affitto a secondo che le parti abbiano voluto soltanto consentire il godimento dell’immobile in conformità ai suoi possibili usi, nell’ambito dei quali vi è anche la coltivazione del terreno, o se abbiano piuttosto considerato la funzione produttiva del bene ricollegando a questa un vero e proprio obbligo dell’affittuario alla coltivazione del fondo; nell’accertamento di questa volontà, il giudice può anche servirsi di elementi estrinseci al contratto, quale l’idoneità del terreno ad assicurare una produzione non esauribile nell’autoconsumo o le qualità personali del conduttore, se questo dedichi le sue energie abituali alla coltivazione della terra[368].
16) Disciplina dei fondi immobili ed urbani
Per i contratti di locazione aventi ad oggetto immobili urbani, esiste, oltre alla disciplina generale (artt. 1571 – 1606), una particolare normativa codicistica (artt. 1607 – 1614) ed una disciplina contenuta nella legislazione speciale.
La disciplina delle locazioni che hanno per oggetto immobili urbani varia a seconda che gli stessi siano adibiti ad uso abitativo (nel qual caso dovrà farsi riferimento soprattutto alla legge 9/12/1998, n.431, e succ. mod.) ovvero ad uso diverso da quello di abitazione (legge 27/7/1978, n.392, e succ. mod.).
La disciplina delle locazioni a uso diverso dall’abitazione varia a sua volta a seconda della destinazione dell’immobile o meglio dell’attività che in concreto viene svolta nell’immobile locato (attività industriali, commerciali, artigianali, di lavoro autonomo; attività assistenziali, etc.).
A) Disciplina codicistica
(Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Della locazione – Capo VI – sez. II – della locazione dei fondi urbani – 1607 – 1608)
art. 1607c.c. durata massima della locazione di case: la locazione di una casa per abitazione può essere convenuta per tutta la durata della vita dell’inquilino e per due anni successivi alla sua morte (in tal modo si deroga a quanto previsto dall’art. 1573 e, pertanto, la locazione d’immobili adibiti ad uso abitativo potrà avere anche un termine eccedente i 30 anni) .
In mancanza di una specifica norma regolatrice, l’ipotesi qui considerata si ritiene equiparata a quella della locazione ultranovennale e troverà, perciò, applicazione la disciplina sulla forma e sulla trascrizione prevista per quest’ultimo contratto.
art. 1608 c.c. garanzie per il pagamento della pigione: nelle locazioni di case non mobiliate l’inquilino può essere licenziato (sembra preferibile la tesi anche seguita dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale si tratta di una risoluzione per inadempimento, perché il dovere di garanzia è un’obbligazione in senso tecnico che s’inserisce, perciò, nel sinallagma contrattuale) se non fornisce la casa di mobili sufficienti o non presta altre garanzie idonee ad assicurare il pagamento della pigione.
art. 1609 c.c. piccole riparazioni a carico dell’inquilino: le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell’articolo 1576 devono essere eseguite dall’inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito.
Le suddette riparazioni, in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali.
art. 1610 c.c. spurgo di pozzi e di latrine: lo spurgo dei pozzi e delle latrine è a carico del locatore.
art. 1611 c.c. incendio di casa abitata da più inquilini: se si tratta di casa occupata da più inquilini, tutti sono responsabili verso il locatore del danno prodotto dall’incendio, proporzionatamente al valore della parte occupata. Se nella casa abita anche il locatore, si detrae dalla somma dovuta una quota corrispondente alla parte da lui occupata.(si tratta di una particolare applicazione della regola contenuta nell’art. 1588)
La disposizione del comma precedente non si applica se si prova che l’incendio è cominciato dall’abitazione di uno degli inquilini, ovvero se alcuno di questi prova che l’incendio non è potuto cominciare nella sua abitazione.
art. 1612 c.c. recesso convenzionale del locatore: il locatore che si è riservata la facoltà di recedere dal contratto per abitare egli stesso nella casa locata deve dare licenza motivata (giusta causa) nel termine stabilito dagli usi locali.
art. 1613 c.c. facoltà di recesso degli impiegati pubblici: gli impiegati delle pubbliche amministrazioni possono, nonostante patto contrario, recedere dal contratto (c.c. 1373) nel caso di trasferimento, purché questo non sia stato disposto su loro domanda. Tale facoltà si esercita mediante disdetta motivata, e il recesso ha effetto dal secondo mese successivo a quello in corso alla data della disdetta.
art. 1614 c.c. morte dell’inquilino: nel caso di morte dell’inquilino, se la locazione deve ancora durare per più di un anno ed è stata vietata la sublocazione, gli eredi possono recedere dal contratto entro tre mesi dalla morte.
Il recesso si deve esercitare mediante disdetta comunicata con preavviso non inferiore a tre mesi .
B) Disciplina speciale
Tale disciplina ha pur sempre, almeno formalmente, carattere provvisorio nel senso di possibili “ripensamenti” legislativi, come è comprovato sia dal mancato inserimento nel codice civile e sia dalle sue continue modifiche determinate dalle contingenti esigenze di natura economica e sociale.
Con esclusione:
1) degli immobili d’interesse storico artistico –
2) degli immobili inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8, e A/9 –
3) degli alloggi di edilizia residenziale e pubblica –
4) degli immobili locati per finalità turistiche –
5) dei contratti stipulati dagli enti locali per esigenza abitative transitorie
Le locazioni di immobili per finalità turistiche
Sono descritte nella legge 9 dicembre 1998, n. 431 sulla «Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti a uso abitativo» all’art. 1, comma 2, lettera c) ove si esclude espressamente per gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistica l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 4, 4 bis , 7, 8 e 13 della legge stessa.
In particolare non si applicano le disposizioni sulle modalità di stipula e rinnovo dei contratti di locazione a canone libero e a canone convenzionato.
Non si applicano altresì le norme relative alla condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile, le agevolazioni .scale, i patti contrari alla legge.
Conseguentemente gli alloggi locati per finalità turistica sono regolati dagli artt. 1571 e seguenti del codice civile.
L’art. 53 del D.Lgs. n. 79/2011 (Codice del turismo) rimuove ogni incertezza applicativa proclamando definitivamente che «gli alloggi locali esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione».
In questa cornice normativa restano in vigore le norme della legge n. 392 del 1978, in quanto non espressamente abrogate dall’art. 14 della legge n. 431 del 1998 e in quanto compatibili con la natura del rapporto.
In particolare sopravvivono l’art. 2 sulla sublocazione, l’art. 4 sul recesso del conduttore, l’art. 5 sull’inadempimento del conduttore, l’art. 6 sulla successione del contratto, l’art. 7 sulla clausola di scioglimento in caso di alienazione, l’art. 8 sulle spese di registrazione, l’art. 9 sugli oneri accessori, l’art. 10 sulla partecipazione del conduttore all’assemblea dei condomini.
Restano in vigore altresì limitatamente al capo III, l’art. 55 sul termine di pagamento dei canoni scaduti, l’art. 56 sulle modalità per il rilascio e, nelle disposizioni finali, l’art. 80 sull’uso diverso da quello pattuito.
L’unica definizione della fattispecie in ordine alla qualificazione del rapporto é stata tracciata dal una pronuncia di merito[369], per il resto, la giurisprudenza sull’argomento é pressoché inesistente.
Pur nella difficoltà di inquadrarne l’effettivo ambito applicativo, la categoria degli alloggi locati per finalità turistiche pare riferibile, secondo il giudice di merito, ai contratti stipulati per ragioni di svago, villeggiatura, vacanza o riposo, senza alcun collegamento con esigenze abitative primarie, per un periodo di tempo normalmente, ma non necessariamente, limitato.
Difatti, pur essendo quella della casa di villeggiatura per brevi periodi l’ipotesi che ha maggiore utilizzo nella pratica, non può escludersi a priori un’analoga finalità correlata a periodi di più lunga durata; quindi, a condizione che l’alloggio non sia adibito a residenza primaria e abituale – e neanche transitoria – ma sia utilizzato esclusivamente per finalità di svago, riposo ecc.
La “finalità turistica” può esaurirsi nell’arco di un week-end, di una settimana, di uno o più mesi, ma può benissimo protrarsi anche per più anni.
Non ha alcun rilievo l’ubicazione dell’immobile oggetto del contratto di locazione. L’art. 53 del D.Lgs. n. 79/2011 parla a tale proposito di alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, “in qualsiasi luogo ubicati”.
E’ da escludere che in un contratto stipulato tra privati per finalità turistiche vi siano gli estremi per configurare l’esercizio di attività di affittacamere al momento in cui il rapporto non presenti le caratteristiche di un’attività imprenditoriale.
In particolare onde accertare la vera natura del vincolo contrattuale, andrà verificato se le prestazioni accessorie e i servizi aggiuntivi, quali la fornitura di biancheria, il servizio di pulizia ed altro, costituiscano elementi prevalenti rispetto alla funzione principale del semplice godimento dell’immobile, tali da far assurgere al rapporto una connotazione imprenditoriale.
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Abitazione
Legge 431 del 9 dicembre 1998[370]
Con tale legge sono stati posti i seguenti punti cardine:
1) la liberalizzazione del canone;
2) certezza per il locatore sulla durata del rapporto, con l’assicurazione che, dopo lo spirare del primo rinnovo forzato ex lege, gli sarà possibile riacquistare la disponibilità dell’immobile in tempi brevi;
3) incentivi ed agevolazioni fiscali qualora il locatore stipuli sulla base di un contratto tipo, definito fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori;
4) la previsione di sussidi alle famiglie bisognose per il pagamento dei canoni
5) la forma scritta ad substantiam per tutti i contratti di locazione, cioè, non solo per quelli disciplinati dalla nuova legge.
Alternativa contrattuale
A) contratti c.d. liberi
concludere un contratto con canone libero ma di durata non inferiore a 4 anni, rinnovabili per altri 4, nonché alla seconda scadenza, di nuovo rinnovabile alle stesse condizioni, salvo diversa comunicazione al locatore almeno 6 mesi prima.
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Forma
[371]
Il contratto deve avere la forma scritta, il locatore almeno 6 mesi prima della scadenza può negare il rinnovo per la ricorrenza di uno dei seguenti motivi.
L’articolo 1 della legge n. 431/1998 non richiede per la validità del contratto anche la registrazione del medesimo, ma solo la forma scritta[372].
In tema cfr par.fo 3) I requisiti del contratto – D) La registrazione (per i contratti ad uso abitativo e commerciale)
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Diniego di rinnovo
Qualora il proprietario
a) intenda destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale;
b) sia persona giuridica, società o ente pubblico, e intenda destinare l’immobile alle proprie finalità istituzionali, offrendo al conduttore altro immobile idoneo;
c) il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero e idoneo nello stesso comune;
d) l’immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato e la permanenza del conduttore sia di ostacolo alla ricostruzione;
e) l’immobile debba essere integralmente ristrutturato o demolito;
f) il conduttore non occupi continuativamente l’immobile senza giustificato motivo;
g) intenda vendere a terzi e non abbia altro immobile adibito a propria abitazione, potendo in tal caso il conduttore esercitare il diritto di prelazione.
In merito alla forma della comunicazione per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 9 giugno 2016, n.11808
l’art. 2, comma 1, secondo inciso, della I. n. 431 del 1998, nel prevedere che la manifestazione della rinuncia al rinnovo (scilicet disdetta immotivata) alla seconda scadenza dei contratti di cui alla norma debba compiersi con lettera raccomandata da inviarsi all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza del secondo periodo di durata contrattuale, non prescrive a pena di nullità né il mezzo di compimento della manifestazione negoziale (la lettera e, dunque, la forma scritta) né quello della trasmissione (raccomandata). Ne segue che l’uno e l’altro requisito ammettono equipollenti, purché idonei ad evidenziare la manifestazione all’altra parte della volontà negoziale sei mesi prima della scadenza. Da tanto discende che, non essendo previsto a pena di nullità il requisito della forma scritta per il negozio di rinuncia-disdetta immotivata, non è sostenibile per ciò solo che l’invio di una lettera tramite raccomandata nell’osservanza della previsione normativa da parte di soggetto che si qualifichi rappresentante della parte del contratto sia idoneo solo se costui abbia ricevuto a sua volta per iscritto il conferimento del potere di rappresentanza
Mentre, per quanto riguarda la specificità dei motivi del diniego, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 gennaio 2013, n. 936
ha avuto modo do affermare che, in tema di diniego di rinnovo del contratto di locazione ad uso abitativo secondo la suddetta norma (art. 3, Legge 431/1998) alla prima scadenza nella comunicazione del diniego di rinnovazione del contratto deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati dallo stesso articolo, sul quale la disdetta è fondata. Tale norma (art. 3, L 431/98) deve essere intesa nel senso che essa impone una specificazione precisa ed analitica della situazione dedotta, con riguardo alle concrete ragioni che giustificano la disdetta, in modo da consentire, in caso di controversia, la verifica della serietà e della realizzabilità della intenzione dedotta in giudizio e, comunque, il controllo, dopo l’avvenuto rilascio, circa la effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato nella ipotesi in cui il conduttore estromesso reclami l’applicazione delle sanzioni previste a carico del locatore dall’art. 3 della stessa legge.
Non segue la specificazione del motivo, fornire la prova effettiva, difatti per una recente pronuncia
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 luglio 2013, n. 17577
in tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, affinché il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, non è necessario che egli fornisca la prova dell’effettiva necessità di destinare l’immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma è sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3 del citato art. 3, nell’eventualità in cui il locatore non abbia adibito l’immobile all’uso dichiarato nell’atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità.
In particolare, un’altra pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 12250 del 20 maggio 2013
ha specificato che attesa la modificazione della disciplina comportante la concessione o l’autorizzazione quale titolo abilitativo alla realizzazione degli interventi edilizi, la previsione, quale condizione di procedibilità dell’azione del locatore ai sensi della prima parte del comma secondo dell’art. 3 della legge 9 dicembre/1998, il. 431, del “possesso… della concessione b dell’autorizzazione edilizia” deve intendersi riferita a quegli specifici atti, tra cui la dichiarazione inizio attività o la segnalazione certificata inizio attività o il permesso a costruire, eventualmente richiesti dalla normativa vigente per la tipologia di intervento da realizzare e posto a base del diniego di rinnovo alla prima scadenza della locazione di immobile ad uso abitativo.
Pertanto, la stessa DIA (ovvero, oggi, la SCIA) o il permesso a costruire, a seconda dei casi in cui sono consentiti o richiesti dalla disciplina urbanistica via via vigente, devono ritenersi equipollenti alla concessione od all’autorizzazione edilizia, uniche ad essere espressamente contemplate dalla prima parte del comma 2 dell’art. 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ma oramai abrogate dalla successiva legislazione urbanistica ed edilizia.
Infine, in tema di locazione di immobili ad uso abitativo, è orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che l’art. 2, comma 6, della legge 9 dicembre 1998 n. 431 vada interpretato nel senso che, tra i contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, sono soggetti alla nuova disciplina, anche con riferimento alla doppia durata quadriennale, solo quelli che vedono realizzato il presupposto della rinnovazione nel vigore della nuova legge e, quindi, solo quelli per i quali il termine utile per la comunicazione della disdetta da parte del locatore è venuto a scadenza in epoca successiva al 30 dicembre 1998 e tale disdetta non è stata data, sicché la rinnovazione si é verificata nella vigenza della nuova legge.
Pertanto, è stato ribadito
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 settembre 2013, n. 20376
solo se il locatore, dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina, si trova nella possibilità di comunicare la disdetta e non lo fa, il rapporto resta assoggettato alla nuova disciplina integralmente; e, quindi, anche con riferimento alla doppia durata quadriennale. Anche in tale ipotesi, infatti, il locatore conserva in pieno la facoltà di scegliere se dare o meno la disdetta in relazione alla legislazione vigente al momento della scelta, con tutti i presupposti e tutte le conseguenze giuridiche dettate da tale legislazione (Cass. 13.6. 2013 n. 14866; Cass. 1.4.2010 n. 7985; Cass. 6.6.2008 n. 15005; Cass. 24.8.2007 n. 17995).
Nel caso in esame, il contratto, con decorrenza dal 1.1.1997, per effetto del tacito rinnovo avvenuto il 31.12.2000, – in epoca, quindi, successiva all’entrata in vigore della nuova legge -, era confluito, per effetto dell’art. 2, comma 6 L. n. 431 del 1998, nella disciplina prevista dal comma 1 di tale norma.
In merito la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 marzo 2014, n. 5596
ha nuovamente riaffermato che l’art. 2 u.c. L. n. 431 del 1998 va interpretato nel senso che, se il contratto si rinnova tacitamente nella vigenza della nuova legge, per mancanza di una disdetta che il locatore avrebbe potuto fare, ma che non ha fatto, il rapporto resta assoggettato a tale nuova disciplina integralmente, e quindi con riferimento anche alla doppia durata quadriennale, alla stregua della legislazione vigente al momento della scelta, (v. Cass. n. 7985/2010 in motivazione. Conformi, Cass. n. 15005/08 e Cass. n. 17995/07).
La medesima sentenza ha avuto modo anche di precisare che nel vigore della L. 9 dicembre 1998, n. 431, in caso di alienazione a terzi, successivamente alla intimazione della disdetta da parte del locatore, dell’immobile locato, in tanto sussiste il diritto di prelazione (vedi par.fo successivo in merito alla legge sull’equocanone) del conduttore e, quindi, il diritto di riscattare, nei confronti del terzo acquirente, l’immobile condotto in locazione, in quanto il locatore abbia manifestato, nella disdetta, la intenzione di vendere a terzi l’unità immobiliare.
Al contrario, il diritto di prelazione (e di riscatto) non sorge qualora la disdetta sia immotivata, derivando da tale circostanza – accertato che la disdetta è stata, illegittimamente, intimata per la prima scadenza – unicamente il diritto del conduttore alla rinnovazione del contratto“, (sul punto v. Cass. n. 25450/2010).
Ed invero, “prevedendo, la norma da ultima richiamata una ipotesi di prelazione ex lege e, quindi, introducendosi con la stessa una limitazione alla autonomia contrattuale della parte locatrice, quanto alla scelta del soggetto cui alienare il proprio immobile, è palese che con la stessa, a norma dell’art. 14 preleggi, è stata introdotta una disposizione che fa eccezione a regole generali e la stessa, pertanto, non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati (cfr. Cass. n. 4914/2003; Cass. n. 9206/2001, Cass. n. 8468/99, Cass. n. 25450/2010 in motivazione).
Si deve, infatti, sottolineare che il riconoscimento del diritto di prelazione non è normativamente previsto, in favore del conduttore in assoluto, in quanto conduttore, ma solo nella limitata ipotesi in cui il locatore gli abbia intimato disdetta per la prima scadenza, comunicandogli di voler cedere la proprietà a terzi. E ciò, come misura atta a compensare in qualche modo il sacrificio del mancato godimento dell’immobile tolto in locazione, per l’ulteriore quadriennio normativamente previsto, a fronte della utilità, per il locatore, purché sprovvisto di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione, di poter vendere a terzi il bene, ad un prezzo maggiore, corrispondente a quello di mercato per gli immobili liberi.
Sanzioni
Se il locatore, riacquistato legittimamente l’immobile non lo destina entro 12 mesi agli usi per i quali ha esercitato la disdetta o se essa è legittimamente esercitata, il conduttore ha diritto:
a) al ripristino del rapporto di locazione alle stesse condizioni;
b) al risarcimento del danno non inferiore a 36 mensilità dell’ultimo canone.
Nullità: è nulla ogni pattuizione, nell’ambito del contratto c.d. libero, volta a derogare ai termini di durata o a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, se la riconsegna è obbligatoria.
B) contratti c.d. agevolati
contrarre sulla base di quanto stabilito, anche per il canone, in appositi contratti – tipo definiti fra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori.
Per tali contratti, in ragione del fatto che l’ammontare del canone è, in quanto frutto di una concertazione fra le categorie contrapposte generalmente più basso di quello che esprime il libero mercato, sono riservati al locatore 2 vantaggi:
1) la minore durata del contratto; che non può essere inferiore a 3 anni, prorogabili, in difetto di accordo sul rinnovo, di altri 2 anni;
2) trattamento fiscale più agevolato; per quanto riguarda l’imposta erariale e l’imposta ICI.
In altri termini, riassumendo, la legge n. 431/1998, autorizza le parti alla stipulazione di tre “tipi” di contratti di locazione la cui durata non può essere inferiore a:
1. quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di ulteriori quattro anni (art. 2, comma 1);
2. tre anni prorogabili di diritto per altri due anni (art. 2, comma 5).
3. L’art. 5 della legge n. 431/1998 prevede, infine, la possibilità di stipulare contratti di locazione di natura transitoria anche di durata inferiore ai limiti anzidetti, per soddisfare particolari esigenze delle parti (quali ad esempio le esigenze abitative degli studenti universitari).
In merito, con ultima pronuncia la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 febbraio 2014, n. 4075
è intervenuta stabilendo che non sono quindi le parti a decidere se e quando poter ricorrere alla tipologia del contratto transitorio ma è il decreto ministeriale emanato ai sensi della predetta legge a fissare le modalità ed i presupposti, sussistendo i quali è consentito ai contraenti il ricorso al contratto di durata più breve rispetto alla disciplina ordinaria.
Nel caso di specie, il D.M. 30 dicembre 2002 stabilisce che i contratti di natura transitoria devono prevedere “una specifica clausola che individui l’esigenza transitoria del locatore e/o del conduttore – da provare quest’ultima con apposita documentazione da allegare al contratto – i quali dovranno confermare il permanere della stessa tramite lettera raccomandata da inviarsi avanti la scadenza del termine stabilito nel contratto”; stabilisce inoltre che “i contratti di cui al precedente decreto sono ricondotti alla durata prevista dall’art. 2 comma 1 della legge 9 dicembre 1998 n. 431 in caso di inadempimento delle modalità di conferma delle esigenze transitorie stabilite nei tipi di contratto di cui al comma 6 ovvero nel caso le esigenze di transitorietà vengano meno“.
Ne deriva che, ai fini di un valido ed efficace contratto locativo di natura transitoria a norma del combinato disposto di cui all’art. 5 legge n. 431/98 e D.M. 30 dicembre 2002, occorre la sussistenza delle seguenti condizioni:
1) la previsione di una specifica clausola contrattuale che individui l’esigenza di transitorietà del locatore e/o del conduttore;
2) l’allegazione, al contratto, di un’apposita documentazione atta a provare la suddetta esigenza;
3) la conferma, da parte dei contraenti, del permanere di essa, tramite lettera raccomandata da inviarsi prima della scadenza del termine.
In definitiva, o ricorrono tali condizioni e si soddisfano le dette modalità, volte a giustificare obbiettivamente la deroga alla disciplina ordinaria oppure, quali che siano le cause del mancato soddisfacimento dei presupposti contemplati, il contratto locativo non può avere una durata inferiore a quella ordinaria con l’ulteriore conseguenza che, in difetto di prova dei requisiti richiesti, va ricondotto nell’alveo dei contratti di cui all’art. 2 commi 2 e 3 legge n.431/98.
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 4 agosto 2016, n. 16279
ha avuto modo anche di affermare che il secondo inciso della L. n. 431 del 1998, articolo 2, comma 5, deve interpretarsi nel senso che la locazione si intende prorogata di un biennio alla scadenza del triennio di durata previsto dalla legge, sempre che il locatore non abbia in relazione ad essa dato la prevista disdetta motivata, soltanto qualora il conduttore abbia anteriormente manifestato l’intenzione di rimanere nell’immobile e, quindi, se egli abbia proposto la conclusione di un rinnovo ed essa sia stata rifiutata dal locatore oppure se una simile proposta l’abbia fatta il locatore al conduttore sempre anteriormente e questi l’abbia rifiutata (ritenendola non conveniente). In mancanza di una di tali eventualita’, cioe’ sostanzialmente se non sia intervenuta una trattativa per il rinnovo non perfezionatasi, la locazione si deve, invece, intendere automaticamente cessata alla scadenza del triennio senza necessita’ di disdetta da parte dello stesso conduttore, trovando applicazione la disciplina dell’articolo 1596 c.c., comma 1
LA DISCIPLINA COMUNE
Sono, tuttavia, rimaste in vita, alcune norme della legge equocanone, vedi par.fo successivo, ed in particolare quelle in tema di:
1) sublocazione;
2) cessione;
3) recesso del conduttore;
4) successione del conduttore nel contratto;
5) nullità della clausola di scioglimento in caso di alienazione.
LA LOCAZIONE DI FATTO –
In tal caso dispone l’art. 13 della legge 431/98, il conduttore può instaurare un giudizio per chiedere non solo l’accertamento dell’esistenza del contratto di locazione, ma anche la determinazione da parte del giudice del canone dovuto, che non potrà eccedere quello definito nei contratti tipo dei c.d. contratti agevolati.
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Uso diverso da abitazione
L. 78/392 del 27 luglio la c.d. legge equocanone
A) ad attività industriali,
B) commerciali e artigianali;
C) ad attività di interesse turistico;
D) ad attività di lavoro autonomo;
E) ad attività alberghiere (art.27 L.392/1978);
F) ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche;
G) a sedi di partiti e sindacati (art.42 L.392/78).
PUNTI FONDAMENTALI DELLA DISCIPLINA SPECIALE
Secondo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 giugno 2015, n. 12915
si è, in particolare, chiarito che “nel sistema della legge n. 392/1978, il tipo legale della locazione ad uso abitativo risulta articolato in tre sottotipi: a) locazioni per esigenze abitative stabili e primarie;
b) locazioni per esigenze abitative transitorie determinate da motivi di studio o di lavoro;
c) locazioni per esigenze abitative non stabili né primarie ma genericamente transitorie”.
Mentre il primo “sottotipo” è completamente soggetto all’applicazione della legge n. 392/1978, ed il terzo ne é invece totalmente esonerato, il secondo sottotipo “è soggetto all’applicazione della legge n. 392/1978 fatta esclusione per la durata legale”. Perché sia individuabile tale categoria contrattuale, è necessario il concorso di due requisiti: “la stabile abitazione nell’immobile da parte del conduttore, ed il motivo di studio o lavoro per la cui realizzazione si deve intendere stipulata la locazione” (Cass. n. 2147 del 31/01/2006).
Quando, poi, si verte in domanda di simulazione relativa, volta a far emergere la illiceità della clausola sul canone per contrasto con il regime vincolistico allora vigente e, segnatamente, ad affermarne la nullità ex art. 79 legge 392/78 – la prova della simulazione, posta per regola generale a carico del conduttore, non subisce limitazioni di sorta; potendo essere fornita, tra le parti, anche a mezzo di testimoni e di presunzioni ex art. 1417 cc: “la prova della sussistenza di un accordo simulatorio sull’apparente volontà espressa da entrambe le parti di concludere una locazione transitoria, in quanto volta a far valere l’illiceità delle simulate clausole contra legem, dissimulanti la reale natura dell’esigenza abitativa (in relazione all’art. 79, comma primo, legge n. 392 del 1978, e all’art. 1417 cod. civ.), può essere fornita dal conduttore anche mediante presunzioni; che possono consistere in circostanze oggettive conosciute dal locatore al momento della stipula, se hanno i requisiti per indurre a ritenere che le espressioni letterali del contratto sulla dichiarata transitorietà – smentita dalla situazione di fatto – abbiano costituito il mezzo, vietato dal disposto del citato art. 19 della legge n. 392 del 1978, per eludere l’applicazione della (precedente) normativa sull’equo canone” (Cass. n. 4484 del 25/02/2009, cit. anche nella sentenza qui impugnata).
E’ stato, poi, precisato da altra Cassazione che
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 2 febbraio 2017, n. 2702
la natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che comporta l’esclusione della locazione dalla sfera di applicazione delle norme della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere desunta non dal termine di durata della locazione stabilito dalle parti ma dalla natura della esigenza abitativa che, nelle locazioni transitorie, in quanto diversa da quella della normale e continuativa dimora, comporta una permanenza solo precaria e saltuaria del conduttore nell’immobile, assumendo carattere eccezionale e temporaneo (cosi’ Cass. n. 2371/92, in un caso in cui trattavasi di locazione di appartamento utilizzato da una coppia per incontri saltuari che il giudice di merito aveva ritenuto non transitoria solo a causa del termine quinquennale di durata convenzionalmente stabilito; cfr. anche Cass. n. 11984/90, dove si sottolinea che l’indagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso concreto va compiuta avendo riguardo all’effettiva destinazione dell’immobile e con riferimento alla natura dell’esigenza abitativa del conduttore, e non alle espressioni letterali del contratto. Peraltro, si rende necessaria la precisazione che la concreta situazione di fatto alla data della stipulazione rileva quando sia nota ad entrambe le parti contraenti e – dopo la parziale dichiarazione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 80 – la modificazione unilaterale dell’uso in corso di rapporto rileva quando sia resa nota al locatore, il quale non si avvalga della facolta’ di risoluzione entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza: cfr. Cass. n. 6145/97, n. 10797/97 e n.12019/00, tra le altre).
Inoltre, è stato anche precisato nella medesima sentenza che, nel caso di unilaterale mutamento d’uso dell’immobile locato da parte del conduttore, prevede l’applicabilita’ del regime giuridico corrispondente all’uso effettivo se il locatore non si attivi entro breve termine per la risoluzione del contratto, essendo diretto ad evitare che venga elusa la disciplina fissata per le diverse tipologie locative, deve essere riferito a tutti i casi in cui la variazione comporti l’applicazione di una diversa disciplina e, quindi, non solo ai casi di passaggio da una destinazione ad uso non abitativo, rientrante nella previsione degli articoli 27 e 42, della legge, ad una utilizzazione abitativa dell’immobile, regolata dal capo primo della legge medesima, o viceversa, ma anche ai casi di mutamento nell’ambito del medesimo tipo locativo se questo determini il passaggio da un regime giuridico regolato dalla legge sull’equo canone ad un altro regime giuridico della medesima legge, come nel caso di locazione per esigenze abitative transitorie, disciplinata dall’articolo 26 lettera a utilizzata per destinazione abitativa stabile, o di altre leggi, restando estranei alla norma in questione solo quei cambiamenti d’uso dai quali non derivi innovazione nella disciplina giuridica del rapporto ed in relazione ai quali e’ configurabile solo un inadempimento contrattuale legittimante il ricorso alla ordinaria azione di risoluzione prevista dall’articolo 1453 c.c.” (cosi’ Cass. n. 11959/92, in un caso in cui trattavasi di mutamento del cosidetto uso “foresteria” in quello di stabile abitazione del conduttore e della sua famiglia; cfr., nello stesso senso, Cass. n. 9689/94 e, tra le altre, Cass. n. 5767/10).
Con la precisazione che “il principio desumibile dalla L. n. 392 del 1978, articolo 80, secondo il quale, in caso di difformita’ fra uso convenuto ed uso effettivo, il regime giuridico del contratto si adegua all’uso che il conduttore ne ha fatto in concreto, trova applicazione anche nel caso in cui produca effetti piu’ sfavorevoli per il conduttore, ed investe – quindi – anche l’eventualita’ in cui il conduttore, avendo preso in locazione un immobile per uso abitativo ordinario, ne faccia utilizzo in modo del tutto saltuario, e cioe’ ne goda in modo corrispondente ad una locazione di natura transitoria” (cosi’ Cass. n. 8716/98, nonche’ Cass. n. 969/07, entrambe citate dalla ricorrente, ed, ancora, Cass. n. 5767/10 cit.).
Data la giurisprudenza appena richiamata, la Cassazione ha concluso nel senso che, in riferimento alla L. n. 392 del 1978, articolo 80, l’indagine da compiersi in concreto sull’uso effettivo dell’immobile da parte del conduttore, diverso da quello pattuito, reso noto al locatore in corso di rapporto, che determini la modifica del regime applicabile, prescinde dalla verifica della sussistenza di un apposito accordo, e men che meno di un accordo redatto per iscritto, che espressamente modifichi il contratto in essere tra le parti.
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Canone
[373]
Il canone iniziale è libero, ma può poi solo essere aggiornato annualmente nei limiti del 75% della valutazione, accertate dall’ISTAT, del costo della vita.
Inoltre è bene segnalare che secondo ultima Cassazione[374] la richiesta di adeguamento del canone di locazione agli aumenti del costo della vita, registrati annualmente dall’Istat, spetta al locatore, tuttavia essa, non prevedendo l’articolo 32 della legge 392/1978 alcun vincolo di forma può avvenire per facta concludentia.
Ad esempio, l’invio di una fattura in cui sia indicato il canone maggiore da pagare non solo consente al conduttore di comprendere in maniera chiara ed univoca la volontà del locatore di ricevere il maggior canone comprensivo dell’aggiornamento Istat, ma gli permette altresì di desumere previa comparazione con il minor canone precedente pagato la misura della percentuale di aggiornamento applicato.
Sempre in tema di aumenti ISTAT per altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 maggio 2014, n. 11675
nelle locazioni non abitative, in base all’art. 32 della legge n. 392 del 1978, così come novellato dall’art. 1, comma 9, sexies del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118, il locatore, solo in caso di conforme pattuizione con il conduttore e abilitato a (richiedere annualmente l’aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta. Non risulta e non è stato neppure allegato che tale pattuizione fosse stata inserita nel contratto di locazione ad uso diverso concluso tra le parti. La richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e ciò sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell’art. 32 della legge cosiddetto sull’equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex art. 24 stessa legge
Aumenti del canone possono però essere previsti, fin dal momento della conclusione del contratto.
In effetti sul punto, con riguardo ai contratti di locazione di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, una delle questioni che la giurisprudenza della Suprema Corte si è trovata a più riprese ad affrontare è quella circa la facoltà delle parti di predeterminare aumenti del canone di locazione in frazioni di tempo scadenzate (c.d. canone a “scaletta”) lungo la durata del rapporto locatizio.
Sul punto appare ben certo il principio secondo cui incrementi del canone non possono essere pattuiti dalle parti durante lo svolgimento del rapporto contrattuale.
Il diritto del conduttore di non corrispondere somme superiori a quelle dovute “ex lege” è suscettibile di valida ed efficace rinuncia soltanto allo spirare del rapporto di locazione, dovendosi di converso ritenere colpite da nullità tutte quelle pattuizioni – ancorché intervenute in corso di rapporto e non prima della sua stipula – che si risolvano in veri e propri aumenti del canone al di fuori delle statuizioni di cui all’art. 32 legge 27 luglio 1978, n. 392. (Cass. civ. Sez. III, 15 settembre 2008, n. 23677)
Con riguardo, invece, ad aumenti di canone determinati al momento della conclusione del contratto di locazione, l’indirizzo della Suprema Corte sembra essersi consolidato sul seguente principio di diritto: in virtù del principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto è legittima a condizione che l’aumento sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio del sinallagma contrattuale ovvero appaia giustificata la riduzione del canone per un limitato periodo iniziale, salvo che la suddetta clausola non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392 circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere d’acquisto della moneta. (Cass. civ. Sez. VI, 17 maggio 2011, n. 10834)
Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive del tempo nell’arco del rapporto, ancorata, infine, ad elementi predeterminati (idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale e del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta), a meno che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo, così, i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge cosiddetta “sull’equo canone” ((sia nella formulazione originaria che in quella novellata dall’art. 1 comma nono sexies, della legge n. 118 del 1985), ed incorrendo, conseguentemente, nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79 della legge predetta. (Cass. civ. Sez. VI, 23 giugno 2011, n. 13887)
Permane, tuttavia un indirizzo minoritario in virtù del quale: in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 32, ma veri e propri aumenti del canone deve ritenersi nulla ex art. 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare ai proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto, persiste durante l’intero corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell’immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi (Cass. civ. Sez. III Sent., 07-02-2008, n. 2932) (Cass. civ. Sez. III, 9 giugno 2010, n. 13826).
Sul punto, con altro intervento la Casaszione
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 9 marzo 2015, n. 4656,
ha ribadito che in materia di contratto di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, in relazione alla libera determinabilità convenzionale del canone locativo, la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati (del tutto diversi e indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta), deve ritenersi legittima ex artt. 32 e 79 della legge sull’equo canone, salvo che non costituisca un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria». Nel caso in esame, invece, l’aggiornamento in misura del 100 per cento dell’indice ISTAT e l’esclusione della necessità della previa richiesta da parte del locatore costituivano – come emerge dalla sentenza in esame – sono esempi di clausole in contrasto con gli artt. 32 e 79 della legge n. 392 del 1978.
Con arresto, immediatamente successivo, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 marzo 2015, n. 5849
è ritornata sull’argomento con un’ampia motivazione, che è opportuna riportare anche la fine di sciogliere ogni dubbio.
Si legge testualmente nella sentenza in commento che “La Corte d’Appello Firenze, con la sentenza impugnata, si è uniformata ai principi di diritto più volte enunciati da questa Corte di legittimità e volti ad affermare, in tema di immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione, in virtù del principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo vigente per gli immobili destinati ad uso commerciale, che sia consentito alle parti prevedere la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto} purché la stessa previsione non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all’art. 32 della legge n. 27 luglio 1978 n. 392 con la quale il legislatore si è riservato la facoltà di determinare le modalità e la misura dell’aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta, sottraendola alla disponibilità della parti (in questo senso Cass. n. 17061 del 2014, cass. n. 13887 del 2011, Cass. n. 10834 del 2011, Cass. n. 11608 del 2010, Cass. n. 5349 del 2009 Cass. n. 4210 del 2007, Cass. n. 17964 del 2007, Cass. n. 10500 del 2006). A tali principi va in questa sede data continuità.
L’art. 79 della legge n. 392 del 1978, che si applica a tutti i rapporti di locazione disciplinati dalla legge in cui è inserito, sanziona di nullità un’ampia gamma di pattuizioni, comprensive di quelle volte a limitare la durata legale del contratto, ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello legalmente dovuto ad attribuire al locatore altri vantaggi che siano in contrasto con le disposizioni di legge sull’equo canone (ed al secondo comma detta una apposita disciplina per consentire al conduttore di far valere tale nullità, anche allo scopo di recuperare le somme pagate in eccedenza). Le norme in esso contenute vanno però interpretate tenendo conto della specificità dei diversi tipi di rapporti contrattuali a cui si applica, individuate dalla stessa legge n. 392 del 1978 e dalla successiva disciplina sulla locazione, ed in particolare del fatto che nei rapporti di locazione aventi ad oggetto la locazione di immobili ad uso non abitativo, diversamente che per le locazioni abitative, le parti sono state lasciate libere, al momento della conclusione del contratto, di determinare la misura del canone di locazione.
In applicazione di tale principio di libertà nella determinazione del canone, esse possono anche validamente prevedere al momento della conclusione del contratto che il canone possa variare, in aumento o in diminuzione, per gli anni o le frazioni di anno successivi al primo, potendo tale aumento trovare la sua giustificazione causale in considerazione del complessivo assetto di interessi delle parti (in cui esse possono aver tenuto conto, esplicitamente o implicitamente, di una serie di circostanze, quali l’esecuzione a cura e spese del conduttore di lavori di adeguamento dei locali, nel prevedere, per il primo o i primi anni, un canone inferiore a quello pattuito per gli anni successivi). Le parti non possono invece validamente inserire nel contratto aggiornamenti, ovvero variazioni nell’importo del canone per gli anni successivi al primo, atte a sostituire surrettiziamente il criterio normativo contenuto nell’art. 32 ultimo comma della legge n. 392 del 1978, norma imperativa, per tenere indenne il canone concordato dal mutato potere d’acquisto della moneta.
In definitiva le parti, nel momento in cui costituiscono il rapporto di locazione commerciale, sono lasciate libere di determinare il contenuto del contratto che meglio riproduca il loro concreto assetto di interessi, dando spazio anche alla possibilità che il canone non sia uniformemente determinato per tutti gli anni di durata del rapporto potendo essere tali eventuali variazioni predeterminate causalmente giustificate dal contesto delle pattuizioni o comunque dalle circostanze del caso concreto prese in considerazione dalle parti stesse.
Il limite non valicabile dalla autonomia delle parti in relazione al canone di locazione di immobili destinati ad utilizzo commerciale è costituito esclusivamente, nel momento genetico del contratto, dalla nullità delle clausole che sostanzialmente si traducano in un aggiramento dell’art. 32 della legge n. 392 del 1978 ed in una determinazione privatistica della misura della indicizzazione.
La ratio del divieto di introdurre un meccanismo di indicizzazione diverso da quello previsto per legge si fonda sia su esigenze generali, di programmazione uniforme delle ricadute dal mutato potere di acquisto della moneta sui contratti in corso, sia sulla avvertita esigenza di evitare che il locatore possa approfittare del contraente strutturalmente più debole per imporgli iniqui meccanismi di indicizzazione automatica, scissi da una giustificazione causale che sia ancorata al concreto assetto di interessi delle parti, come ben espresso nel principio di diritto così massimato: ‘Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ancorata, infine, ad elementi predeterminati (idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale e del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta), a meno che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo, così, i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge cosiddetta ‘sull’equo canone’ (sia nella formulazione originaria che in quella novellata dall’art. 1 comma nono, sexies, della legge n. 118 del 1985), ed incorrendo, conseguentemente, nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79 della legge predetta’ (Cass. n. 5349 del 2009).
Nel caso di specie, la corte d’appello ha accertato in concreto, con motivazione sotto questo profilo neppure contestata dal ricorrente, che la variazione in aumento del canone di locazione, prevista per gli anni secondo, terzo, quarto e quinto del rapporto, non si traduceva in una violazione dell’art. 32 della legge n. 3982 del 1978, in quanto si trattava di variazioni predeterminate e non ancorate al mutato potere d’acquisto della moneta né direttamente né indirettamente. Escludeva poi un intento elusivo in ragione del fatto che nessun aumento fosse stato previsto per il sesto anno, e neppure per il secondo sessennio della locazione, periodo di tempo assai ampio, nell’arco del quale le variazioni del potere di acquisto della moneta non avrebbero potuto non incidere. Esistono peraltro alcune pronunce di legittimità, in relazione alle quali il P.G. ha individuato un orientamento contrastante con quello finora riportato, che gli ha fatto ritenere necessario richiedere la rimessione della controversia al Primo Presidente affinché decida se devolvere alle Sezioni Unite la composizione del contrasto. Le pronunce cui ha fatto riferimento il Procuratore Generale segnalando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sono principalmente Cass. n. 2961 del 2013 Cass. n. 2932 del 2008, Cass. n. 8410 del 2006, Cass. n. 10286 del 2001. Tuttavia il contrasto, ripercorrendo le motivazioni delle sentenze citate e tenendo in conto le fattispecie di riferimento, appare più apparente che reale (e forse enfatizzato da una massimazione talora esageratamente assertiva e scissa dalla necessaria aderenza alla fattispecie concreta).
Tutte le sentenze citate infatti prendono in realtà in esame non la previsione di una pattuizione originaria in cui il canone sia stato determinato in misura crescente (o decrescente) o comunque non uniforme per tutti gli anni di durata del rapporto, ma situazioni in cui, dopo un accordo iniziale che fissava in una determinata misura l’importo del canone liberamente concordato dalle parti, interveniva tra le parti un nuovo e successivo accordo che modificava in aumento la misura del canone (anche Cass. n. 10834 del 2011 evidenzia che le pronunce apparentemente contrastanti riguardano un caso diverso da quello in oggetto, cioè il caso in cui l’aumento del canone venga pattuito nel corso del rapporto).
Le sentenze citate condivisibilmente hanno affermato che questo aumento successivo, a rapporto già in corso, debba ritenersi nullo per violazione dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978, e che l’accordo non sia idoneo a far validamente rinunciare il conduttore ad esigere di non pagare di più rispetto a quanto originariamente pattuito. In caso di un accordo successivo in cui si preveda un aumento del canone della locazione già in corso la libertà negoziale del conduttore potrebbe essere limitata o apparente, e l’equilibrio contrattuale alterato, dall’esigenza del conduttore di continuare a svolgere l’attività commerciale che ha avviato e nella quale ha investito, negli stessi locali, mentre per contro il locatore avrebbe buon gioco ad imporre un aumento di canone al conduttore che tema una perdita di clientela qualora si debba spostare altrove dopo aver dato positivo impulso all’attività.
L’ordinamento non consente, in applicazione dell’art. 79, un accordo che preveda l’aumento del canone di locazione a rapporto di locazione commerciale già iniziato, potendo lo stesso essere non più frutto della libera scelta delle parti, ma del condizionamento che è in grado di esercitare il locatore e della sostanziale posizione di superiorità di questi, in grado di imporre un aumento contrattuale al conduttore che abbia profuso impegno e denaro nell’avvio di una attività commerciale e che abbia tutto l’interesse a continuare ad esercitarla nello stesso luogo.
Sono quindi sanzionati da nullità soltanto gli aumenti del canone di locazione pattuiti successivamente alla conclusione del contratto.
La necessità di tenere distinte le due situazioni trova preciso riscontro nella sentenza n. 2901 del 2007 (redatta da uno degli estensori delle sentenze che vengono in genere ricondotte al cd. secondo orientamento), in cui la Corte ha ritenuto esente da nullità la scrittura integrativa contestuale alla sottoscrizione del contratto di locazione, nella quale si prevedeva un importo (a titolo di contributo spese straordinarie e di uso dei mobili) che andava a far parte del canone sommandosi con quanto contestualmente pattuito con il contratto di locazione. In quella sede la Corte ha ribadito che soltanto la pretesa di somme ulteriori rispetto a quella originariamente pattuita incorre nella sanzione di nullità prevista dall’art. 79 legge n. 392 del 1978, in quanto volta ad attribuire al locatore veri e propri aumenti del canone ed ha ritenuto esente da vizi la sentenza con la quale si affermava che il anone fosse stato legittimamente dalle parti determinato ‘liberamente’, ‘nella misura corrispondente alla somma dei due atti contestuali’.
Sicché un accordo che geneticamente preveda un importo del canone di locazione destinato a crescere nel corso degli anni può essere valido, purché non sia destinato a svolgere surrettiziamente una funzione di aggiornamento del valore del canone svincolata dai criteri e dai limiti fissati dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978 e trovi la sua giustificazione causale dall’assetto che le parti hanno dato ai rispettivi interessi nel contratto, mentre è nulla per violazione dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978 la pretesa di somme ulteriori rispetto a quelle originariamente pattuite, in quanto volta ad attribuire al locatore veri e propri aumenti del canone.”
Ancora sul punto, nuovamente, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 23 giugno 2016, n. 13011
è intervenuta affermando che in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Tale nullità opera anche per le pattuizioni che intervengono nel corso del rapporto, discendendo tale conclusione dalla coordinata valutazione del comma 1 e del comma 2 dell’art. 79. Infatti, il diritto a non erogare somme in misura eccedente il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto, persiste durante tutto il corso del rapporto, e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell’immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi. Proprio perché il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti. La validità di una rinuncia espressa o tacita del conduttore ad avvalersi del diritto a non subire aumenti non dovuti, eventualmente intervenuta in corso di rapporto, appare inconciliabile con la facoltà, attribuita al conduttore, di ripetere “le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge” entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile.
Si segnala, ancora, ultimo adagio della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 11 ottobre 2016, n. 20384
secondo cui, in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non gia’ o’ l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 32, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex articolo 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone piu’ elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti;
la clausola che preveda la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto e’ valida a condizione che si tratti, non gia’ di un vero e proprio “aumento”, bensi’ di un “adeguamento” del canone al mutato valore locativo dell’immobile volto a ripristinare il sinallagma originario, evitando uno squilibrio a vantaggio del conduttore altrimenti determinato dal canone fisso ovvero di una limitata e iniziale “riduzione” del canone convenuto, sempre che nell’uno, come nell’altro caso, tanto emerga da elementi obiettivi e predeterminati cui sia affidata “la scaletta” del canone.
Non paga degli innumerevoli interventi, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 10 novembre 2016, n. 22909
dopo circa 30 giorni dall’ultimo intervento, pur rappresentando un contrasto giurisprudenziale, si spera definitivamente, ha affermato il seguente principio:
Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; e cio’, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l’entita’ del canone all’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma.
La legittimita’ di tale clausola dev’essere peraltro esclusa la’ dove risulti – dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullita’ della clausola – che le parti abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32, (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 sexies), cosi’ incorrendo nella sanzione di nullita’ prevista dal successivo articolo 79, comma 1, della stessa legge.
Ancora, per altra sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 febbraio 2015, n. 3596
nel caso di pendenza, alla data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1998, di un contratto di locazione ad uso abitativo con canone convenzionale ultralegale rispetto a quello c.d. equo da determinarsi ai sensi degli artt. 12 e ss. della legge n. 392 del 1978, qualora sia intervenuta la sua rinnovazione tacita ai sensi dell’art. 2, comma 6, della legge n. 431 del 1998, il conduttore – in difetto di una norma che disponga l’abrogazione dell’art. 79 della menzionata legge n. 392 del 1978 in via retroattiva o precluda l’esercizio delle azioni dirette a rivendicare la nullità di pattuizioni relative ai contratti in corso alla suddetta data – è da considerarsi legittimato, in relazione al disposto del comma 5 dell’art. 14 della medesima legge n. 431 del 1998, ad esercitare l’azione prevista dall’indicato art. 79 diretta a rivendicare l’applicazione, a decorrere dall’origine del contratto e fino alla sua naturale scadenza venutasi a verificare successivamente alla stessa data in difetto di idonea disdetta, del canone legale con la sua sostituzione imperativa, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., al pregresso canone convenzionale illegittimamente pattuito. Tale sostituzione, in ipotesi di accoglimento dell’azione, dispiega i suoi effetti anche con riferimento al periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nella vigenza della legge n. 431 del 1998.
E’ stato anche precisato che
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 11 gennaio 2017, n. 411
in tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore abbia corrisposto a titolo di canone una somma maggiore rispetto a quella consentita dalla legge, trova applicazione, in riferimento alla domanda di restituzione delle somme corrisposte in eccedenza, la regola generale di cui all’articolo 2033 c.c., secondo la quale gli interessi sulle somme da restituire decorrono dal giorno della domanda giudiziale se l’accipiens era in buona fede e da quello del pagamento se era in mala fede; in particolare, alla violazione della norma imperativa che stabilisce il canone per un immobile adibito ad uso di abitazione non consegue automaticamente la mala fede del locatore, sicche’ il conduttore ha l’onere di dimostrare di essere stato indotto dal locatore alla corresponsione del canone in misura superiore a quella legale, nonostante la sua volonta’ contraria, a meno che la mala fede non emerga dalle circostanze di fatto (cosi’, da ultimo, Cass. ord. n. 13424/15 cit.).
Infine, si riporta sul punto anche ultimo adagio della S.C.
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 novembre 2021| n. 33884
alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati a uso diverso da quello di abitazione, devono ritenersi legittimi, tanto il patto con il quale le parti, all’atto della conclusione del contratto, predeterminano il canone in una misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; quanto il patto successivo con il quale le parti provvedono consensualmente, nel corso del rapporto, a stabilire una misura del canone diversa da quella originariamente stabilita; la legittimità di tali patti (iniziali o successivi) dev’essere peraltro esclusa là dove risulti (dal testo del patto o da elementi extratestuali) che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’articolo 32 della legge 392/1978 (nella formulazione originaria e in quella novellata dall’articolo 1, comma 9-sexies, della legge 118/1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo articolo 79, primo comma, della stessa legge.
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Autoriduzione del canone
In deroga, poi, al principio generale come già segnalato in precedenza, per recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 giugno 2015, n. 12915
l’autoriduzione è resa legittima dalla pendenza tra le parti di una controversia avente specificamente ad oggetto la determinazione del c.d. equo canone dovuto per legge.
Nella pendenza di siffatta controversia il conduttore è ammesso (art.45 1.392/78) a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato; nell’esercizio di una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e sostanzialmente congrua, non concreta morosità e, dunque, ipotesi di inadempimento risolutorio (Cass. n. 9548 del 22/04/2010 ed altre).
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Durata
Fissata autoritativamente in almeno:
a) 6 anni se negli immobili si svolge attività industriale, artigianale, di interesse turistico ovvero attività di lavoro autonomo;
b) 9 anni se si svolge attività alberghiera.
Per la S.C.[375] le disposizioni degli artt. 27 e 67 della legge 27 luglio 1978, n. 392 sul cosiddetto equo canone, come si avrà modo di vedere, con riguardo alla durata della locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, devono ritenersi concernere gli immobili di qualunque specie che nell’ambito della disciplina urbanistica siano adibiti ad una delle attività contemplate nei primi due commi del medesimo art. 27, ivi incluse, pertanto, nel concorso di detti connotati, le superfici inedificate od aree nude (nella specie, area destinata ad impianto di autolavaggio), tenuto conto che il dato letterale di tali norme, di per sé non autorizzativo dell’esclusione di quelle superfici od aree, va correlato alle finalità complessivamente perseguite dalla legge, la quale configura il superamento della precedente normativa d’emergenza diretta a rimediare agli squilibri del mercato locativo (ed il cui ambito poteva essere quindi giustificatamente circoscritto alle aree urbane edificate), mediante una regolamentazione organica e tendenzialmente completa di tutti i rapporti di locazione di immobili del territorio urbano impiegati in determinati usi.
In tema di locazione, per la S.C.[376], la nullità della clausola che limita la durata di un contratto soggetto alle disposizioni dell’art. 27, L.392/1978, ad un tempo inferiore al termine minimo stabilito dalla legge determina l’automatica eterointegrazione del contratto, ai sensi del secondo comma dell’art. 1419 c.c., con conseguente applicazione della durata legale prevista dal quarto comma del citato art. 27, risultando irrilevante l’avere le parti convenuto che l’invalidità anche di una sola clausola contrattuale comporti il venir meno dell’intero negozio. È, viceversa, consentito alle parti convenire una locazione per periodi più lunghi di quello minimo previsto dalla legge, in quanto l’art. 27 considera inderogabile la (sola) durata minima senza porre limiti a quella massima, che rimane pertanto ancorata alla generale disposizione di cui all’art. 1573, secondo la quale sono consentite le locazione sino a trent’anni.
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Recesso
E’ possibile il recesso del conduttore per gravi motivi, indicati nella dichiarazione del preavviso semestrale.
Per la Cassazione[377] ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, a norma della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27, comma 8, è sufficiente che egli manifesti, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, al locatore il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato, ne1 di darne la prova perchè queste attività devono esser svolte in caso di contestazione da parte del locatore.
Ad esempio, per la S.C.[378] il comune che avanza come ragione della revoca anticipata la situazione di grave crisi economica che prelude ad un possibile dissesto finanziario imponendo all’amministrazione locale economie non ulteriormente procrastinabili, tali motivi sono gravi da determinare il recesso anticipato anche perché la situazione di dissesto non è di per sé automaticamente equiparabile a causa dipendente dalla volontà dell’ente, nel senso in cui all’articolo 27 legge n. 392 richiede che i gravi motivi siano indipendenti dalla volontà del conduttore.
Per ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 maggio 2014, n. 12291
i gravi motivi che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione, ai sensi degli artt. 4 e 27 l. 27 luglio 1978 n. 392, devono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione. (Nel caso di specie la dismissione della detenzione dell’immobile non era dipesa da arbitraria volontà del conduttore, ma da esigenze esterne, costituite dal continuo abbaiare del cane, che aveva arrecato pregiudizio alla salute della conduttrice, provato dalla testimonianza del coniuge e del suo medico curante).
Principio ripreso da ultima cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 marzo 2021| n. 7424
secondo la quale in tema di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, i gravi motivi che consentono al locatario di liberarsi in anticipo del vincolo contrattuale, ai sensi dell’art. 27, ultimo comma, della legge n. 392 del 1978, devono essere determinati da avvenimenti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, che ne rendano oltremodo gravosa la prosecuzione, dovendo tale gravosità avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal medesimo conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo, sicché essa deve eccedere l’ambito della normale alea contrattuale.
Sulla stessa linea la Cassazione anche nel 2023
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 12461
laddove, ha affermato che in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, i gravi motivi di cui all’art. 27, l. n. 392 del 1978, devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed essere tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore medesimo, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo; sicché essi non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, ma devono avere carattere oggettivo ravvisabile anche in un andamento della congiuntura economica – sia favorevole che sfavorevole all’attività dell’impresa – sopravvenuto ed oggettivamente imprevedibile, che, imponendo l’ampliamento o la riduzione della struttura aziendale, sia tale da rendere particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo.
Ancora, per altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 dicembre 2014, n. 26892
l’istituto del recesso del conduttore per gravi motivi si applica anche ai contratti di locazione stipulati come conduttori da enti locali territoriali“. (Cass. n. 15082 del 2000).
Ai fini della individuazione dei suoi presupposti – si continua a leggere nella sentenza testè riportata – quando il conduttore sia un ente locale ci si deve domandare se la particolare natura del conduttore e particolarmente lo scopo dell’ente, tanto piu’ quando si tratti di un comune e, dunque, di un ente c.d. esponenziale, ancora oggi depositario di una serie di funzioni pubbliche di primaria importanza e necessarie quanto al dover essere esercitate, connoti tali presupposti in modo diverso da come si debbono considerare con riferimento a qualsiasi conduttore, o meglio all’attivita’ esercitata nell’immobile da qualsiasi conduttore.
Siffatto interrogativo deve ricevere risposta considerando comunque che la posizione dell’ente locale, pur con il rilievo dovuto alla sua peculiare qualita’ ai fini dell’esercizio del diritto di recesso si colloca pur sempre sul piano di un rapporto privatistico, di modo che comunque quella particolare posizione dell’ente, avendo esso utilizzato uno strumento privatistico, non puo’ di per se’ giustificare che la legittimita’ del recesso sia apprezzata dando rilievo soltanto al mero finalismo perseguito dall’ente locale sebbene nella logica dell’adempimento delle sue funzioni.
Ne segue che in linea generale valgono anche per l’ente locale conduttore, che vuole recedere anticipatamente, i principi generali individuati dalla giurisprudenza di questa Corte come presupposti legittimanti il recesso.
Essi, del resto evocati dalla sentenza impugnata, sono, com’e’ noto, attestati nel senso che i gravi motivi, in presenza dei quali la Legge n. 392 del 1978, articolo 27, u.c., indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consente il recesso del conduttore dal contratto di locazione, non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dallo stesso conduttore in ordine all’opportunita’ o meno di continuare ad occupare l’immobile locato, poiche’, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma. Al contrario, i gravi motivi, che legittimano il recesso del conduttore da una locazione non abitativa, devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed, inoltre, devono essere tali da rendere oltremodo gravosa per lo stesso conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo. (ex multis, in particolare, Cass. n. 5328 del 2007).
E’ stato, altresi’ precisato che in tema di recesso del conduttore dal contratto di locazione i gravi motivi di cui alla Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27, comma 8, devono esser determinati da fatti estranei alla sua volonta’, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione. Cio’ significa, in relazione al requisito dell’estraneita’, che il comportamento deve essere consequenziale a fattori obbiettivi, ma non che non sia volontario e che percio’, se il conduttore e’ un imprenditore commerciale, egli non possa operare una scelta di adeguamento strutturale dell’azienda, ampliandola o riducendola per renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicita’ e produttivita (Cass. n. 17402 del 2003).
La Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 3 aprile 2015, n. 6820
sul punto ha riaffermato che il recesso dal contratto è l’atto col quale uno dei contraenti si scioglie unilateralmente dal vincolo negoziale.
Esso non costituisce un istituto dai caratteri unitari. Talora è previsto dalla legge quale mera facoltà (ad esempio, negli artt. 24, 768 septies, 1671, 1750 c.c.); talaltra è concepito come una misura di reazione ad errori di fatto (ad esempio, negli artt. 1538, 1539, 1893 c.c.); in altri casi ancora è concepito come uno strumento di salvaguardia del sinallagma contrattuale contro il rischio di vizi sopravvenuti (è il caso degli artt. 1613, 1614 comma 2, 1897 c.c.).
In quest’ultima categoria rientra l’Istituto previsto dall’art. 27 l. 392/78, il cui scopo è evitare il rischio che il conduttore si trovi costretto ad onorare un contratto che, senza propria colpa, sia divenuto per lui inutile.
In quanto finalizzato a rimediare ad un vizio sopravvenuto del sinallagma contrattuale, il recesso ha effetto immediato e provoca lo scioglimento del contratto alla scadenza del semestre di legge: al pari, ad esempio, della scadenza del termine essenziale, dell’avverarsi della clausola risolutiva espressa o dell’inutile spirare del termine fissato con la diffida ad adempiere. L’efficacia del recesso non richiede dunque alcuna pronuncia giudiziale costitutiva, ne sia o meno contestata la legittimità da parte del locatore. Il contratto di locazione dunque si scioglierà ope legis una volta decorso il semestre previsto dalla legge, per il solo fatto che la dichiarazione di recesso sia pervenuta al domicilio del locatore, secondo la regola generale di cui all’art. 1334 c.c..
In conclusione secondo la sentenza in commento, l’eventuale contestazione del locatore circa l’esistenza o la rilevanza dei ‘giusti motivi’ invocati dal conduttore a fondamento del diritto di recesso non introduce una azione costitutiva finalizzata ad una sentenza che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero al momento del recesso i giusti motivi invocati dal conduttore (così come già ritenuto, tra le altre, da Sez. 3, Sentenza n. 16110 del 09/07/2009, Rv. 608801, e da Sez. 3, Sentenza n. 2070 del 20/02/1993, Rv. 481012, in motivazione).
Ulteriormente, con successiva pronuncia la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 giugno 2015, n. 13368
è nuovamente tornata sul punto riaffermando che i motivi del recesso devono essere enunciati nella dichiarazione stessa, e non possono essere esplicitati successivamente (v. anche Cass. 17.1.2012 n. 549).
Di qui la correttezza della decisione, si legge nella sentenza in commento, che ha considerato irrilevanti quelli indicati successivamente, e non gravi quelli considerati nella comunicazione di recesso, con valutazione che compete al giudice di merito e che correttamente motivata, come nella specie, non e’ censurabile in sede di legittimita’.
Ne’ alcun pregio ha il sottile “distinguo”, specificano gli ermellini. che la ricorrente introduce fra motivi del recesso e ragioni che hanno determinato il recesso, posto che i motivi di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 27, costituiscono “fatti” la cui esistenza legittima il recesso (v. anche Cass. ord. 11.3.2011 n. 5911).
I gravi motivi in presenza dei quali la Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27, u.c., indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consente in qualsiasi momento il recesso del conduttore dal contratto di locazione, infatti, devono collegarsi a fatti estranei alla volonta’ del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto.
La norma, pertanto, e’ stata correttamente applicata dalla Corte di merito che ha escluso la rilevanza delle ulteriori ragioni poste dall’attuale ricorrente a giustificazione del recesso, ma esplicitate successivamente alla sua dichiarazione.
Nuovamente sul punto è ritornata la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 agosto 2015, n. 17215
riaffermando che in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’onere per il conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione di recesso ai sensi dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978, ancorché non espressamente previsto da detta norma, deve ritenersi conseguente alla logica dell’istituto, atteso che al conduttore é consentito di sciogliersi dal contratto solo se ricorrano gravi motivi e il locatore deve poter conoscere tali motivi già al momento in cui il recesso é esercitato, dovendo egli assumere le proprie determinazioni sulla base di un chiaro comportamento dell’altra parte del contratto, anche al fine di organizzare una precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso stesso.
Pur non avendo il conduttore l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato, né di darne la prova perché queste attività devono essere svolte in caso di contestazione da parte del locatore – si tratta pur sempre di recesso “titolato”, per cui la comunicazione del conduttore non può prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo.
La disposizione dell’art. 27 comma ultimo L. n. 392 del 1978, che consente al conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto per gravi motivi, è applicabile anche ai contratti di locazione contemplati dall’art. 42 stessa legge, ivi inclusi quelli conclusi in qualità di conduttore da un ente pubblico territoriale. La scelta di recedere non può prescindere dall’apprezzamento dell’attività esercitata dal conduttore, quale indicata dall’art. 27, oppure contemplata direttamente o indirettamente nell’art. 42 citato, con la conseguenza che, ove la scelta di recedere sia operata da un ente pubblico, non può prescindersi dal profilo delle attività e dei compiti ad esso affidati – è altrettanto certo che la qualificazione pubblicistica del conduttore, una volta che lo stesso si sia avvalso dello strumento privatistico, non consente di ritenere che la legittimità del recesso sia apprezzata, dando rilievo esclusivamente alle determinazioni perseguite dal soggetto pubblico, seppure nell’adempimento delle sue funzioni.
Infine, sul punto, ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 14 luglio 2016, n. 14365
ha riaffermato che in tema di recesso del conduttore di immobili ad uso non abitativo, ove il locatario svolga la propria attivita’ in diversi rami di azienda, per i quali utilizzi distinti immobili, i gravi motivi, giustificativi del recesso anticipato, di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27, u.c., debbono essere accertati in relazione all’attivita’ svolta nei locali per cui viene effettuato il recesso, senza possibilita’ per il locatore di negare rilevanza alle difficolta’ riscontrate per tale attivita’ in considerazione dei risultati positivi registrati in altri rami aziendali. Decisione fondata sul bilanciamento fra l’interesse del locatore alla prosecuzione del rapporto e l’interesse del conduttore a non restare vincolato ove l’attivita’ per lo svolgimento della quale l’immobile e’ stato locato divenga antieconomica.
In merito, poi hai gravi moitvi, in una fattispecie concernente la sopravvenienza di norme, si da rilievo alla valutazione potenziale dei “gravi motivi” piuttosto che all’effettivo impoverimento, sulla base dell’argomento che, diversamente, si negherebbe al conduttore/imprenditore, che si trovasse dinanzi un grave ed imprevista crisi economica, la facolta’ di esercitare il recesso sino a quando non venga a trovarsi in stato di decozione, con conseguente frustrazione dello scopo della norma, che e’ quella di prevenire la crisi del conduttore.
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Rinnovo e diniego
[379] [380]
La stabilità del rapporto è assicurata anche dal fatto che alla prima scadenza contrattuale è stabilito il rinnovo, che può essere tacitamente attuato per un ulteriore identico periodo.
La rinnovazione tacita alla prima scadenza (art. 28) per il medesimo lasso temporale (6+6 e 9+9) costituisce effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, salvo il caso in cui intervenga una disdetta, la quale deve essere comunicata all’altra parte secondo precise modalità: tramite lettera raccomandata, da inviarsi al conduttore rispettivamente almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza (art. 29, comma 3, legge n. 392/1978).
In merito da utlimo sono interevnute le sezioni unite nel derimere un contrasto giurisprudenziale se in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui agli artt. 28 e 29 della legge n. 392 del 1978, e se poi la stessa rinnovazione tacita necessiti, o meno, dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560, secondo comma, c.p.c..
Sottolineava la stessa ordinanza interlocutoria di rimessione che la giurisprudenza della Corte di cassazione si era espressa in senso favorevole alla necessità dell’autorizzazione, con orientamento costante da Cass. 2576/1970 a Cass. 1639/1999, fino alla pronuncia della stessa terza sezione civile n. 10498 del 2009, che aveva affermato l’opposto principio secondo cui, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. A quest’ultima impostazione conseguirebbe che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, la rinnovazione non necessiterebbe dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560, secondo comma, c.p.c.
Orbene, le sezioni unite
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 16 maggio 2013, n. 11830
aderendo all’orientamento contrario, ha affermato il seguente principio di diritto: in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa (artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978, n. 392) costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dal secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ.
Peraltro, il diniego di rinnovazione del contratto non può essere “immotivato”, ma la sua validità è subordinata al concorrere di una delle cause indicate dall’art. 29, da indicare specificamente nella comunicazione di disdetta (comma 4), può essere negato dal locatore e solo nei casi tassativamente fissati dall’art. 29[381] può ottenere il rilascio:
a) adibire l’immobile ad abitazione propria, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea diretta;
b) adibire l’immobile all’esercizio di una delle attività previste dall’art. 27;
c) demolire l’immobile per ricostruirlo ovvero integralmente ristrutturarlo;
d) ristrutturare l’immobile al fine di rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme alla previsione di legge.
È cosa giusta segnalare, subito, che secondo la S.C.[382] in tema di locazione di un’abitazione adibita ad uso diverso da quello abitativo, la divergenza tra le necessità familiari indicate nella disdetta, e l’effettiva utilizzazione del bene rilasciato da parte del figlio nubendo, dopo il fallimento delle nozze, non comporta la nullità della disdetta.
Il diniego della rinnovazione del contratto di locazione alla prima scadenza è regolato dal Legislatore con discipline simili ma differenti, a seconda che l’oggetto del contratto di locazione sia costituito da un immobile adibito a uso diverso da quello abitativo, ovvero si tratti di un immobile destinato ad abitazione.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione alla prima scadenza, ai sensi dell’art. 29 legge 27 luglio 1978, n. 392, l’intenzione di destinare l’immobile alla propria attività professionale non concreta cessazione del rapporto ad libitum del locatore, ma deve esprimere un intento serio, realizzabile tecnicamente e giuridicamente[383].
Inoltre, il diniego di rinnovo alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile non abitativo ai sensi degli artt. 28 e 29 della legge sull’equo canone, intimato anziché dalla parte personalmente dal suo procuratore non munito di mandato ad hoc, può formare oggetto di ratifica ai sensi e per gli effetti degli artt. 1324 e 1399 cod. civ., da parte del dominus che abbia conferito al medesimo professionista la procura ad agire per il rilascio dell’immobile, essendo implicita nella procura la volontà di accettare l’operato del falsus procurator.[384]
Per le locazioni di immobili adibiti all’esercizio di albergo, pensione o locanda, anche se ammobiliati, il locatore può negare la rinnovazione del contratto nelle ipotesi previste dall’articolo 7 della legge 2 marzo 1963, n. 191, modificato dall’articolo 4-bis del decreto-legge 27 giugno 1967, n. 460, convertito, con modificazioni, nella legge 28 luglio 1967, n. 628, qualora l’immobile sia oggetto di intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti.
Il locatore, a pena di decadenza, deve dichiarare la propria volontà di conseguire, alla scadenza del contratto, la disponibilità dell’immobile locato; tale dichiarazione deve essere effettuata, con lettera raccomandata, almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza, rispettivamente per le attività indicate nei commi primo e secondo dell’articolo 27 e per le attività alberghiere.
Nella comunicazione deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati nei commi precedenti, sul quale la disdetta è fondata.
Se il locatore non adempie alle prescrizioni di cui ai precedenti commi il contratto s’intende rinnovato a norma dell’articolo precedente.
Ai sensi dell’art. 31 L.392/1978 il locatore che abbia ottenuto la disponibilità dell’immobile per uno dei motivi previsti dall’art. 29 e che, nel termine di sei mesi dall’avvenuta consegna, non abbia adibito l’immobile ad abitazione propria, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, o non abbia adibito l’immobile ad esercizio in proprio di una delle attività indicate all’art. 27, ovvero non abbia rispettato i termini della concessione o quelli del piano comunale di intervento per quanto attiene l’inizio dei lavori di demolizione, ricostruzione, ristrutturazione o restauro dell’immobile ovvero, in caso di immobili adibiti ad esercizio di albergo, pensione o locanda, non abbia completato i lavori di ricostruzione nel termine stabilito dal Ministero del turismo e dello spettacolo, è tenuto, se il conduttore lo richiede, al ripristino del contratto, salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede, e al rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sopportati, ovvero al risarcimento del danno nei confronti del conduttore in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della risoluzione del contratto, oltre alle indennità previste ai sensi dell’art. 34.
Il giudice, oltre a determinare il ripristino o il risarcimento del danno, ordina al locatore il pagamento di una somma da devolvere al comune nel cui territorio è sito l’immobile, ad integrazione del fondo sociale previsto dal titolo III della presente legge.
In tema è intervenuta nuovamente la S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 dicembre 2013, n. 28469
affermando il seguente principio: deve risarcire i danni (o ripristinare il contratto precedente) il proprietario che, dopo aver chiesto il rilascio dell’appartamento per il figlio, lo conserva ancora libero a distanza di anni. Né valgono come scusante i lunghi lavori di ristrutturazione, aggravati dalla presenza di vincoli della Sovrintendenza.
Sul punto altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 7 novembre 2014, n. 23794
ha statuito altro principio secondo cui le sanzioni alternative di ripristino della locazione o di risarcimento del danno previste dalla Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 31, a carico del locatore che abbia ottenuto la disponibilita’ anticipata dell’immobile per una finalita’ non piu’ realizzata (nella specie, di adibirlo ad abitazione di familiari), hanno fondamento contrattuale e incombe dunque sullo stesso locatore l’onere di provare di avere adempiuto all’obbligo corrispondente, ovvero di non aver potuto adempiere per cause ostative a lui non imputabili, ai sensi degli articoli 1218 e 2697 c.c.
La nullità comminata dal comma 4 dell’art.29 cit. alla disdetta del contratto se priva della specificazione dei motivi – previsti dai commi 1 e 2 dello stesso articolo per tutelare non solo il conduttore, ma anche l’interesse generale dell’economia alla stabilità delle locazioni non abitative – è assoluta e perciò rilevabile anche d’ufficio[385].
La Corte di Cassazione è intervenuta anche in materia di disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza contrattuale senza l’osservanza dei termini e non motivata a norma dell’art. 29 della legge 392 del 1978, quindi “inidonea di per sé sola a produrre gli effetti suoi propri”: tale disdetta “determina, tuttavia, in caso di adesione del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata[386].
La comunicazione del diniego della rinnovazione del contratto ai sensi dell’art. 29, lett. b), della legge 27 luglio 1978, n.392, qualora il locatore, trattandosi di una Pubblica Amministrazione o di un ente pubblico (sia esso economico o non economico) o di diritto pubblico, intenda adibire l’immobile all’esercizio di attività tendenti al conseguimento delle sue finalità istituzionali, non può limitarsi ad un generico richiamo dei fini istituzionali dell’ente ma deve specificare, ai sensi del penultimo comma dell’art. 29 citato, la concreta attività da svolgere nell’immobile, perché anche per le locazioni degli immobili della Pubblica Amministrazione il conduttore ed il giudice debbono essere posti in grado di verificare la serietà e l’attuabilità dell’intenzione indicata nonché, in sede contenziosa, di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del rinnovo, oltre che rendere possibile il successivo controllo sull’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato, in caso di richiesta di applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’art. 31[387].
La rinnovazione tacita del contratto di locazione postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo a evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto[388].
Ai sensi dell’art. 79 legge 392/1978 è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto (nonché a superare i limiti di indicizzazione del canone) e per effetto della regola generale di cui agli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c., richiamata, per la parte che qui interessa, anche dall’art .27, comma 4, della legge 392/78, le norme imperative (sulla durata minima del rapporto come sui limiti di indicizzazione del canone, etc.) sostituiscono le clausole difformi eventualmente pattuite tra le parti. Il comma 2 dello stesso art. 79 prevede che il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, possa ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge.
Principio riaffermato con recente Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 marzo 2023| n. 6398
secondo la quale la clausola contenente la rinuncia preventiva all’indennità di avviamento, da parte del conduttore, è nulla, ai sensi dell’art. 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392, ancorché sia stata pattuita a fronte della riduzione del canone, giacché “solo successivamente alla conclusione del contratto, quando il conduttore non si trova più in una posizione di debolezza per il timore di essere costretto a lasciare l’immobile dove svolge l’attività commerciale, vi è la possibilità per le parti di negoziare in ordine ai diritti nascenti dal contratto ed in particolare in ordine al diritto all’indennità di avviamento.
Secondo la S.C.[389] la previsione di un termine di durata del contratto superiore a quella minima di legge non esclude l’applicabilità della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui all’articolo 28 L.392/1978, ancorché la durata del contratto inizialmente pattuita sia uguale o superiore a quella di dodici anni risultante dalla somma della durata minima legale iniziale e da quella minima di rinnovo. D’altra parte,come si desume dall’articolo 27, che considera inderogabile solo la durata minima dei contratti di locazione, senza porre limiti a quella massima, rientra nell’autonomia negoziale delle parti stabilire un termine di durata superiore a quella legale. Anche in questo caso, tuttavia, il contratto si rinnova per sei anni, essendo tale termine stabilito dalla legge a prescindere dalla durata inizialmente fissata dalle parti.
Ne deriva, pertanto, che ove (come nella specie) sia convenuto un termine di nove anni, la durata complessiva del contratto è di quindici anni (nove più sei) salve ulteriori proroghe legali[390].
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Indennità
[391] [392] [393] [394]
Il conduttore imprenditore che nell’immobile locato svolga attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (tranne che si tratti di immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici, ex art. 35,
A) da un lato, ha diritto a ricevere alla cessazione del rapporto di locazione un’indennità (per perdita di avviamento) commisurata all’ultimo canone corrisposto (la misura è raddoppiata quando l’immobile venga adibito all’esercizio della stessa attività o di attività affini a quelle che vi svolgeva il conduttore uscente), e,
B) dall’altro, ha diritto di prelazione sia nel caso che il proprietario intenda vendere l’immobile (art. 38, con possibilità di riscatto ex art. 39), sia nel caso che intenda locarlo a terzi (art.40, con possibilità di riprendere il rapporto contrattuale).
Per la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 7 luglio 2016, n. 13936
in caso di locazione di immobile urbano utilizzato in parte come deposito ed in parte per lo svolgimento di attivita’ comportante contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, con prevalenza di quest’ultimo uso, l’indennita’ di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34 va commisurata all’intero canone corrisposto per l’immobile concesso in locazione, e non gia’ ad una parte proporzionata alla sola superficie adibita all’uso commerciale predetto (Sez. 3, Sentenza n. 11596 del 31/05/2005, Rv. 582845); In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora il contratto abbia ad oggetto locali comunicanti ma aventi diversa destinazione commerciale (nella specie, magazzino e negozio), e il canone sia unico e indistinto, il locatore non puo’ sottrarsi al pagamento dell’indennita’ di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 34 commisurata all’intero canone nell’assunto che solo una parte dell’immobile strutturalmente unitario – al di la’ delle distinte indicazioni catastali – sia destinato al contatto diretto con il pubblico, spettando la detta indennita’ quando l’attivita’ che comporti il contatto diretto con il pubblico sia prevalente, e dovendosi commisurare la stessa, anche in tal caso, all’intero canone e non alla parte di esso riferibile alla sola superficie utilizzata per il contatto diretto con il pubblico (Sez. 3, Sentenza n. 3592 del 16/02/2010, Rv. 611860; conf. Cass. 25.2.1997, n. 1700; Cass. 10.2.1997, n. 1232; Cass. 24.3.1999, n. 2792, Cass. 28.10.1995, n. 11301).
Dall’applicazione di tali principi consegue che quando i locali con diversa destinazione commerciale siano comunicanti ed il rapporto sia sostanzialmente unico ed indistinto, al locatore non e’ consentito sottrarsi al pagamento dell’indennita’ (di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34) commisurata all’intero canone nell’assunto che solo una parte dell’immobile strutturalmente unitario (al di la’ delle distinte indicazioni catastali) era destinato al contatto diretto col pubblico, venendo esclusivamente in rilievo la prevalenza dell’attivita’ del conduttore comportante quel contatto; e cio’ nel senso che, a seconda che prevalente essa fosse o non fosse, l’indennita’ sara’ rispettivamente dovuta o no.
Trova, dunque, applicazione il principio elaborato da questa Corte con riferimento all’ipotesi di un immobile che sia in parte utilizzato come deposito ed in parte per lo svolgimento di attivita’ che comporti contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori; secondo tale principio l’indennita’ per la perdita dell’avviamento spetta solo se questa ultima attivita’ sia prevalente (Cass. 25.2.1997, n. 1700; Cass. 10.2.1997, n. 1232; Cass. 24.3.1999, n. 2792), con la conseguenza che l’indennita’ va commisurata all’intero canone per l’immobile concesso in locazione e non gia’ ad una parte del canone proporzionata alla sola superficie adibita all’uso commerciale (Cass. 28.10.1995, n. 11301).
In merito all’onere probatorio.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ha un onere probatorio, ma tale onere di provare che l’immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell’immobile[395], grava sul locatore, che eccepisce la diversa destinazione effettiva, dimostrare il fatto impeditivo della pretesa del conduttore, ai sensi dell’art. 2697, comma secondo, cod. civ.
Qualora, invece, la destinazione individuata dalle parti in contratto non implichi il contatto diretto con il pubblico ma, nel quadro dell’attività della parte conduttrice o anche della stessa destinazione prevista dalle parti, possa in concreto implicare o non implicare quel contatto, compete al conduttore provare che, com’era lecito nell’economia del regolamento contrattuale, l’immobile é stato effettivamente adibito ad attività comportante il contatto in questione[396].
Sempre sull’onere della prova per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 23 giugno 2016, n. 13012
ha avuto modo di affermare che per il riconoscimento del diritto del conduttore all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, è rilevante che i locali siano effettivamente destinati ad attività che comporta il contatto con il pubblico e aperti alla frequentazione diretta e indifferenziata di clienti che abbiano interesse e necessità di entrare in contatto con l’impresa. L’onere di fornire la prova grava sul conduttore e può essere assolto con qualsiasi mezzo anche situazioni di fatto, mentre è irrilevante la clausola contrattuale con la quale il conduttore dichiara unilateralmente l’utilizzo dell’immobile.
La Corte di merito – nel caso di specie – sul presupposto della avvenuta effettiva destinazione dell’immobile ad attivita’ aperta al pubblico, al centro della decisione ha correttamente posto anche il profilo della conoscenza di tale destinazione effettiva da parte della societa’ acquirente, subentrata con l’acquisto dell’immobile nella posizione del locatore. E, ha tratto la prova di tale conoscenza da presunzioni, sulla base: – delle vetrine e dell’insegna; – dell’essere noto, a tutti, e quindi anche alla societa’ acquirente, il tipo di attivita’ esercita; – dell’essere la regola quella di visionare l’immobile da comprare, tanto piu’ che il conduttore era stato presente all’atto di compravendita ai fini della rinuncia alla prelazione. Di particolare rilievo la presunzione a partire dalla partecipazione del conduttore all’atto di acquisto, ai fini della rinuncia al diritto di prelazione, atteso che, secondo il sistema legislativo (L. n. 392 del 1978, articoli 35 e 38), in caso di trasferimento a titolo oneroso di immobile locato per uso diverso da quello abitativo, il diritto di prelazione spetta se nell’immobile sia stata svolta un’attivita’ comportante diretto contatto con il pubblico.
Con altra pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 novembre 2013, n. 26225
è stato affermato nuovamente che la tutela dell’avviamento commerciale, apprestata dagli artt. 34 – 40 della legge 27 luglio 1978, n. 392, per gli immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione, utilizzati per un’attività commerciale comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, non può essere riconosciuta al conduttore che eserciti quell’attività senza le prescritte autorizzazioni, poiché il presupposto della tutela risiede nella liceità dell’esercizio dell’attività medesima, in quanto si fornirebbe altrimenti protezione a situazioni abusive (frustrando l’applicazione di norme imperative che regolano le attività economiche) e lo stesso scopo premiale della disciplina posta a fondamento della predetta legge, che, quanto all’avviamento ed alla prelazione, consiste nella conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate (Cass. n. 7501/2007, conformi Cass. n.635/07, Cass. n. 10187/2005, Cass. n. 1235/2003; Cass. n. 12966/2000, Cass. n. 5265/1993). E’ stato aggiunto che, giusta i principi fondamentali del vigente ordinamento processuale, il giudice adito è tenuto, anche d’ufficio, e, pertanto, anche nell’eventualità in cui la parte convenuta fosse stata contumace, a verificare la sussistenza, in concreto, dei requisiti di fondatezza della domanda avanti a lui proposta (cfr. Cass. n.635/2005 in motivazione, conformi Cass. n. 1014/2003, Cass. n. 10280/2002 tra le tantissime).
Sul punto la Cassazione con altra precedente pronuncia
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 25 febbraio 2014, n. 4443
affermava che è correttamente individuato il presupposto dell’indennità ex art. 34 L. 392/78 nella destinazione dell’immobile locato ad un ruolo propulsivo ai fini dell’incremento dell’avviamento. Lo stabilire, poi, se nel caso concreto tale ruolo sussistesse o meno è questione di fatto, non di diritto. L’errore in tale giudizio può essere censurato sotto il profilo della insufficiente motivazione, ma non della violazione di legge.
Inoltre, gli artt. 34 e 35 L. 392/78 non esigono alcun collegamento funzionale tra la vendita di prodotti litografici e l’ambito territoriale di esercizio dell’attività, i contatti diretti col pubblico non esigono affatto che la clientela provenga da ambiti territoriali contigui a quello ove sorge l’immobile locato.
Infine, il requisito dei contatti diretti “col pubblico di consumatori ed utenti” ivi previsto è soddisfatto anche quando nell’immobile locato si svolga una attività rivolta ai c.d. fruitori professionali, cioè ad altri imprenditori che acquistano il bene od il servizio per destinarlo all’esercizio della propria impresa (così Sez. 3, Sentenza n. 16627 del 16/07/2010); mentre restano esclusi dall’ambito di applicazione della norma sopra ricordata solo i conduttori che offrano in vendita beni a coloro che li acquistano al solo fine di rivenderli come tali (Sez. 3, Sentenza n. 4644 del 27/04/1995). E non sarà superfluo ricordare che l’indennità di cui all’art. 34 L. cit. spetti ai conduttori la cui attività sia rivolta astrattamente ad una generalità indiscriminata di persone, a nulla rilevando che di fatto a quell’attività sia interessata solo una cerchia limitata e specifica di soggetti, come nel caso di realizzazione di manifesti destinati alla pubblicità (Sez. 3, Sentenza n. 22 dell’11/01/1988).
Le disposizioni degli artt. 34 e 69 della legge sull’equo canone (legge 27 luglio 1978 n. 392) si limitano a subordinare l’efficacia esecutiva del provvedimento di rilascio al pagamento dell’indennità per la perdita di avviamento e quindi a legittimare il mantenimento della mera detenzione dell’immobile, e non attribuiscono invece al conduttore il diritto di fare uso dell’immobile pur dopo la cessazione del rapporto locatizio. Ne consegue che non è dovuto — in tale situazione di diritto — alcun compenso al locatore.
Se, però, pur in assenza del pagamento dell’indennità di avviamento, persista il godimento dell’immobile, si configura un’occupazione abusiva che dà luogo ad una fattispecie risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.[397]
Con ulteriore pronuncia
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 25 giugno 2013, n. 15876
la Suprema Corte ha avuto modo di esplicare nuovamente alcuni punti in merito alla detenzione dell’immobile in assenza del pagamento dell’indennità dovuta, difatti: in materia di contratto di locazione, deve ritenersi esclusa la facoltà, per il conduttore, di rendere gratuita la detenzione in virtù del mancato utilizzo del bene, in base ad una sua unilaterale decisione. Infatti, dal momento della cessazione del rapporto di locazione sino a quello del pagamento dell’indennità, si viene ad instaurare tra le parti un rapporto ex lege geneticamente collegato al precedente, fondato per una parte sulla protrazione della detenzione del bene e per l’altra sul pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del rapporto contrattuale. Resta invece salva la facoltà del conduttore di evitare il pagamento del corrispettivo, previa offerta di restituzione del bene a norma dell’art. 1216 c.c., in modo da costituire in mora il locatore in rapporto al suo obbligo di corrispondere l’indennità di avviamento.
Il termine «recesso» nell’ambito dell’art. 34, comma 1 legge n. 392/1978, è impiegato in un’accezione ampia, comprensiva di ogni risoluzione anticipata del contratto che, anche se formalmente consensuale per adesione del locatore, possa farsi risalire a una manifestazione di volontà del conduttore che non abbia più interesse alla continuazione della locazione[398].
Difatti, per altra cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 luglio 2013, n. 17698
confermando un principio già espresso, qualora vi sia stata una risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice e, quindi, non si verte in tema di recesso arbitrario o liberamente autodeterminatosi, è dovuto il diritto alla indennità; perché tale diritto per la perdita di avviamento commerciale consegue (salvi i casi tassativamente indicati dal legislatore (ossia, tra l’altro, risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore) – ed in misura prestabilita – alla cessazione del rapporto di locazione, senza che rilevi che successivamente alla disdetta o al recesso il conduttore abbia cessato di svolgere la sua attività (Cass. n. 12279/00).
Nel caso in cui il locatore abbia, ai sensi dell’art. 69 della legge sull’equo canone (ovvero ai sensi dell’art. 34 per il regime non transitorio), comunicato al conduttore la propria intenzione di non procedere al rinnovo della locazione alla scadenza, il rilascio anticipato da parte del conduttore non può essere considerato come un recesso anticipato dal contratto con conseguente perdita del diritto alla indennità per l’avviamento commerciale, poiché quest’ultima compete al conduttore per il solo fatto che il locatore abbia assunto l’iniziativa di non proseguire la locazione, stante l’esigenza del conduttore di non proseguire la locazione, stante l’esigenza del conduttore di reperire comunque una sistemazione alternativa, collegata a situazioni che non necessariamente coincidano con il termine finale del rapporto locativo[399].
Mentre, come da sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 maggio 2015, n. 10261
in tema di locazione di immobili adibiti ad uso commerciale, il mancato pagamento da parte del conduttore di talune mensilità dovute ex art. 1591 cod. civ. in conseguenza di una fase di occupazione dei locali successiva alla cessazione del contratto non è ostativo al diritto di percepire l’indennità di avviamento commerciale ex art. 34 della legge n. 392 del 1978.
E opportuno, poi, precisare come da ultima sentenza sul punto
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 28 gennaio 2014, n. 1763
che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale deve essere corrisposta in ogni caso di cessazione del rapporto per disdetta del locatore, sempre che alla data della cessazione permangano i requisiti a cui le citate norme di legge subordinano la corresponsione dell’indennità: che permanga, cioè, non tanto l’utilizzazione di fatto del bene da parte del locatore, quanto il suo diritto di continuare a svolgervi l’attività prevista dal contratto di locazione, ed in particolare un’attività che comporti il contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori.
Ad esempio, in un caso di specie trattato nella sentenza menzionata, non è stato riconosciuto tale diritto poichè la Corte di appello ha accertato che il conduttore aveva ufficialmente chiesto all’amministrazione provinciale l’autorizzazione a spostare la sede dell’autoscuola dai vani locati a quelli nuovi, da lui acquistati; che avuta tale autorizzazione, ha contemporaneamente restituito la precedente autorizzazione, relativa all’esercizio dell’attività nei vani di proprietà del locatore.
Non si è trattato, cioè, di un ampliamento della sede originaria fino a comprendere i nuovi locali acquistati, ma dello spostamento ufficiale dell’attività oggetto del contratto di locazione ad altro luogo, separato e diverso: tanto diverso (pur se probabilmente contiguo) che lo spostamento ha richiesto il rilascio di apposita autorizzazione amministrativa e la restituzione della precedente. (Donde anche il divieto di continuare ad esercitarvi la precedente attività).
Ne consegue che, dalla medesima data, nei vani locati è ufficialmente cessata l’attività dell’autoscuola e così anche il protrarsi del contatto diretto con il pubblico, a cui è condizionato il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva dell’avviamento.
La Cassazione successivamente
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 settembre 2015, n. 18812
ha riaffermato i seguenti principi: l’indennità per la perdita dell’avviamento compete al conduttore per il solo fatto che il locatore abbia assunto l’iniziativa di non proseguire la locazione e l’intervenuta disdetta inviata dal locatore è idonea a far sorgere ipso facto, ove ne ricorrano gli altri presupposti, il diritto del conduttore all’indennità di avviamento, mentre risulta del tutto irrilevante la circostanza che il conduttore, successivamente alla disdetta o al recesso, abbia cessato di svolgere la sua attività, ancorché prima della cessazione del rapporto, o che, a seguito della comunicazione del locatore di non voler proseguire la locazione, abbia trasferito altrove la propria attività.
Non paga degli innumerevoli interventi la S.C.
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 giugno 2022| n. 20892.
ha avuto modo di precisare che nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, l’indennità per perdita dell’avviamento non è dovuta in caso di recesso del conduttore, o per sua iniziativa oppure in adesione ad un patto di risoluzione e, quindi, se la cessazione è riferibile alla volontà del locatario, la quale deve essere espressa o chiaramente desumibile da comportamenti idonei a manifestare disinteresse alla prosecuzione del rapporto, tra i quali non può includersi il mero silenzio. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato il riconoscimento del diritto all’indennità per il conduttore che aveva mancato di rispondere alla lettera con cui il locatore gli aveva chiesto se intendeva o meno proseguire nel rapporto di locazione, anziché farlo risolvere alla sua scadenza naturale).
La clausola volta a precludere, già all’atto della stipulazione del contratto di locazione e ancor prima del suo sorgere, il diritto del conduttore alla percezione dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale è nulla ai sensi dell’art. 79 della legge n. 392/1978.
La clausola avendo di mira in via diretta ed esclusiva il conseguimento di un fine vietato dalla legge, quale l’anticipata rinuncia del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ancor prima del suo concreto maturarsi, risulta preordinata all’attribuzione di un vantaggio in favore del locatore in contrasto con le finalità legislative.
La ratio del Legislatore è quella di tutelare la posizione debole (già rimarcata) del conduttore al momento della stipula ed evitare che lo stesso pur di assicurarsi il godimento dell’immobile possa essere indotto ad accettare condizioni inique.
Mentre è vietata la rinuncia preventiva, dopo la cessazione del rapporto, rientra nella discrezionalità del conduttore ed è pienamente legittima la rinuncia del conduttore a percepire dal locatore l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale e ad avvalersi della facoltà di impedire che il rilascio si compia senza la corresponsione, o almeno l’offerta, dell’indennità stessa.
Sul punto, di recente la Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione civile, Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5127
ha affermato che in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo, la clausola contenente la rinuncia preventiva, da parte del conduttore, all’indennità di avviamento è nulla, ancorché sia stata pattuita a fronte della riduzione del canone, ai sensi dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978, potendo il medesimo conduttore rinunciare alla detta indennità solo successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata
Tali norme non si applicano ai rapporti di locazione relativi ad immobili destinati all’esercizio di attività professionali o di attività di carattere transitorio: art. 35.
Un caso particolare è stato affrontato dalla S.C.[400] in merito ad un immobile destinato allo svolgimento di attività di scuola privata la Corte di legittimità ha confermato la decisione della Corte di appello di Venezia, considerandone la congruità in relazione alla ritenuta valutazione dell’attività esercitata nell’immobile oggetto di locazione come il risultato di un’organizzazione aziendale e, quindi, di carattere commerciale, come tale legittimante il riconoscimento dell’attribuzione dell’indennità di avviamento invocata dalla conduttrice.
Per quanto riguarda le modalità di restituzione e di offerta, come da ultima pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 gennaio 2016, n. 890
il conduttore di un immobile affittato ad uso commerciale può formulare una offerta formale di restituzione condizionata al pagamento dell’indennità di avviamento senza dover più corrispondere il canone di locazione una volta consegnato l’immobile al sequestratario.
Leggiamo le motivazioni della sentenza, esplicative anche del rapporto di interdipendenza tra l’obbligazione del locatore di corrispondere l’indennita’ di avviamento e quella del conduttore di restituire l’immobile locato alla cessazione del rapporto.
Ebbene, si legge testualemnete in sentenza: “A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite civili n. 1177 del 15 novembre 2000, si e’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attivita’ commerciali disciplinate dagli articoli 27 e 34 della Legge n. 392 del 1978 (e, in regime transitorio, dagli articoli 68, 71 e 73 della medesima legge), in ragione della interdipendenza tra l’obbligazione del locatore di corrispondere l’indennita’ di avviamento e quella del conduttore di restituire l’immobile locato alla cessazione del rapporto, ove persista la duplice inadempienza di dette obbligazioni, il conduttore e’ esonerato soltanto dal pagamento del maggior danno ex articolo 1591 c.c., mentre, in attesa del pagamento dell’indennita’ di avviamento, e’ comunque obbligato a corrispondere il canone convenuto per la locazione (tra le molte, Cass., 28 marzo 2003, n. 4690; Cass., 11 luglio 2006, n. 15721; Cass., 9 marzo 2010, n. 5661).
Cio’ sulla premessa di fondo per cui tra le obbligazioni del locatore (di pagare l’indennita’ di avviamento) e del conduttore (di restituire l’immobile locato ad uso commerciale) sussiste una precisa interdipendenza sostanziale (prima ancora che processuale, ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 69), con la conseguenza – esplicitata nel principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite – che “il conduttore che rifiuta la restituzione dell’immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell’indennita’ per l’avviamento a lui dovuta, e’ obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo”.
Si tratta, invero, di un “rifiuto” che, a fronte del reciproco “rifiuto” del locatore di corrispondere l’indennita’, e’ opponibile in base all’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c., elidendo la mora “in chi legittimamente l’oppone” (alla stregua di un comportamento improntato a buona fede e correttezza).
Tuttavia, ove non ci si limiti al “rifiuto”, seppur legittimo, della propria prestazione, ma si intenda adempiere la propria e ottenere l’adempimento della controparte, il locatore, allora, “deve offrire al conduttore il pagamento dell’indennita’ che ritiene gli sia dovuta; correlativamente, il conduttore che intende ottenere il pagamento dell’indennita’, nel domandarla deve offrire al locatore la riconsegna del bene ovvero puo’ offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l’indennita’ che domanda”.
A tal riguardo soccorrono le “norme sulla mora del creditore”, che “consentono a ciascuno dei due obbligati di liberarsi della propria obbligazione e di costituire in mora il creditore (articoli 1206, 1207 e 1208 c.c.), perche’ se il debitore di una prestazione la deve a condizione che l’altra esegua in suo favore una prestazione cui ha diritto, il debitore della prima puo’ condizionare la propria offerta all’esecuzione di quella del proprio debitore” (cosi la citata Cass., sez. un., n. 1177 del 2000, sulla scorta, in particolare, di Cass., 17 ottobre 1995, n. 10820).
Nel solco di siffatto orientamento e, segnatamente, in base all’assunto per cui non sussiste un diritto di ritenzione in capo al conduttore, il quale, pur non essendo in mora, e’ comunque “tenuto a versare al locatore una somma pari al corrispettivo che avrebbe dovuto pagare in costanza del contratto”, si e’ ribadito, da parte di Cass., 25 giugno 2013, n. 15876, che tanto si correla alla ragione che “dal momento della cessazione del rapporto di locazione sino a quello del pagamento dell’indennita’ si viene ad instaurare tra le parti un rapporto ex lege geneticamente collegato al precedente, fondato per una parte sulla protrazione della detenzione del bene e per l’altra sul pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del rapporto contrattuale”. Non puo’, quindi, il conduttore – prosegue la citata pronuncia – “rendere gratuita la detenzione in virtu’ del mancato utilizzo del bene, in base ad una sua unilaterale decisione”, sicche’ per evitare il pagamento del canone e’ tenuto all’”offerta di restituzione del bene a norma dell’articolo 1216 c.c., in modo da costituire in mora il locatore in rapporto al suo obbligo di corrispondere l’indennita’ di avviamento”; prospettiva, questa, in cui non assume “alcun rilievo la previsione di cui all’articolo 1460 c.c., … in quanto l’eccezione in parola giustifica soltanto il proprio inadempimento ma non costituisce un rimedio contro l’inadempimento altrui”.
Tuttavia, in linea piu’ generale, sempre in tema di riconsegna dell’immobile locato, si e’ affermato (tra le altre, Cass., 3 settembre 2007, n. 18496; Cass., 20 gennaio 2011, n. 1337) che, mentre l’adozione della complessa procedura di cui all’articolo 1216, e articolo 1209 c.c., comma 2, costituita dall’intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (articolo 1207 c.c.), l’adozione da parte del conduttore di altre modalita’ aventi valore di offerta reale non formale (articolo 1220 c.c.) – purche’ serie, concrete e tempestive, tali da mettere l’immobile nella disponibilita’ del locatore, e sempreche’ non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore stesso – pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, e’ tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione e, dunque, di evitare il pagamento del corrispettivo convenuto.
Il disallineamento di posizioni, che parrebbe evincersi tra l’affermazione della sufficienza, rispetto al venire meno dell’obbligazione di corresponsione del canone, dell’offerta reale non formale rispetto a quella reale formale, e’ da ricondurre piuttosto (nella maggior parte dei casi considerati, salvo talune eccezioni: cfr. Cass., 26 aprile 2002, n. 6090 e Cass., 13 dicembre 2012, n. 22924) al venire in rilievo, o meno, della fattispecie di interdipendenza tra le prestazioni di pagamento dell’indennita’ commerciale e di restituzione dell’immobile. Nel senso che, ove non si ponga questione degli effetti della anzidetta interdipendenza tra prestazioni e si discuta eminentemente della restituzione del bene, allora si e’ ritenuto sufficiente che il conduttore-debitore si possa liberare della sua obbligazione restitutoria con offerta ai sensi dell’articolo 1220 cod. civ., mettendo l’immobile medesimo nella piena disponibilita’ del locatore (tra le altre, Cass., 24 marzo 2004, n. 5841 e Cass., 17 gennaio 2012, n. 550) e con cio’ (perdendone comunque la detenzione) liberarsi anche dell’obbligazione di pagamento dei canoni, correlata geneticamente alla mancata restituzione del bene (e non gia’ al suo godimento), salvo, ovviamente, il legittimo rifiuto del locatore.
Invero, l’effetto liberatorio anzidetto presuppone, in ogni caso, la cooperazione del locatore nel ricevere il bene, ossia che quest’ultimo rientri effettivamente nel pieno possesso, materiale e giuridico dell’immobile (in tale ottica si colloca la consegna delle relative chiavi al locatore, che le riceva, cosi da restituirlo nella piena disponibilita’ del bene: tra le altre, Cass., n. 550 del 2012, citata), poiche’, in assenza di siffatta cooperazione e di un tale esito, la liberazione del conduttore dalla prestazione cui e’ obbligato puo’ aversi non solo con la costituzione in mora del creditore, ma anche, e di necessita’, con la nomina del sequestratario ai sensi dell’articolo 1216, secondo comma, cod. civ., al quale venga consegnata la “cosa dovuta” (cfr. Cass., 7 aprile 1970, n. 958; Cass., 30 marzo 1977, n. 1218; in analoga prospettiva, Cass., 27 aprile 2004, n. 7982), alla stregua di un complessivo procedimento i cui esiti sono soggetti, pur sempre, alla convalida giudiziale.
Del resto, mentre l’offerta reale non formale (articolo 1220 c.c.) non libera il debitore dall’eseguire la propria prestazione, ma unicamente dagli effetti del ritardo nel suo adempimento (e, dunque, delle conseguenze risolutorie e risarcitorie connesse all’inadempimento), la stessa offerta reale formale (articoli 1208, 1209 e 1216 c.c.) e’ istituto giuridico volto, di per se’, a provocare soltanto la mora accipiendi ed i relativi effetti indicati dall’articolo 1207 c.c. (tra cui, quello, di peculiare rilievo, dell’immediato trasferimento del rischio in capo al creditore della impossibilita’ sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile), ma non gia’ a liberare immediatamente il debitore dall’obbligo di adempiere all’obbligazione (cfr., piu’ in generale, Cass., 16 gennaio 1969, n. 84), tanto che l’articolo 1207 c.c., comma 3, impone ancora al debitore di custodire e conservare la “cosa” (salvo esonerarlo dalle relative spese), mentre il momento che segna la liberazione del debitore e’ proprio quello di consegna dell’immobile al sequestratario (per la fattispecie che interessa in questa sede), come espressamente stabilito dall’ultimo periodo del citato articolo 1216, comma 2.
Ove, invece, rilevi il nesso di interdipendenza tra l’obbligazione di corresponsione dell’indennita’ di avviamento e quella di restituzione dell’immobile locato, allora – come in precedenza evidenziato il conduttore, che intenda ottenere il pagamento dell’indennita’, deve provocare la mora del locatore, attivando, quindi, il meccanismo dell’offerta reale formale, ai sensi della gia’ citata disciplina dettata dall’articolo 1206 c.c. e ss., e, segnatamente (trattandosi di bene immobile), di quella recata dagli articoli 1216 e 1209 cod. civ., potendo altresi’ (ove il locatore non accetti l’offerta e non entri, altrimenti, nella disponibilita’ del bene) addivenire alla liberazione dalla propria obbligazione restitutoria (e con essa al pagamento dei canoni) in forza di quanto disposto dal piu’ volte citato articolo 1216, comma 2.
Ulteriore questione e’ se, nell’ipotesi (come quella in esame) di interdipendenza tra le anzidette prestazioni, l’offerta formale di restituzione dell’immobile possa essere, o meno, “condizionata” al pagamento dell’indennita’ di avviamento.
Sebbene si registri in senso contrario a detto “condizionamento” l’affermazione di Cass., 25 marzo 2010, n. 7179, sorretta esclusivamente dal richiamo alla sentenza n. 1177 del 2000 delle Sezioni Unite, proprio quest’ultima pronuncia – sia pure anch’essa senza specifico sviluppo argomentativo (non essendo la peculiare questione direttamente implicata dal thema decidendum allora oggetto di scrutinio) – ha evidenziato (come gia’ messo in rilievo) che il conduttore, ai fine di ottenere il pagamento dell’indennita’ di avviamento, deve offrire la riconsegna dell’immobile “ovvero puo’ offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l’indennita’” e cio’ “perche’ se il debitore di una prestazione la deve a condizione che l’altra esegua in suo favore una prestazione cui ha diritto, il debitore della prima puo’ condizionare la propria offerta all’esecuzione di quella del proprio debitore”.
A tale ultimo enunciato il Collegio intende dare continuita’.
Giova osservare, in un’ottica piu’ ampia, che, sulla possibilita’, o meno, di “condizionare” l’offerta formale all’adempimento di una controprestazione, la contraria opinione, che trova consensi soprattutto in dottrina, si sostanzia – in assenza di un divieto espresso posto dalla disciplina codicistica di riferimento (articoli 1206 e ss. cod. civ.) – nella tesi secondo cui, nel caso di contratti a prestazioni corrispettive, le esigenze di tutela del debitore/creditore troverebbero soddisfazione con l’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 1460 c.c., la’ dove, invece, nel consentire il “condizionamento dell’offerta reale formale all’adempimento della controprestazione, si verrebbe ad attribuire al creditore di quest’ultima un quid pluris rispetto agli effetti della mora credendi, ossia quella stessa controprestazione che, comunque, potrebbe essere adempiuta, anche se in ritardo. In altri termini, il debitore conseguirebbe un risultato che va al di la’ del proprio adempimento.
Occorre, pero’, osservare che, nell’ambito dello stesso orientamento propendente per la soluzione che esclude la facolta’ del debitore di “condizionare” l’offerta reale formale, una siffatta opzione si ritiene, comunque, configurabile e giustificata (in riferimento, per l’appunto, a situazioni di corrispettivita’ delle prestazioni, la’ dove, altrimenti, la giustificazione al “condizionamento” discenderebbe solo dalla necessita’ del debitore di salvaguardare la propria persona o i propri beni) nei casi in cui si possa apprezzare un legame strumentale forte tra le due prestazioni, sicche’ le finalita’ alle quali esse si volgono non siano realizzabili indipendentemente l’una dall’altra e, dunque, una di esse abbia lo scopo di rendere possibile l’altra prestazione.
In giurisprudenza, nel caso di reciproche obbligazioni inerenti a contratti sinallagmatici, si e’ invece affermato, in tempi risalenti, ma con enunciazione di principio non smentita successivamente, che “l’offerta reale collegata alla richiesta di adempimento della controparte non puo’ essere considerata sottoposta a condizione, in quanto la pretesa di adempimento e’ ragione, non condizione dell’offerta” (Cass., 6 maggio 1966, n. 1159).
Tale ultima affermazione – in prospettica consonanza con le aperture concettuali che l’orientamento dottrinale negativo e’ incline a concedere – esalta, quindi, il nesso di interdipendenza tra le due prestazioni che trovano la loro fonte nello stesso contratto, tale da rendere determinante per ciascuna parte la prestazione dell’altra e cio’ ai fini della realizzazione della causa stessa del negozio.
Nella specie, poi, l’interdipendenza strutturale e funzionale tra la prestazione del locatore di pagare l’indennita’ di avviamento commerciale e quella del conduttore di restituire l’immobile nel quale si e’ svolta l’attivita’ imprenditoriale si atteggiano secondo legame strumentale che, alla luce della ratio legis ispiratrice della disciplina recata dalla Legge n. 392 del 1978 (da cui il contratto di locazione ad uso non abitativo trae la propria causa e cornice regolamentativa), valorizza in modo peculiare la posizione del conduttore, in una prospettiva (cfr. anche Corte cost., sent. n. 300 del 1983) che privilegia il fattore dinamico dell’esercizio dell’impresa (ex articolo 41 Cost., nei limiti posti dal comma secondo della stessa disposizione), idoneo a funzionalizzare socialmente il diritto proprietario in capo al locatore (articolo 42 Cost., comma 2).
Ottica, questa, che e’ coltivata dalla stessa sentenza n. 1177 del 2000 delle Sezioni Unite e non solo nel rammentare che la Legge n. 392 del 1978, inserisce la disciplina dell’indennita’ di avviamento (articoli 34 e 69) tra gli istituti che, nel loro complesso, sono volti ad assicurare “la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell’avviamento commerciale” (Corte cost., sent. n. 128 del 1983). Ma anche la’ dove viene messo in risalto che la funzione di detta indennita’ non si esaurisce nel ristoro del pregiudizio subito dal conduttore per la perdita dell’avviamento, ma e’ rivolta anche ad agevolare lo stesso conduttore “nella fase di impianto dell’azienda in nuovi locali, in una situazione in cui un avviamento va di nuovo suscitato”.
Posto, dunque, che la posizione creditoria del conduttore non puo’ trovare pieno soddisfacimento nell’esercizio dell’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c. (che – come gia’ evidenziato – e’ volta a legittimare il solo rifiuto di adempiere alla propria prestazione), la rilevanza del nesso di interdipendenza tra le due prestazioni in campo e la loro necessaria strumentalita’, siccome orientata (dalla volonta’ del legislatore) a privilegiare il credito d’impresa, rende compatibile, alla luce del principio di solidarieta’ di cui all’articolo 2 Cost., informatore della buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto obbligatorio (articoli 1175 e 1375 c.c.), una cooperazione debitore/creditore tale da consentire allo stesso conduttore (come affermato dalla sentenza piu’ vote richiamata delle Sezione Unite) di “offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l’indennita’”.
In tal senso, il complesso meccanismo dell’offerta formale reale, ai sensi dell’articolo 1216 c.c., commi 1 e 2, opererebbe in guisa tale da impedire la locatore di entrare nella disponibilita’ dell’immobile sino a che non adempia al pagamento dell’indennita’, la’ dove, al contempo, il conduttore, ove intenda liberarsi della propria obbligazione, dovra’ consegnare l’immobile al sequestratario nominato dal giudice. Con l’ulteriore precisazione che alla verifica della legittimita’ dei comportamenti negoziali delle parti, nell’ottica delle menzionate buona fede e correttezza, si provvedere tramite il procedimento della convalida giudiziale.
Sicche’, risulta infondata la doglianza che si incentra, e si esaurisce nella sua prospettazione, sulla asserita inconfigurabilita’ in iure di una “offerta formale condizionata”, da parte del conduttore, di restituzione dell’immobile locato ad uso commerciale al pagamento dell’indennita’ di avviamento, che la Corte territoriale ha, invece, correttamente ritenuto facolta’ praticabile.”
Ancora da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 settembre 2022| n. 26135
sul punto ha affermato che per poter contestare validamente la spettanza dell’indennita’ al conduttore, occorre che la cessazione del rapporto sia dovuta alla iniziativa del conduttore medesimo ovvero alla partecipazione del predetto ad una convenzione risolutoria (scioglimento per mutuo consenso ex articolo 1372 c.c., comma 1) (Cass. 21/11/2001, n. 14728).
Osserva il Collegio che, secondo le previsioni di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34, l’ostacolo al conseguimento dell’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale da parte del conduttore non e’ costituito da un eventuale (qualsiasi) inadempimento di quest’ultimo, bensi’ dalla “cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all’articolo 27, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267”, e dunque da un inadempimento del conduttore che sia qualificato dalla relativa gravita’ (o non scarsa importanza, secondo l’articolo 1455 c.c.) attestato da accertamento giudiziale, idoneo a giustificare la risoluzione del contratto.
Mette infine conto di ribadire che il diritto del locatore al risarcimento del maggior danno da ritardata riconsegna dell’immobile, ai sensi dell’articolo 1591 c.c., e l’adempimento dell’obbligo dello stesso locatore di pagare al conduttore l’indennita’ per la perdita dell’avviamento, costituendo elementi di un rapporto in reciproca interdipendenza tra loro (dovendo escludersi il ritardo del conduttore nella mancata restituzione dell’immobile in assenza di pagamento dell’indennita’ per la perdita dell’avviamento), una volta chiesto dal locatore il risarcimento del danno, il giudice deve verificare, anche d’ufficio, se l’attore abbia adempiuto, o offerto di adempiere, l’obbligo di pagamento dell’indennita’ di avviamento, non occorrendo a tal fine una formale eccezione del conduttore (Cass. 13/02/2014, n. 3348). Ai fini del diritto all’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale, non rileva il ritardo nella riconsegna dell’immobile dopo la scadenza del rapporto, in quanto l’obbligazione del conduttore di lasciare l’immobile e quella del locatore di corrispondere l’indennita’ di avviamento, pur dipendenti e reciprocamente esigibili, sorgono quando il rapporto e’ gia’ cessato e si collocano al di fuori del sinallagma contrattuale (Cass. 05/12/2014, n. 25736; Cass. 19/09/2019, n. 23344; Cass. 30/09/2019, n. 24221). Orbene, la protrazione della detenzione dei locali da parte della societa’ subconduttrice nel periodo intercorrente tra il termine di rilascio indicato nella disdetta e la data di effettiva riconsegna, comporta l’instaurazione tra le parti di un regime di occupazione derivato, ma distinto dal rapporto contrattuale con riguardo al quale era maturato in capo alla subconduttrice il diritto di percepire indennita’ di avviamento commerciale; con la conseguenza che il mancato pagamento di talune mensilita’ di “canone” (rectius: di corrispettivo ex articolo 1591 cit.) non integra condizione impeditiva del diritto all’indennita’ ex articolo 34 cit., quanto soltanto origina una pretesa risarcitoria in capo alla locatrice (Cass. n. 3348 del 13/02/2014; Cass. n. 4443 del 25/02/2014).
Pertanto, deve escludersi che il diritto all’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale – tenuto conto delle sue finalita’ – sia venuto meno in conseguenza delle vicende della fase occupativa successiva alla cessazione del rapporto di sublocazione per intervenuta disdetta. Questa Corte ha gia’ avuto occasione di chiarire che, pur essendo l’occupazione dell’immobile sublocato connotata da derivazione e natura contrattuale, o paracontrattuale, essa e’ “resa tipica dall’essere ormai tutta orientata ad attuare l’avvenuta estinzione del rapporto mediante la restituzione del bene. Evento, quest’ultimo, necessario e sufficiente a materializzare, con la cessazione dell’attivita’ commerciale nei locali, quel detrimento economico del conduttore che il pagamento dell’indennita’ di avviamento mira a neutralizzare”.
Atteso pertanto che l’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale muove (oltre che dalla natura dell’attivita’ esercitata dal conduttore nei locali) dal presupposto obiettivo (pacifico in causa) rappresentato dalla cessazione del rapporto di locazione non dovuta a fatto del conduttore, essa non puo’ dirsi esclusa, ex articolo 34 cit., per effetto del mancato pagamento da parte di questi di talune mensilita’ ex articolo 1591 c.c., nel corso della fase occupativa” successiva alla cessazione del contratto (Cass. 20/05/2015), n. 10261).
Per completezza va aggiunto che, ancorche’ parte ricorrente non argomenti in tal senso, non si puo’ nemmeno ritenere che la situazione di inadempimento del canone fino alla cessazione del contratto provocata dalla disdetta, si presti ad essere apprezzata come fattispecie di risoluzione del contratto, per l’assorbente ragione che l’effetto della risoluzione per inadempimento necessita di sentenza costitutiva (articolo 1453 c.c.) o di sentenza dichiarativa per le ipotesi di risoluzione di diritti, salvo che le parti non si accordino per ritenere risolto il contratto.
Per quanto riguarda il termine entro un anno di cui all’art. 34, II comma, della legge n. 392 del 1978, come stabilito da recente sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 7 luglio 2016, n. 13933
il conduttore ha diritto a percepire un’ulteriore indennità pari all’importo di quella di cui al primo comma – diciotto o ventuno mensilità a seconda del tipo di locazione in discussione – qualora l’immobile venga da chiunque adibito all’esercizio della medesima attività commerciale o ad attività affini esercitata dal conduttore uscente, “..ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente..” Tale termine annuale decorre non già dalla data della cessazione del contratto decisa giudizialmente, bensì da quella nella quale effettivamente avviene il rilascio dell’immobile. Infatti, soltanto nel momento in cui l’immobile locato torna nella reale disponibilità del locatore diventa possibile che si verifichi ciò che la legge ha inteso impedire, e cioè che il locatore stesso o chiunque altro sfrutti l’avviamento del precedente conduttore per proseguire in proprio la medesima attività. A ciò si aggiunga che la stessa espressione usata dalla legge – “..un anno dalla cessazione del precedente esercizio..” dimostra la volontà del legislatore di ancorare la previsione ad un dato di fatto
Infine, in merito agli interessi per ultima Cassazione già citata
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 25 febbraio 2014, n. 4443
gli interessi sulla somma dovuta a titolo di indennità per la perdita dell’avviamento non cominciano a decorrere finché non sia avvenuto, da parte del conduttore, il rilascio dell’immobile (da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 10962 del 06/05/2010).
Questo principio si fonda sull’assunto che le obbligazioni di pagamento dell’indennità e di rilascio dell’immobile sono in rapporto di reciproca dipendenza, sicché ciascuna delle due prestazioni è inesigibile in difetto di contemporaneo adempimento (o offerta di adempimento) dell’altra (sono parole di Sez. 3, Sentenza n. 1930 del 10/02/2003; il principio di dipendenza tra obbligo di rilascio dell’immobile ed obbligo di pagamento dell’indennità è stato affermato da Sez. U, Sentenza n. 1177 del 15/11/2000).
È ben vero che in alcune decisioni, per come massimate, si afferma che gli interessi sul’indennità di avviamento decorrono dal rilascio “o dalla diversa data in cui vi sia stata una costituzione in mora del locatore da parte del conduttore” (così Sez. 3, Sentenza n. 4272 del 15/05/1997), ma è da osservare al riguardo:
(a) che tali decisioni sono tutte anteriori all’intervento delle Sezioni Unite sopra ricordato (e cioè Sez. Un. 1177/00, cit.), nel quale si sancì l’interdipendenza tra obbligo di pagare ed obbligo di restituire;
(b) che il riferimento alla “diversa data” della costituzione in mora costituisce un mero obiter dictum nel contesto della motivazione di Cass. 4272/97, cit.;
(c) che in ogni caso “la diversa data della costituzione in mora”, quale dies a quo di decorrenza degli interessi sull’indennità per la perdita dell’avviamento, non può che essere intesa come data della mora credenti del conduttore nel riprendere possesso dell’immobile, non certo della mora debendi nel pagamento dell’indennità, posto che – per quanto detto – tale obbligo non sorge se non al momento del rilascio.
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Prelazione
[401]
Il conduttore che esercita un’attività commerciale a diretto contatto con il pubblico ha diritto di prelazione se il locatore, alla seconda scadenza, intende nuovamente locare o, quando nel vigore del contratto intenda vendere.
In questo secondo caso la prelazione da esercitarsi entro 60 giorni, ha carattere reale, con possibile riscatto, mentre nel primo caso l’esercizio deve avvenire entro 30 giorni, ma senza riscatto.
Il diritto di prelazione riconosciuto al conduttore nel caso di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile da lui condotto in locazione è disciplinato dall’art. 38 della legge n. 392/1978.
Si tratta di un diritto che opera automaticamente per effetto della semplice stipula del contratto, indipendentemente dalla volontà dei soggetti del rapporto.
Spetta solo nel caso in cui nell’immobile venga svolta un’attività primaria (le differenze in merito all’uso promiscuo o all’uso diverso già sono state affrontate in precedenza[402]) comportante contatti con gli utenti e i consumatori, a conferma della volontà del legislatore di tutelare e conservare le attività produttive e commerciali svolte a diretto contatto con il pubblico.
Art. 38 L.392/1978: nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.
Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.
Il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli.
La Cassazione, con ultimo arresto,
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 aprile 2014, n. 8264
in merito ha così statuito: il diritto di riscatto previsto dall’art. 39 della legge n. 392 del 1978, analogamente al riscatto nella materia agraria, integra un diritto potestativo che si esercita per il tramite di una dichiarazione unilaterale recettizia di carattere negoziale, attraverso la quale si determina ex lege l’acquisto della proprietà dell’immobile a favore del retraente. Tale dichiarazione può essere effettuata anche con l’atto di citazione diretto a far valere il diritto di riscatto, ed in tale seconda ipotesi la procura speciale ad litem, conferita al difensore per promuovere il relativo giudizio, non gli conferisce anche la legittimazione sostanziale per effettuare, in rappresentanza del titolare del diritto, la dichiarazione unilaterale recettizia di retratto, salvo che detta procura sia redatta in calce o a margine dell’atto di citazione, nel cui testo sia contenuta la dichiarazione di riscattare l’immobile, in quanto la parte, con la sottoscrizione della procura, fa proprio tale contenuto.
Nel caso in esame la Corte d’appello, con accertamento di fatto congruamente motivato e privo di vizi logici, e quindi non più sindacabile in sede di legittimità, ha accertato – che l’atto stragiudiziale notificato alle locatrici venditrici non era sottoscritto dalla società titolare del diritto di riscatto, bensì dagli avvocati della stessa, i quali agivano in base ad una procura ad litem e non ad negotia; ed ha pure accertato che l’atto di citazione non conteneva una nuova formale dichiarazione di voler esercitare il riscatto. Tanto basta per escludere che la comunicazione potesse avere efficacia come atto di esercizio del riscatto, provenendo da soggetto non detentore del relativo potere; e, d’altra parte, la sentenza sopra richiamata, che merita integrale conferma nella sede odierna, ammette che la procura ad litem conferita a margine dell’atto di citazione possa abilitare anche all’esercizio del riscatto, ma solo a condizione che nel testo della citazione sia contenuta la volontà di esercitare il riscatto; il che nella specie, appunto, la Corte di merito ha escluso.
Nell’ipotesi in cui l’immobile sia locato a più conduttori[403] la legge prescrive che il locatore debba dare comunicazione a tutti loro, i quali possono esercitare la prelazione congiuntamente. Se uno di essi vi rinuncia, la prelazione può essere esercitata dai rimanenti o dal rimanente conduttore. Ognuno deve comunque comunicare agli altri, entro trenta giorni dal ricevimento della missiva del locatore, la propria intenzione di avvalersi della prelazione, altrimenti viene considerato rinunciatario.
Ove il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.
In un caso specifico, la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 17 giugno 2016, n. 12536
ha avuto modo di affermare che laddove il locatore comunichi al conduttore una concreta offerta di acquisto dell’immobile locato ricevuta da terzi, invitandolo ad esercitare o meno la prelazione ai sensi dell’art. 38 della legge n. 392 del 1978, e la comunicazione sia completa delle indicazioni relative alle condizioni contrattuali e contenga quindi tutti gli elementi necessari per la valutazione della convenienza dell’eventuale esercizio della suddetta prelazione, anche eventualmente con riguardo al solo immobile locato, questa deve essere esercitata dal conduttore nel termine previsto dalla legge a pena di decadenza, e ciò anche laddove l’offerta ricevuta dal locatore si riferisca ad una pluralità di immobili e sia condizionata all’acquisto contestuale di tutti tali immobili, laddove il conduttore ritenga comunque che la vendita abbia natura cumulativa e non escluda quindi la sua facoltà di esercizio della prelazione stessa, in tal caso eventualmente limitando tale esercizio al solo immobile locato
Ai sensi dell’art. 39, qualora il proprietario non provveda alla notificazione di cui all’articolo precedente, o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall’atto di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile, l’avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l’immobile dall’acquirente e da ogni altro successivo avente causa.
Pertanto, in altre parole, alla mancata comunicazione di esercizio del diritto di prelazione nelle forme predette, o alla cessione a terzi dell’immobile a condizioni diverse da quelle proposte, consegue il diritto di riscatto del conduttore (art. 39 della legge n. 392/1978), con la possibilità quindi per lui di sostituirsi all’acquirente dell’immobile diventandone proprietario in suo luogo, previo rimborso del prezzo da questi versato e risultante dall’atto di compravendita.
Il diritto di riscatto deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro sei mesi dall’atto della compravendita. La mancata trascrizione del contratto di vendita non è di ostacolo all’esercizio dell’azione di riscatto da parte del conduttore.
Mentre in tema di locazione di immobile adibito ad uso abitativo, nel vigore della legge del 1998, n. 431, in capo al conduttore sussiste il diritto di prelazione (e, quindi, di riscatto), nei confronti del terzo acquirente, solo nel caso in cui il locatore abbia intimato disdetta per la prima scadenza manifestando, in tale atto, a giustificazione della propria opposizione alla rinnovazione del contratto, l’intenzione di vendere a terzi l’unità immobiliare. Ne consegue che, in caso di disdetta immotivata per la predetta scadenza, il conduttore ha unicamente il diritto alla rinnovazione del contratto.
Ai fini processuali secondo recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza n. 1162 del 17 gennaio 2013
qualora il conduttore di immobile ad uso non abitativo instauri giudizio per il riconoscimento del proprio diritto di riscatto, ai sensi dell’art. 39 della legge 27 luglio 1978 n. 392, e, successivamente, il terzo acquirente agisca per il rilascio, adducendo la cessazione del rapporto locativo per fatti posteriori al sorgere di detto diritto, la prima controversia, in quanto rivolta ad ottenere una sentenza dìchiarativa che sostituisca ex tunc il titolare della prelazione al terzo acquirente, cosi privando con pari decorrenza l’uno e l’altro delle rispettive posizioni di locatario e locatore, ha carattere pregiudiziale, e, pertanto, impone la sospensione della seconda, a norma dell’art. 295 cod. proc. civ. allorquando entrambi i giudizi pendano in primo grado (e sempre che la pendenza riguardi distinti uffici giudiziari, dovendo altrimenti il coordinamento attuarsi con il meccanismo della riunione). Ove, invece, il giudizio di riscatto penda in sede di impugnazione, il potere di sospensione da parte del giudice del giudizio sulla cessazione della locazione può essere esercitato solo ai sensi del secondo comma dell’art. 337 c.p.c. Ne consegue che, ove in tal caso sia stato esercitato ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il provvedimento sospensivo è per ciò solo illegittimo.
Con ultima pronuncia la S.C.[404] ha stabilito che il diritto di prelazione e quello succedaneo di riscatto, previsto dagli artt. 38 e 39 della legge n. 392/1978, sussistono soltanto nel caso in cui il trasferimento a titolo oneroso del bene locato sia realizzato mediante una compravendita, e non anche nel caso di permuta[405], sia in forza del richiamo testuale contenuto nel citato art. 38 – ove si fa riferimento al prezzo – sia perché manca per il retraente la possibilità di offrire condizioni uguali a quelle comunicategli dal locatore[406].
Inoltre, come ripetuto in ultima pronuncia
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 ottobre 2014, n. 22234
il diritto di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della legge 27 luglio 1978 n. 392 non spetta alla parte conduttrice una volta che siano cessati gli effetti del contratto di locazione, risultando al riguardo irrilevante la sua eventuale successiva posizione di detentrice di fatto dell’immobile già oggetto della locazione (Cass. n. 27666 del 21/11/2008).
La cessione del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad attività imprenditoriale, in connessione con la cessione o locazione dell’azienda ivi esercitata, per esser opponibile al locatore, gli deve esser comunicata dal conduttore (art. 36 legge 27 luglio 1978 n. 392) — anche con modalità diverse dalla raccomandata con ricevuta di ritorno, non prescritta a pena di nullità, purché idonee a consentire la conoscenza della modifica soggettiva del rapporto — e pertanto non è efficace nei confronti del locatore la cessione comunicatagli da un altro soggetto, sia pur esso il difensore del conduttore, nel giudizio pendente nei confronti del medesimo[407].
Infine, sono nulle tutte le clausole dirette a escludere il diritto del conduttore alla prelazione o al riscatto, ovvero ne prevedano la possibilità d’esercizio entro un ambito più ristretto di quello tracciato dalla norma.
Le deroghe
Abbiamo visto e si ripete nuovamente che le disposizioni degli artt. 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392 integrano una limitazione del potere dispositivo del proprietario-locatore espressamente subordinata al presupposto dell’identità dell’immobile locato con quello oggetto di trasferimento.
Pertanto, qualora il locatore progetti od attui la vendita in blocco e per un prezzo globale dell’intero stabile in cui si trovi, come porzione distinta dalle altre, l’immobile locato e qualora, inoltre, tale contratto si presenti come un negozio unitario e non frazionabile in distinti trasferimenti delle singole porzioni del fabbricato, deve negarsi l’applicazione delle norme citate e, conseguentemente, deve disconoscersi la possibilità del conduttore di impedire o caducare la vendita dell’intero stabile a terzi, tanto in via parziale, mediante un suo subentro nell’acquisto della porzione locata, quanto in via totale, mediante l’acquisto dell’intero complesso[408].
Ciò ha portato recentemente a ritenere l’inapplicabilità della prelazione in favore del conduttore (sia sull’unità immobiliare oggetto della locazione e sia sull’intero compendio compravenduto) non soltanto nelle ipotesi di vendita in blocco dell’intero edificio nel quale sia compresa l’unità immobiliare locata, ma anche nel caso di vendita di beni astrattamente suscettibili di alienazione separata e tuttavia considerati dalle parti del contratto di compravendita come un unico bene dotato di una propria identità funzionale e strutturale[409]
Ad esempio l’acquisto di più unità immobiliari con la ferma intenzione di utilizzarli in modo tale da rendersi indispensabile il loro accorpamento per realizzare una grossa struttura di vendita.
Diverso è, invece, il caso della vendita cumulativa di più unità immobiliari (tra cui logicamente quella locata) site nel medesimo edificio, ciascuna però dotata di una propria autonomia e trasferite con un unico atto.
Al fine di stabilire se debba essere riconosciuto al conduttore il diritto di prelazione (e di riscatto) per l’unità immobiliare a lui locata e ricompresa nella vendita occorre accertare se l’oggetto del contratto sia un unico complesso immobiliare dotato di una propria individualità giuridico-strutturale o se invece contenga tanti atti di disposizione per quanti sono gli immobili non strutturalmente omogenei e neppure funzionalmente coordinati.
Qualora, quindi, le più unità immobiliari poste in vendita, nonostante la volontà di cederle con un unico atto e con un prezzo complessivo, conservino la loro individualità e non possano considerarsi un’entità diversa rispetto al complesso unitario, il conduttore conserva il suo diritto di prelazione rispetto al bene a lui locato.
Per verificare in concreto la ricorrenza dell’uno o dell’altro tipo di vendita non sono certo necessarie particolari cognizioni tecniche tali da richiedere l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio[410].
Sul punto, secondo altra Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 settembre 2015, n. 18626
in tema di locazione, i diritti di prelazione e di riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della legge n. 392 del 1978 non sussistono in favore del conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione qualora l’alienazione a terzi riguardi, alternativamente, o l’intero edificio nel quale si trova l’immobile locato o una parte dello stabile medesimo costituente un complesso unitario, con individualità propria diversa da quella della singola unità locata (cosiddetta vendita in blocco), mentre tali diritti sussistono in presenza della vendita a terzi di più unità immobiliari, ancorché, per ipotesi, nello stesso corpo di fabbrica, ma non strutturalmente omogenee né funzionalmente coordinate (cosiddetta vendita cumulativa)
Infine, anche la cessione di quote della società proprietaria dei locali, al pari della fusione per incorporazione di questa in altra società, non è assimilabile al trasferimento a titolo oneroso dell’immobile locato; infatti, la cessione della quota sociale non attribuisce al socio subentrato la proprietà di una porzione dei beni della società, ma una quota del relativo patrimonio comprensivo delle passività, dei crediti, dei rischi, nonché dei poteri di indirizzo di gestione dei programmi societari con le relative aspettative.
L’immobile continua, quindi, ad appartenere alla società e non essendo intervenuta alcuna alienazione a titolo oneroso del bene oggetto della locazione, non è ipotizzabile l’esercizio della prelazione e l’eventuale riscatto da parte del conduttore, né nei confronti della società, che non ha mai dismesso il bene locato, e né verso i soci subentrati, che non sono mai divenuti proprietari del singolo cespite.
Anche se sul punto nella sostanza tale possibilità potrebbe in realtà essere un ottimo strumento simulatorio.
Difatti, al contrario, può ritenersi sussistere il diritto di prelazione nel caso in cui il patrimonio della società, le cui quote sono trasferite nella totalità a un unico soggetto, sia costituito unicamente dall’immobile locato, ravvisandosi in ciò una evidente operazione negoziale simulatoria volta a escluderne l’esercizio al conduttore.
Come del resto anche il conferimento dell’immobile (appunto attraverso una vendita) nel patrimonio societario potrebbe determinare il diritto di prelazione.
Ma in realtà come da ultima pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 21 marzo 2016, n. 5507
il conferimento nel capitale di una società, per effetto della sottoscrizione di aumento del capitale, della proprietà di un immobile oggetto di dismissione del patrimonio degli enti previdenziali pubblici, dietro la cessione di una partecipazione azionaria in favore del conferente non è riconducibile alla fattispecie della vendita, quale tipo contrattuale propriamente legittimante la configurazione del delitto di prelazione a vantaggio del titolare del contratto di locazione del medesimo immobile. (Principio già espresso da Cass. 710/14).
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Successione ex art. 6
In caso di morte del conduttore gli succedono nel contratto coloro che, per successione o per precedente rapporto avente data certa, hanno diritto a continuare all’attività.
Inoltre, in forza di ultimo principio stabilito dalla S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 febbraio 2013 n. 3548
l’articolo 6, primo comma, della legge n. 392 del 1978 trova applicazione anche qualora l’evento morte riguardi un soggetto che sia in precedenza subentrato ai sensi della stessa norma nella posizione di conduttore al conduttore originario, dovendosi escludere che la norma possa operare solo con riguardo alla successione nella posizione di quest’ultimo
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Sublocazione e cessione
ll conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto anche senza il consenso del locatore purché venga insieme locata o ceduta l’azienda.
Circa la disciplina delle locazioni immobiliari non abitative sì come dettata dalle legge 392 del 1978 può ancora ricordarsi la disposizione contenuta nell’art. 36, ai sensi del quale il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte.
In tal caso, precisa il comma 2, le indennità previste dall’articolo 34 sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione.
L’art. 36 L.392/1978 deroga all’art. 1594 c.c. (e all’art. 1406 c.c.), ai sensi del quale il conduttore non può cedere il contratto senza il consenso del locatore[411].
Sul punto è tornata nuovamente la S.C.
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 30 ottobre 2014, n. 23087
la quale ha affermato il seguente principio:
nel caso di affitto di azienda, comprendente un immobile goduto in forza di un contratto di locazione, la sostituzione di un terzo nel rapporto giuridico preesistente di locazione non si verifica automaticamente ma come effetto o di un negozio separato fra cedente e cessionario dell’azienda ex art. 36 della legge n. 392/1978 o per effetto della presunzione posta dall’art. 2558 in base alla quale può ritenersi intervenuta, fino a prova contraria, una cessione del contratto di locazione se il locatore abbia accettato, direttamente in suo favore, il pagamento, da parte del cessionario dell’azienda, del canone di locazione.
Dopo ampia attività esegetica la Cassazione ha riproposto i precedenti in materia della stessa Corte, infatti, si legge in sentenza che è potuto riscontrare un diverso orientamento nelle decisioni che hanno ritenuto la presunzione di cessione del contratto di locazione e le decisioni che l’hanno esclusa.
In particolare secondo le pronunce della III sezione civile della Corte n. 4790 del 13 maggio 1998 e n. 2491 del 30 gennaio 2009 nel caso di affitto di azienda comprendente un immobile goduto in forza di un contratto di locazione, la ricorrenza di una cessione di tale contratto, anziché di una sublocazione, va presunta, fino a prova contraria, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2558 cod. civ. e, comunque, è evincibile dalla circostanza che il locatore abbia accettato il pagamento del canone direttamente in suo favore, cosi aderendo alla costituzione del rapporto con l’affittuario dell’azienda.
Secondo, invece, le pronunce della II sezione civile della Corte n. 1133 del 2 febbraio 2000, e quelle della III sezione civile nn. 5237 del 3 aprile 2003 e 25219 del 1 dicembre 2009 la successione del cessionario e dell’affittuario dell’azienda nel contratto di locazione dell’immobile, ove viene svolta l’attività aziendale, non è un effetto automatico del trasferimento dell’azienda riconducibile alle disposizioni degli artt. 2558 cod. civ. e 36 della legge n. 392/1978 in quanto le norme suddette consentono, ma non impongono, rispettivamente all’acquirente dell’azienda di subentrare nei contratti stipulati per l’esercizio di essa, sempreché non sia pattuito diversamente, nonché al venditore dell’azienda, quale conduttore dell’immobile in cui la stessa si esercita, di sublocare l’immobile o di cedere il contratto di locazione senza il consenso del locatore e pertanto la successione è soltanto eventuale e richiede comunque la conclusione, tra cedente e cessionario dell’azienda, di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione, senza necessità, in tale seconda ipotesi, del consenso del locatore, in deroga all’art. 1594 cod. civ., ma salva comunque la facoltà di quest’ultimo di proporre opposizione per gravi motivi, entro trenta giorni dalla avvenuta comunicazione della cessione del contratto di locazione insieme all’azienda, proveniente dal conduttore.
La pronuncia della III sezione n. 7686 del 21 marzo 2008 sembra ricomporre tale diversità di orientamenti. Infatti secondo la citata sentenza, in caso di affitto di azienda relativo ad attività svolta in un immobile condotto in locazione non si produce l’automatica successione nel contratto di locazione dell’immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell’azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede, comunque, la conclusione di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione, contratto quest’ultimo che può presumersi fino a prova contraria, alla stregua dei principi di cui all’art. 2558, terzo comma, cod. civ..
La pronuncia testé riportata trova conferma nella più recente sentenza della III sezione civile n. 4986 del 28 febbraio 2013 secondo cui, in ipotesi di cessione del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 36 della legge 27 luglio 1978, n. 392, quale effetto di apposito negozio, separato o contestuale alla cessione azienda, o quale automatica conseguenza del principio di cui all’art. 2558 cod. civ., si verifica la sostituzione di un terzo nel rapporto giuridico preesistente fra cedente e ceduto.
Tale interpretazione appare idonea a risolvere l’apparente incompatibilità delle disposizioni di cui all’art. 36 della legge n. 392/1978 e di cui all’art. 2558 c.c. consentendo alle parti del contratto di affitto o cessione di azienda di realizzare, con una negoziazione ad hoc, il subentro nella locazione anche senza il consenso del locatore ma non esclude l’operatività della presunzione di cui all’art. 2558 c.c. salvaguardando però la tutela della effettiva volontà non solo del locatore dell’immobile ma anche del cessionario dell’azienda.
In base a tali ultime pronunce si è affermato il principio menzionato.
Mentre per gli immobili destinati ad uso abitativo la disciplina della sublocazione è stata innovata per effetto dell’art. 2 della legge 27 luglio 1978, n. 392 — il quale vieta, salvo patto contrario, la sublocazione dell’immobile, limitando, in difetto di accordo delle parti, la facoltà di sublocare del conduttore, sempre salvo patto contrario, all’ipotesi di sublocazione parziale, previa comunicazione al locatore — per gli immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione l’art. 36 della legge stessa ha sostanzialmente lasciata immutata la disciplina della sublocazione e della cessione dettata dall’art. 1594 cod. civ., a norma del quale il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore. Ne consegue che il giudice di merito, chiamato a dichiarare la risoluzione del contratto di locazione d’immobile adibito ad uso diverso da quello locativo, per inadempimento consistente nell’avvenuta sublocazione dello stesso, non può limitarsi a ritenere che la sublocazione realizzi di per sé un inadempimento, bensì ha il dovere di preliminarmente accertare se tra le parti sia stato pattuito un divieto di sublocazione e, solo in caso positivo, verificare la sussistenza di un inadempimento idoneo a provocare la risoluzione del contratto[412].
Si è precisato[413] che la successione nel contratto – disciplinata dall’art. 36 legge n. 392/1978 – non discende automaticamente dal negozio di cessione o di affitto di azienda quale suo effetto necessario, essendo tale successione solo eventuale e, comunque, subordinata alla conclusione, tra cedente e cessionario, di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto; per tale cessione, in deroga all’art. 1594, comma 1, cod. civ., non è richiesto il consenso del locatore, il quale vi si può soltanto opporre, per gravi motivi, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’avvenuta cessione del contratto di locazione insieme all’azienda[414].
Il citato art. 36 disciplina nello stesso modo il caso della sublocazione dell’immobile e quello della cessione del contratto di locazione stabilendo che il conduttore può, senza il consenso del locatore, sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione purché venga, insieme, ceduta o locata l’azienda o parte di essa; conseguentemente detta possibilità deve essere negata nello specifico caso di mera alienazione di singoli beni privi degli indicati requisiti, nella quale ipotesi è necessario il consenso del locatore[415].
In tema di sublocazione presuntiva la S.C.[416] di recentemente ha stabilito i seguenti principi (vedi anche pag. 108, par.fo 8):
1. Se la ospitalità – anche non temporanea e protratta nel tempo – di un soggetto nell’appartamento in locazione non concreta ipotesi di presunzione di sublocazione e se da essa neppure è dato presumere una detenzione autonoma dell’immobile locato derivante da un concesso comodato, devesi necessariamente ritenere che la semplice durata di tale permanenza, in assenza di altre circostanze, non possa essere assunta ad indizio grave e determinante idoneo a provare che il conduttore abbia accordato agli ospiti i diritti propri del comodatario.
2. E’ nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia.
3. La legge 17 luglio 1978, n. 392, che, all’articolo 2 detta nuove disposizioni sulla sublocazione, ha implicitamente abrogato, ai sensi dell’art. 84 della medesima legge, le precedenti norme in materia degli artt. 20, 23 e 24 della legge 23 maggio 1950, n. 253, ma non anche l’art, 21, che, prevedendo la presunzione di sublocazione nei casi in cui l’immobile sia occupato da persone che non sono al servizio o ospiti del conduttore né a questo legate da vincoli di parentela o affinità entro il quarto grado, determina solo una inversione dell’onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà di prova della sublocazione, non essendo tale norma incompatibile con la nuova disciplina in materia di sublocazione stabilita dalla legge n. 392 del 1978, ancorché in questa legge analoga presunzione è prevista, dall’art. 59 n. 7, solo ai fini dell’azione di recesso dai rapporti di locazione in regime transitorio, atteso che la ratio della detta norma, che è quella di agevolare la posizione del locatore, senza essere strumentale alla disciplina specifica dei soli contratti in regime transitorio, è comune ai contratti soggetti al regime ordinario.
In caso di cessione del contratto di locazione ai sensi dell’art. 36 della legge n. 392 del 1978, qualora il locatore non abbia liberato il cedente, tra quest’ultimo e il cessionario, divenuto successivo conduttore dell’immobile, viene ad instaurarsi un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzato dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di agire nei confronti del cedente per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti al suddetto contratto (ivi comprese quelle riguardanti le pretese risarcitorie connesse alla perdita o al deterioramento del bene locato, di cui all’art. 1588 cod. civ.), solo dopo che si sia venuto a configurare l’inadempimento del nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora[417].
17) Le azioni a tutela
A) Il rito speciale delle locazioni
Ai sensi del primo comma dell’art. 447-bis del Codice di Procedura Civile, le controversie in materia di locazione (e di comodato) di immobili urbani (nonché quelle di affitto di aziende[418]) sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441 in quanto applicabili; ossia dalle norme, contenute nel titolo IV del secondo libro del c.p.c., dettate per la disciplina delle controversie di lavoro.
Giudice competente è il Tribunale (in composizione monocratica) del luogo dove è posto l’immobile (artt. 9, 21, 50-ter c.p.c.).
Sono nulle le clausole di deroga alla competenza (art. 447-bis, comma 2, c.p.c.).
La domanda si propone con ricorso: art. 414.
Il ricorso, che tra l’altro deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda (con relative conclusioni) e, a pena di decadenza, l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi, deve essere depositato nella cancelleria del giudice insieme ai documenti in esso indicati.
Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente (art. 415, comma 2).
Il ricorrente deve notificare ricorso e decreto di fissazione dell’udienza al convenuto entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto e in ogni caso tra la data di notifica del ricorso e l’udienza di discussione debbono intercorrere trenta giorni (artt. 415, comma 4, e 417, comma 4).
Il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio (art. 416 c.p.c.); nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e in particolare i documenti che deve contestualmente depositare. (art. 416 cit., comma 2).
Ai sensi dell’art. 420, comma 1, seconda parte, Cod. proc. civ., durante l’udienza di discussione le parti possono modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice.
Il processo locatizio potrebbe esaurirsi in un’unica udienza (art. 420), laddove non vi siano prove da assumere o queste possano essere assunte nel corso della stessa udienza di discussione. In ogni caso, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 420, le udienze di mero rinvio sono vietate.
Le parti sono tenute a comparire personalmente; la mancata comparizione personale delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione (art. 420, comma 1; anche il comma 2 sulla rappresentanza).
Il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite.
Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo (art. 420, comma 3).
Il giudice può disporre d’ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti (art. 447-bis, comma 3).
Il giudice, in ogni stato del giudizio, può disporre con ordinanza – titolo esecutivo – il pagamento delle somme non contestate (art. 423, commi 1 e 3 c.p.c.).
In ogni caso, già ai sensi dell’art. 45, ultimo comma, legge 392/1978, fino al termine del giudizio il conduttore è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato.
Raccolte le prove, il giudice invita le parti alla discussione orale, al termine della quale le stesse precisano le loro conclusioni.
Subito dopo la discussione orale il giudice pronuncia la sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo. (Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza: art. 429, commi 1 e 2).
La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia e il cancelliere deve darne immediata comunicazione alle parti (art. 430).
Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive.
All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza.
Il giudice d’appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’efficacia esecutiva o l’esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all’altra parte gravissimo danno (art. 447-bis, ultimo comma, c.p.c.). In tal caso l’appello può essere proposto con riserva dei motivi, i quali dovranno essere presentati entro i termini per appellare.
L’appello si propone con ricorso davanti alla Corte d’Appello territorialmente competente (art. 433) entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza (art. 434), ovvero entro 6 mesi dalla sua pubblicazione, cioè dal deposito in cancelleria, se non notificata.
Il ricorso deve contenere, tra l’altro, l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, e deve essere notificato all’altra parte (appellato) insieme con il decreto col quale il Presidente della Corte d’Appello ha fissato l’udienza di discussione (udienza che deve tenersi non oltre sessanta giorni dalla data di deposito del ricorso ex art. 435 c.p.c.).
Sono inappellabili le sentenze che abbiano deciso una controversia di valore non superiore a euro 25,82 (art. 440), impugnabili tuttavia in Cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., ovvero contro le sentenze è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.
L’appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese (art. 436 c.p.c.).
Se propone appello incidentale, l’appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l’impugnazione. L’appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell’appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima della udienza di discussione.
Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni.
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa.
E’ salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa (art. 437, comma 2, c.p.c.).
Nell’udienza di discussione il giudice incaricato fa la relazione orale della causa.
Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza. La sentenza deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia (artt.437 e 438 c.p.c.).
Il ricorso per cassazione è disciplinato in via generale dagli artt. 360-394 c.p.c.
Il rito speciale, atteso il richiamo di cui agli artt. 400 e 406 c.p.c., trova applicazione anche per lo svolgimento dei giudizi di revocazione e di opposizione di terzo.
Per ultima pronuncia di merito[419] per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 1 cod. proc. civ., non è sufficiente la sola violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., né sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un’attività intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del procedimento (Nella specie, relativa a convalida di sfratto per morosità, si è escluso che integrasse dolo revocatorio la condotta del difensore della locatrice, il quale aveva correttamente attestato la persistenza della morosità del conduttore, sussistendo, al momento della udienza fissata per la convalida, il presupposto del mancato pagamento dei canoni scaduti specificatamente indicati nell’atto di intimazione, e piuttosto lamentando il conduttore l’esistenza di un pactum de non petendo, ovvero di un fatto impeditivo o modificativo dell’obbligo di pagamento non utilmente però dedotto nel procedimento di convalida).
B) Il procedimento per convalida di sfratto
Gli articoli 657-669 del Codice di procedura civile, nell’ambito della disciplina dei procedimenti sommari, trattano del “procedimento per convalida di sfratto”, ossia di un processo che consente al locatore di ottenere celermente dal giudice una ordinanza costituente titolo esecutivo.
Il requisito della sommarietà non è riferibile alla superficialità della cognizione, bensì al meccanismo connesso all’acquiescenza (il riferimento è all’ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c.), o all’incompletezza della cognizione (in ipotesi di ordinanza di rilascio con riserva, ex art. 665 c.p.c.).
Tali articoli disciplinano:
1) la licenza per finita locazione, che si intima al conduttore prima della scadenza del contratto al fine di ottenere un titolo esecutivo da utilizzare nel caso in cui, scaduto il contratto, il conduttore non intenda rilasciare l’immobile (Negata la convalida della licenza per finita locazione, in ragione dell’erronea indicazione – nell’intimazione – della data di cessazione del rapporto, ben può nondimeno il giudice, apertasi la fase del giudizio di merito e corretto l’errore da parte del locatore, condannare il conduttore a rilasciare l’immobile in una data futura anche quando la scadenza della locazione non si verifichi nel corso del giudizio[420]);
2) lo sfratto, che si intima una volta scaduto il contratto senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile;
3) lo sfratto per morosità, che si intima nei casi di mancato pagamento dei canoni alle scadenze stabilite.
In altre parole il procedimento speciale è utilizzabile in tre ipotesi:
a) quello della licenza per finita locazione (art. 657, comma 1), in cui il rapporto è ancora in corso e il locatore vuole precostituirsi un titolo esecutivo per quando sarà venuto a scadenza il titolo, in modo da rendere sicuro il rilascio;
b) quello dello sfratto per finita locazione (art. 657, comma 2), in cui il locatore agisce dopo la scadenza del contratto puntando a ottenere un titolo esecutivo per il rilascio (sempre che il contratto non si debba considerare tacitamente rinnovato);
c) quello dello sfratto per morosità (art. 658), in cui il locatore agisce contro il conduttore che ha omesso il pagamento del canone alle scadenze pattuite, e di cui ci occuperemo.
Il procedimento inizia quindi con l’intimazione del locatore da notificarsi al conduttore con contestuale citazione per la convalida dinanzi al Tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata (giudice competente ex art. 661 c.p.c.).
La competenza è inderogabilmente radicata presso il tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata (art. 661).
La citazione introduttiva presenta notevoli particolarità rispetto a quella del rito ordinario, anzitutto perché mostra un contenuto complesso, in parte sostanziale e in parte processuale[421].
Con riguardo alla legittimazione attiva va precisato che non occorre la proprietà del bene, ma solo la sua disponibilità[422] che derivi da un titolo idoneo a trasferire al conduttore la detenzione e il godimento[423].
Come riportato in ultima sentenza
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 luglio 2014, n. 15788
la Corte ha avuto piu’ volte modo di affermare la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarita’ del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarita’ del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento.
Da essa va tenuta distinta la titolarita’ della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non e’ consentito alcun esame d’ufficio, poiche’ la contestazione della titolarita’ del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata.
Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneita’ al rapporto sostanziale controverso (cfr. Cass., 30/5/2008, n. 14468).
Deve per altro verso ribadirsi il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ in base al quale chiunque abbia la disponibilita’ di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme d’ordine pubblico, puo’ validamente concederla in locazione, comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed e’ conseguentemente legittimato a richiederne la risoluzione, nell’ipotesi in cui sussista l’inadempimento del conduttore (v. Cass., 4/3/2005, n. 4764).
In ipotesi di più locatori[424], ciascuno può agire autonomamente in giudizio, salvo opposizione degli altri comproprietari: qualora questi ultimi siano in possesso di quota maggioritaria, devono costituirsi in giudizio onde opporsi all’azione[425] .
Sotto il profilo processuale, la citazione deve contenere, in luogo dell’invito e dell’avvertimento al convenuto di cui all’art. 163, comma 3, n. 7, l’invito all’intimato a comparire e l’avvertimento che la mancata comparizione o anche solo la mancata opposizione comportano la convalida dello sfratto.
Autonomi termini di comparizione sono poi previsti dal comma 4 dell’art. 660 (tra il giorno della notificazione e quello della udienza debbono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni, anche se nelle cause che richiedono pronta spedizione al giudice è consentita, su istanza dell’intimante, l’abbreviazione fino alla metà).
Le parti hanno facoltà di costituirsi con la duplice modalità del deposito in cancelleria (dell’intimazione corredata dalla relazione di notifica per l’intimante, o della comparsa di risposta per l’intimato) o della presentazione degli atti direttamente all’udienza: così il quinto comma dell’art. 660.
Ai fini dell’opposizione e del compimento delle attività previste dagli articoli 663-666, è sufficiente la comparizione personale dell’intimato.
L’intimato che sia comparso difendendosi personalmente, in conformità del disposto del comma 6 dell’art. 660, dovrà ugualmente considerarsi costituito personalmente ai fini della pronuncia dei provvedimenti contemplati dagli artt. 663-666 e della stessa ordinanza ex art. 667, con l’effetto che nei suoi confronti sarà applicabile l’art. 170, comma 3 cod. proc. civ., mentre, una volta che sarà intervenuto il mutamento del rito per il prosieguo del giudizio ai sensi dell’art. 447- bis cod. proc. civ., la costituzione così intervenuta non potrà sortire ulteriore efficacia e sarà necessario che lo stesso formalizzi una nuova costituzione con l’assistenza di difensore (al quale deve conferire mandato), attraverso il deposito di apposita memoria, così come previsto dall’art. 416 del codice di rito.
In tema di proponibilità della domanda riconvenzionale nel procedimento sommario di sfratto vanno registrate opinioni divergenti.
In dottrina taluni hanno sostenuto con vigore la preclusione alle riconvenzionali.
In giurisprudenza, al contrario, si è specificato che, nel procedimento sommario di sfratto, la domanda riconvenzionale può essere proposta dall’atto di opposizione alla convalida.
In dettaglio, è stato sostenuto di recente[426] che in sede di procedimento per convalida di sfratto per morosità, laddove l’intimato contesti il fondamento dell’intimazione stessa e proponga domanda riconvenzionale, pur avendo adempiuto tempestivamente al pagamento a seguito di concessione del termine di grazia, l’opposizione determina la conclusione del procedimento sommario e l’instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, nel quale il giudice dovrà valutare tutte le domande, eccezioni e contestazioni, rispettando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
In precedenza, sempre la medesima Corte[427] aveva statuito che, nel giudizio conseguente all’instaurazione del procedimento per convalida la domanda riconvenzionale del convenuto (si aggiunge così come l’istanza di autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo) non deve essere necessariamente proposta con la comparsa di risposta prevista dall’art. 660, comma 5 cod. proc. civ., ma può essere legittimamente formulata anche (e, comunque, non oltre, pena l’inammissibilità) nella memoria presentata nel termine perentorio fissato con l’ordinanza prevista dall’art. 426 cod. proc. civ., richiamato dall’art. 667 dello stesso codice di rito.
L’intimazione perde invece efficacia se all’udienza fissata nell’atto di citazione il locatore non compare (art. 662 c.p.c.).
Se all’udienza non compare l’intimato o comparendo non si oppone il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva (art. 663 c.p.c.). La formula esecutiva ha effetto dopo 30 giorni dalla data della opposizione nel caso che l’intimato non sia comparso.
La mancata comparizione o la mancata opposizione dell’intimato comparso esimono il giudice dall’indagine sui fatti dedotti dall’intimante a fondamento della domanda ma non dall’accertamento della sussistenza di condizioni e presupposti processuali dell’azione.
Il giudice, tuttavia, deve ordinare che sia rinnovata la citazione nel caso in cui risulti o appaia probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.
L’ordinamento consente tuttavia anche una strada successiva, e percorribile a iniziativa dell’intimato, per far valere queste eventualità.
L’art. 668, disciplinante l’opposizione dopo la convalida, stabilisce infatti che se la convalida è stata ottenuta senza la comparizione dell’intimato, questi può proporre opposizione, nelle forme previste dagli artt. 645 ss. in quanto applicabili, provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Lo strumento mira evidentemente a integrare eventuali lacune nella valutazione preventiva del giudice, ma non è utilizzabile se sono decorsi dieci giorni dall’esecuzione. Esso inoltre non sospende l’esecuzione, anche se il giudice può, con ordinanza non impugnabile, disporre la sospensione in presenza di gravi motivi imponendo, se del caso, una cauzione all’opponente (art. 668, u.c.).
Particolari cautele sono connesse alla procedura di notificazione, in considerazione delle conseguenze ricollegabili alla mancata comparizione dell’intimato: è esclusa la validità della notificazione al domicilio eletto, e quando la notificazione non avviene in mani proprie, l’ufficiale giudiziario deve avvertire l’intimato della effettuata notificazione con lettera raccomandata, allegandone la ricevuta all’originale dell’atto (art. 660, comma 7, c.p.c.).
Riassumendo in prima udienza possono verificarsi diverse ipotesi:
– il locatore non compare: il processo è destinato a estinguersi ma, secondo taluni, vengono fatti salvi gli effetti sostanziali dell’atto di disdetta eventualmente contenuto nella citazione;
– l’intimato non compare: il giudice ordina la rinnovazione della notificazione della citazione se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione o la sua mancata comparizione sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore (art. 663 c.p.c., comma 1);
– l’intimato pur comparendo non si oppone: il giudice può emanare provvedimento definitivo (art. 663 c.p.c., comma 1);
– l’intimato compare e si oppone: tale contegno processuale decreta la conversione del rito speciale in procedimento ordinario, che si svolge secondo le regole del rito locatizio;
– l’intimato compare, si oppone ma non prova per iscritto le sue eccezioni: il giudice può pronunciare un provvedimento di cognizione sommaria.
– Mentre in caso di mancata comparizione del locatore
per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19425
nel caso di declaratoria di estinzione del procedimento di convalida, a seguito di applicazione dell’articolo 662 c.p.c. – e, dunque, per mancata comparizione del locatore intimante all’udienza fissata nell’atto di citazione e in assenza di istanza del conduttore intimato, comparso a detta udienza, che si proceda, previo mutamento del rito, all’accertamento negativo del diritto azionato – non puo’ il locatore-intimante essere condannato al pagamento delle spese di procedimento, ma queste vanno poste a carico delle parti che le hanno anticipate, in applicazione analogica dell’articolo 310 c.p.c.
Nell’ipotesi in cui l’intimato compaia all’udienza e si opponga alla convalida
Anzitutto il giudice non è tenuto al controllo della regolarità della notifica, problema superato proprio dalla comparizione dell’intimato.
Inoltre affinché la convalida possa essere resa è necessaria l’attestazione, tipica di questo solo caso di utilizzo del procedimento speciale, che la morosità persiste al momento della comparizione.
Se infatti tra la notifica della citazione e l’udienza, o addirittura all’udienza stessa il pagamento è avvenuto, al giudice è inibito il provvedimento di convalida, il Legislatore ritenendo prevalente l’interesse del conduttore moroso a mantenere il possesso dell’abitazione su quello del locatore di riottenere il bene in presenza di morosità, poi sanata.
Tale sanatoria soggiace tuttavia, per le locazioni a uso abitativo, ai limiti imposti dall’art. 55 della legge n. 392/1978: possono cioè essere pagati in udienza i canoni scaduti (e i relativi oneri accessori) solo per un massimo di tre volte nell’arco di un quadriennio. A fronte di condizioni di indigenza del conduttore il giudice può altresì fissare un termine per l’adempimento e una udienza successiva alla scadenza per la verifica, alla quale, constatato il mancato (o incompleto o ritardato) pagamento, convalida lo sfratto.
La legge in questione è applicabile solo alle locazioni a uso abitativo[428].
Sul punto, da ultimo la Corte delle Leggi
Corte Costituzionale, sentenza n. 79 del 24 aprile 2020.
ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 55, comma 5, della legge 27 luglio 1978, n. 392, in riferimento agli artt. 2, 3 e 111 Cost., nella parte in cui, all’esito della concessione del termine di grazia in favore del conduttore moroso nelle locazioni ad uso abitativo, dispone la convalida dello sfratto ove all’udienza di verifica si riscontri il mancato pagamento delle spese di lite, poiché il meccanismo processuale configurato per le locazioni ad uso abitativo dal citato art. 55, consentendo al conduttore in difficoltà di accedere alla speciale sanatoria in sede giudiziale entro il termine di grazia concesso dal giudice alla prima udienza, è di per sé frutto di un bilanciamento discrezionale degli interessi da parte del legislatore, allo scopo di accordare una particolare tutela al conduttore ove venga in rilievo il diritto all’abitazione, conduttore che, in mancanza di questo speciale istituto, sarebbe irrimediabilmente esposto vuoi alla convalida dell’intimazione di sfratto nel procedimento monitorio, vuoi alla risoluzione contrattuale nel rito ordinario, cosicché è del tutto ragionevole la mancata estensione di tale regime, già di carattere eccezionale, a ipotesi ulteriori.
Il pagamento è perciò ostativo alla convalida dello sfratto e, con essa, alla risoluzione del contratto. Il locatore non può dunque più ottenere questo effetto attraverso il procedimento speciale e si trova di fronte a una alternativa di fondo: accontentarsi del pagamento e lasciare che il procedimento speciale si estingua; oppure perseguire la risoluzione del contratto, ma necessariamente per le vie del giudizio ordinario. A tal uopo può chiedere la conversione del procedimento da speciale in ordinario, allo scopo di far valere, stavolta ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., la risoluzione del contratto dimostrando che l’inadempimento del conduttore riveste carattere rilevante nell’economia generale del rapporto (dimostrazione non necessaria, come si è visto, nell’ambito del procedimento speciale, ove operano i parametri di rilevanza predeterminati dall’art. 5 della legge n. 392/1978).
In tema è intervenuta nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 settembre 2014, n. 19865
riaffermando una serie di principi, ovvero:
il caso in cui l’intimato si opponga alla convalida e chieda in subordine ed ottenga il termine di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 55 ma poi non lo rispetti.
Cass. n. 19772 del 2003, infatti, ha statuito: In tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosita’, abbia richiesto in via subordinata la concessione del cd. “termine di grazia”, manifesta implicitamente una prevalente volonta’ solutoria incompatibile con quella di opporsi alla convalida, che comunque non puo’ piu’ ritenersi condizionata alla mancata proposizione dell’opposizione, secondo quanto dispone l’articolo 665 cod. proc. civ., bensi’ di mancato pagamento del dovuto nel termine – che ha carattere perentorio – all’uopo fissato giusta il disposto della Legge n. 392 del 1978, articolo 55, sicche’, al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice, consegue, l’emissione, da parte di questi, dell’ordinanza di convalida ex articolo 663 cod. proc. civ.. Infatti per effetto del mancato pagamento, il procedimento retrocede alla fase precedente all’instaurazione del subprocedimento di sanatoria e il provvedimento da emettere e’ quello di convalida, che sarebbe stato emesso se il subprocedimento non fosse stato instaurato”. Sostanzialmente nello stesso senso, successivamente, Cass. n. 24764 del 2008; si vedano anche Cass. n. 6336 del 2006; n. 5540 del 2012.
Si veda ancora, in precedenza Cass. n. 4646 del 1990, secondo cui: In tema di locazione d’immobili urbani, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per morosita’ nel pagamento del canone, pur opponendosi alla convalida per l’eccepita inesistenza della morosita’ affermata dal locatore, provveda a corrispondere i canoni dovuti e chieda termine per il pagamento delle spese processuali, previa liquidazione delle stesse da parte del giudice, dimostra con tale comportamento una volonta’ incompatibile con l’opposizione alla convalida, per cui ove egli non adempia al pagamento delle spese nel termine fissato dal giudice, questi, ai sensi dell’articolo 663 cod. proc. civ., deve pronunciare ordinanza di convalida di sfratto, senza possibilita’ di rinvio della causa per un’ulteriore trattazione del merito; detta ordinanza non e’ impugnabile ne’ con l’appello ne’ con il ricorso per Cassazione ex articolo 111 Cost., ma soltanto con l’opposizione tardiva ai sensi dell’articolo 668 cod. proc. civ., tranne nelle ipotesi in cui si sostenga che essa sia stata emessa fuori o contro le condizioni previste dalla Legge n. 392 del 1978, articoli 55 e 56 e articolo 663 cod. proc. civ., nel qual caso e’ impugnabile con l’appello e non direttamente con il ricorso per Cassazione.
Poiche’ nella specie giudicata non veniva in rilievo una richiesta di sanatoria in via subordinata, bensi’ fatta in prima battuta, sebbene con contestazione della sussistenza dei presupposti della morosita’ colpevole (dato che si era allegato di avere inutilmente tentato un’offerta reale) non e’ necessario – si continua a leggere nella sentenza – discutere se tale giurisprudenza sia condivisibile, la’ dove attribuisce alla richiesta subordinata di cd. termine di grazia, una volta accolta, una sorta di effetto di consumazione dell’opposizione proposta in via preliminare.
Invece, è stata ritenuta pertinente, fra le decisioni evocate dalla ricorrente, altra non recente sentenza che cosi’ si espresse: “Poiche’ a norma della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 55, la concessione di un termine per il pagamento dei canoni scaduti rappresenta non un obbligo ma una facolta’ discrezionale di cui il giudice puo’ avvalersi quando, non essendo stato effettuato il pagamento in udienza, sussistono comprovate condizioni di difficolta’ del conduttore, senza che la sollecitazione da parte dell’ultimato di tale facolta’ integri opposizione preclusiva della convalida, legittimamente il giudice, ove non ritenga di concedere il richiesto termine, convalida lo sfratto con provvedimento che ha natura di ordinanza non impugnabile – salva l’opposizione ex articolo 668 cod. proc. civ. – ove, oltre al requisito della mancata opposizione dell’intimato, sussista anche l’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore della persistenza della morosita’” (Cass. n. 5113 del 1989).
Sarebbe, inoltre, pertinente, ancorche’ non richiamata dalla ricorrente, la successiva Cass. n. 4031 del 1998, secondo cui “Nel procedimento di convalida di sfratto, l’ordinanza pretorile che, respingendo l’istanza del convenuto di concessione di un termine di grazia ai sensi della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 55, sul presupposto della inapplicabilita’ di detta disposizione alle locazioni non abitative, dispone la convalida dello sfratto, risolve una questione di merito di natura decisoria ed e’ pertanto impugnabile con l’appello”.
A conclusione dle proprio ragionamento il Collegio ha ritinuto che il principio da condividersi è quello di Cass. n. 4031 del 1998.
Si legge testualmente (riportato integralmente in corsivo) che “La tesi della prima sentenza – gia’ incrinata da Cass. n. 13419 del 2001, secondo cui “Il diniego del giudice di concedere al conduttore moroso il termine per il pagamento Legge n. 392 del 1978, ex articolo 55 sfugge al sindacato della Corte di Cassazione, ove sia motivato con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici” – non appare condivisibile, perche’ suppone una costruzione dell’istanza ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 55 che non e’ corretta.
In disparte il riferimento alla necessita’ che sia attestata la persistenza della morosita’, che, come s’e’ veduto, e’ in contraddizione con la comparizione dell’intimato e con la richiesta da parte sua del termine di grazia che implica di solito quella persistenza (salvo che il termine, essendosi sanata la morosita’ relativa ai canoni o agli oneri accessori, sia richiesto per interessi e spese giudiziali, come e’ possibile), si deve rilevare che non era e non e’ concepibile che l’esercizio del potere di concessione del termine di cui all’articolo 55, ancorche’ subordinato ad una valutazione del giudice, non sia controllabile in iure quanto all’incidenza del suo erroneo esercizio sulla situazione giuridica del conduttore per effetto della negazione del termine richiesto, come accadrebbe se il provvedimento adottabile dal giudice della convalida, quando non ravvisi le comprovate condizioni di difficolta’ del conduttore, dovesse essere l’ordinanza ai sensi dell’articolo 663 c.p.c. e non fosse invece necessario fare luogo alla cognizione piena, nel presupposto dell’esistenza conseguente di una opposizione del conduttore alla convalida in ragione dell’avviso del giudice. Poiche’ la negazione della concessione del termine contrasta con l’atteggiamento del conduttore intimato, il quale invece postulandola lo ha fatto proprio per evitare la convalida, e’ palese che un provvedimento del giudice di adozione dell’ordinanza di convalida in questo caso assumerebbe i caratteri di un’ordinanza di convalida pronunciata non gia’ a seguito di un atteggiamento di mancata opposizione, bensi’ a seguito di un atteggiamento di opposizione, essendo palese che, chiedendo il termine per la sanatoria il conduttore ha inteso manifestare anche ed anzi soprattutto l’intento che lo sfratto non sia convalidato, a nulla rilevando la non contestazione della morosita’, dato che i suoi effetti negativi quella richiesta intende proprio evitare.
Non si comprende, del resto, come, pur in presenza di una pacifica struttura del procedimento di tutela privilegiata che ricollega l’esigenza della cognizione piena e, quindi, preclude l’adozione del provvedimento sommario di convalida, alla semplice pur immotivata manifestazione di un’opposizione alla convalida, possa considerarsi come non oppositivo un atteggiamento che – per il tramite della richiesta di termine per la sanatoria e, quindi, della consecuzione proprio di un effetto che e’ quello di evitare la convalida – appare diretto a questo scopo attraverso una istanza intesa ad ottenere il termine e, dunque, esprime un atteggiamento significativo di una presa di posizione in senso positivo finalizzata ad impedire la convalida e non di una mera immotivata e di mero contenuto negativo opposizione ad essa, cioe’ rivolta solo ad impedire la definizione del procedimento in via sommaria.
Il provvedimento che il giudice della convalida, il quale non ravvisi le condizioni per assegnare il termine di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 55 puo’ emettere non puo’ essere allora l’ordinanza ai sensi dell’articolo 663 c.p.c., bensi’, nel presupposto che la richiesta di termine esprima comunque un’opposizione alla convalida, il provvedimento di tutela anticipatoria che la legge prevede per il carattere di forma di tutela privilegiata del procedimento di convalida, cioe’ l’ordinanza ai sensi dell’articolo 665 c.p.c., cui deve accompagnarsi l’ordinanza dispositiva della cognizione piena ai sensi dell’articolo 667 c.p.c..
Questa ricostruzione, d’altro canto, non e’ in contraddizione con l’altra per cui, se il termine viene concesso e non vi sia stata opposizione motivata da altre ragioni, come la contestazione della morosita’ o della legittimazione passiva o attiva o la deduzione della giustificazione della morosita’ per l’inadempimento del locatore e, comunque, per ragioni inerenti lo svolgimento del rapporto, ove non venga poi osservato, il giudice debba, di solito, emettere l’ordinanza di convalida. E’ sufficiente osservare che, avendo la richiesta del termine senza altre contestazioni integrato un’opposizione alla convalida per la sola sua concessione, quando il conduttore non osservi il termine, tale inosservanza rende irrilevante l’opposizione. Peraltro, la dottrina evidenzia che l’emissione dell’ordinanza di convalida non puo’ nemmeno reputarsi automatica, occorrendo distinguere alcune situazioni nelle quali comunque e’ necessaria la cognizione piena e puo’ giustificarsi solo l’emissione dell’ordinanza di rilascio ai sensi dell’articolo 665 c.p.c.: esse sono quelle in cui comunque si manifesti un’opposizione dell’intimato, il che comporterebbe l’espressione delle ragioni dell’indicato dissenso dall’orientamento di cui sopra si riferiva e che s’e’ detto non pertinente nel caso in esame: ma non e’ questa, per tale ragione, la sede per esprimerle.
Interessa, invece, ed e’ necessario affermare che, in presenza della richiesta di concessione di termine ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 55 qualora il giudice non ritenga sussistenti le condizioni per la sua ammissibilita’, o perche’ non ritenga comprovate le “condizioni di difficolta’ del conduttore” o, ancora prima, perche’ non ritenga applicabile l’istituto di cui a tale norma, come nel caso di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, si configura una situazione nella quale, determinando il contrasto fra la richiesta dell’intimato e l’avviso del giudice un oggettivo apprezzamento dell’atteggiamento del primo come opposizione alla convalida, il procedimento per convalida non puo’ definirsi con l’ordinanza di convalida, ma, sussistendo la necessita’ della cognizione piena ai sensi dell’articolo 667 c.p.c., il giudice puo’ emettere solo eventualmente l’ordinanza ai sensi dell’art 665 c.p.c. e disporre la prosecuzione del giudizio nel merito. Ne consegue che qualora invece il giudice emetta l’ordinanza di convalida, tale provvedimento risulta emesso al di fuori dei presupposti di legge e si deve considerare come una sentenza di primo grado impugnabile con l’appello”.
Ne segue che la Corte territoriale bene ritenne ammissibile l’appello, in quanto, in presenza di una istanza ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 55, il giudice della convalida, reputando (sebbene a ragione: si veda l’arresto di cui a Cass. sez. un. n. 272 del 1999) inapplicabile tale istituto alla locazione di cui e’ processo in quanto ad uso diverso da quello abitativo, avrebbe potuto emettere solo l’ordinanza ex articolo 665 c.p.c. ed avrebbe poi dovuto disporre la prosecuzione del giudizio con il rito di cui all’articolo 447-bis c.p.c. ai sensi dell’articolo 667 c.p.c..“
Infine, sulla fattispecie in esame è ritornata ancora una volta la Corte di Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 ottobre 2014, n. 21836
affermando che in tema di locazione d’immobili urbani, la stessa Corte aveva ritenuto che la speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978 fosse ammessa soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 cod. proc. civ., e non anche quando la risoluzione per inadempimento fosse stata chiesta in un ordinario giudizio di cognizione, trovando in tal caso applicazione l’art. 1453, terzo comma, cod. civ., il quale non consente al conduttore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda (cfr. Cass., Sez. I, 8 agosto 1996, n. 7302; Cass., Sez. III, 7 agosto 1996, n. 7253; 29 novembre 1994, n. 10202).
Per effetto di tale orientamento, l’applicabilità dell’istituto in esame doveva ritenersi esclusa anche nel caso in cui la domanda di risoluzione fosse stata avanzata dinanzi agli arbitri ai quali le parti avessero devoluto le controversie derivanti dal contratto di locazione, non potendo essere proposta in sede arbitrale la domanda di convalida dello sfratto, attribuita alla competenza funzionale ed inderogabile del Giudice ordinario, e restando quindi circoscritta la predetta possibilità alla sola ipotesi in cui il procedimento arbitrale fosse stato preceduto da quello di cui all’art. 658 cit.
Senonché, la Corte costituzionale, alla quale era stata rimessa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 cit., nella parte in cui non consentiva la sanatoria giudiziale della morosità nel giudizio ordinario di risoluzione, la dichiarò infondata, rilevando che il testuale riferimento di tale disposizione alla sede giudiziale ed alla prima udienza non era sufficiente a circoscriverne l’ambito applicativo al procedimento per convalida di sfratto, e ritenendo pertanto possibile un’interpretazione idonea ad escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (cfr. Corte cost., sent. n. 3 del 1999).
A seguito di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha mutato orientamento, riconoscendo l’applicabilità della sanatoria anche in caso di proposizione della domanda di risoluzione in via ordinaria (cfr. Cass., Sez. III, 18 luglio 2008, n. 19929; 24 febbraio 2000, n. 2087), con la conseguenza che la stessa deve ritenersi ammissibile anche nell’ipotesi in cui la domanda sia proposta direttamente dinanzi agli arbitri.
Nel caso di contestazione dell’intimato.
Se egli nega la propria morosità contestando l’ammontare della somma pretesa, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della parte di somma non contestata concedendo un termine non superiore a venti giorni. Al mancato pagamento consegue la convalida dello sfratto e, se richiesta, l’ingiunzione di pagamento con separato decreto ai sensi dell’art. 658.
Pronunciati questi provvedimenti, il processo continua nelle forme del rito speciale disciplinato dall’art. 447 bis (cd. rito locatizio), e punta all’accertamento del diritto ottenere (la risoluzione del contratto e dunque) il rilascio dell’immobile per inadempimento.
È bene già precisare che qualora venga intimato sfratto per finita locazione a una certa data e l’intimato si opponga deducendo la terzietà degli intimanti rispetto alla locazione dedotta in giudizio, i locatori possono con la memoria integrativa, successiva all’ordinanza ex art. 426 cod. proc. civ. (che dispone la prosecuzione del giudizio secondo le regole della cognizione piena), precisare o modificare la domanda originaria con riferimento agli elementi relativi alla titolarità del rapporto controverso[429].
Ulteriormente è stato precisato da ultimo
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 20 marzo 2020, n. 7481.
ad esempio un conduttore moroso non può utilizzare, come scusante per il mancato pagamento dei canoni d’affitto, la presunta carenza della messa a norma dell’impianto elettrico. Egli, infatti, ha la facoltà di agire di sua iniziativa e chiedere poi al proprietario il rimborso del costo dei lavori di messa in sicurezza.
La giurisprudenza più recente ritiene ormai «superata» la questione della inammissibilità di domande nuove nel giudizio ordinario che consegue alla opposizione dell’intimato avverso la convalida di sfratto[430] .
La premessa di tale conclusione argomenta come nel procedimento per convalida di sfratto l’opposizione dell’intimato ex art. 665 cod. proc. civ. determini la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un procedimento nuovo e autonomo con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di proporre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata nella citazione di intimazione, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domande riconvenzionali.
Ove lo sfratto sia stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste; in tal caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione (art.663, u.c., c.p.c.).
Il procedimento di convalida di sfratto per morosità è lo strumento predisposto dall’ordinamento per ottenere rapidamente un provvedimento di condanna esecutiva di rilascio di un immobile.
In tema è opportuno, per meglio dire obbligatorio, segnalare il D.Lgs. n. 28/2010[431], istitutivo di un procedimento di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, che ha reso l’esperimento della domanda di mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale per le controversie di cui all’art. 5, tra cui rientrano quelle in materia di locazione (e comodato).
Ciò vale però solo se tali controversie sono trattate secondo le norme dell’ordinario giudizio dichiarativo.
Se al contrario si utilizza il procedimento degli artt. 657 ss., e dunque proprio l’intimazione di sfratto per morosità, la condizione di procedibilità non opera nella fase monitoria e, in particolare, fino al mutamento del rito di cui all’artt. 667 (art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28/2010), divenendo rilevante, quale condizione di procedibilità, nella fase processuale che continua nelle forme del rito locatizio.
Secondo un’ultima ordinanza di merito[432], prima della ulteriore riforma, all’udienza con cui dispone il mutamento del rito, il giudice invita le parti alla mediazione obbligatoria. Alla successiva udienza, nel caso del mancato avvio della procedura di mediazione, il giudice, qualora preso atto dell’inerzia delle parti, dichiara l’improcedibilità della domanda condannando al pagamento delle spese l’intimante inerte. Nel caso di specie il giudice laziale ha, pertanto, giustamente ritenuto opportuno conformarsi all’art. 5 del D.lgs n. 28, giungendo alla corretta conclusione di rigettare la domanda in rito, perché mancante della condizione di procedibilità, necessaria alla prosecuzione del processo, al contempo ha statuito anche sulle spese di causa, sanzionando, nello specifico, l’inerzia della parte che aveva depositato lo sfratto per morosità, principale interessata ad attivare il procedimento di mediazione.
I contratti di tipo restitutorio, che danno vita cioè agli obblighi appena illustrati, sono quelli di locazione, affitto e comodato, ma solo per i primi due è possibile l’utilizzo del procedimento speciale, in virtù del disposto dell’art. 657 che ne limita l’ambito di applicazione appunto ai contratti di affitto, locazione, e agli altri contratti associativi agrari (mezzadria e colonia parziaria).
Non è possibile invece utilizzare il procedimento speciale per l’obbligazione di restituzione derivante da contratti di comodato, né per quella derivante dal venir meno del vincolo contrattuale non per naturale scadenza ma a seguito di declaratoria di nullità o di annullamento.
Ma con pronuncia del 6 dicembre del 2012
Corte Costituzionale, sentenza n. 272 depositata il 6 dicembre 2012
la Corte Costituzionale, aprendo una vera e propria sospensione del procedimento di mediazione, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 per eccesso di delega, rendendo, pertanto, non più obbligatorio il procedimento testè enunciato.
E difatti, successivamente recepito il dictat della Corte Costituzionale, con
il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69
(decreto “del fare”, convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98) è stato ripristinato il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall’articolo 5, comma 1 del d.lgs. 28/2010. In tal modo sono state riportate in vigore le disposizioni dichiarate incostituzionali con sentenza n. 272/2012 della Corte costituzionale, con la speranza che almeno per i prossimi 4 anni non ci siano ulteriori ripensamenti al fine di non rendere ulteriormente incerta la tutela dei cittadini.
Tornando ora nuovamente alla morosità – dopo la breve parentesi necessaria sull’istituto della media-conciliazione – il locatore non può ottenere lo sfratto per morosità se il conduttore non ha pagato uno solo dei canoni previsti.
L’inadempimento, infatti, non è così grave da giustificare la risoluzione del contratto. Così deciso dalla II sezione della S.C.[433]
Per aversi grave inadempimento tale da legittimare lo scioglimento del rapporto, la valutazione non può essere settoriale e fatta per compartimenti stagni, ma va attuata avendo presente non solo la scadenza dei canoni, non il loro importo, ma anche il comportamento della parte inadempiente che, nel caso in esame, è stato ritenuto esente da qualsiasi condotta colposa tale da determinare la risoluzione, operandosi un equilibrato bilanciamento tra il legittimo diritto del locatore alla puntuale prestazione del conduttore e il legittimo diritto del conduttore a non vedersi risolto il contratto, in mancanza di una sua colpa generatrice di grave inadempimento.
Secondo altra pronuncia[434] meno recente a giustificare la risoluzione di un contratto di locazione, sia esso soggetto o meno a proroga legale, e quindi anche alla luce della normativa vincolistica, non è necessario che l’inadempimento del conduttore si sia concretato nella mancata corresponsione del canone, ma è sufficiente anche la reiterata e colpevole inadempienza, da parte del conduttore medesimo, nel pagamento delle spese relative ai servizi accessori della locazione, qualora abbia carattere di rilevante importanza e gravità.
Per di più per le Sezioni Unite[435] in tema di locazione di immobili urbani, l’art. 5 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sulla «predeterminazione» della gravità dell’inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, atteso che tale norma è specificamente dettata per le locazioni ad uso abitativo, non è richiamata nella disciplina di quelle non abitative, ed altresì si correla alle peculiari regole, anche sulla determinazione del canone, che operano per le locazioni del primo tipo. Ne consegue che, per le locazioni non abitative, ferma restando l’operatività dell’art. 55 della citata legge con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 cod. civ. (salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto).
Il pagamento in corso di causa dei canoni di locazione scaduti, non esclude la valutazione da parte del giudice del merito della gravità dell’inadempimento del conduttorededotto con l’intimazione di sfratto, specie quando l’inadempimento sia stato preceduto da altri prolungati, reiterati e ravvicinati ritardi nel pagamento del canone medesimo[436].
Venendo ora all’iter processuale se l’intimato compare e fa opposizione all’intimazione, il giudizio si trasforma in un normale processo di cognizione (art. 667 c.p.c.), ma se l’opposizione non è fondata su prova scritta ovvero non sussistano gravi motivi, il giudice convalida l’intimazione pronunziando ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto (art. 665 c.p.c.).
Tale ordinanza può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese.
Il locatore, con lo stesso atto, può chiedere anche l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e di quelli che scadranno fino al rilascio ed in tal caso il giudice emette decreto ingiuntivo (art. 664 c.p.c.).
In tema è opportuno riportare ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 aprile 2014, n. 8405
secondo la quale la domanda accessoria di ripetizione di indebito, svolta dal conduttore nel giudizio diretto alla determinazione della misura legale del canone locatizio, richiede tra i suoi elementi costitutivi sia l’accertamento del corrispettivo dovuto sia l’avvenuto pagamento, a detto titolo, di somme in eccedenza; ne consegue che deve considerarsi domanda nuova, e come tale inammissibile (ma riproponibile in un separato giudizio), la richiesta di condanna del locatore alla restituzione dell’ulteriore indebito per le somme versategli nel corso del giudizio, in quanto si fonda su presupposti di fatto diversi da quelli prospettati con la domanda originaria, e comporta un mutamento del fatto costitutivo del diritto fatto valere. Né può estendersi analogicamente a tale fattispecie la possibilità, consentita dall’art. 664, primo comma, cod. proc. civ., a chi propone domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità, di ampliare la domanda originariamente proposta fino ad ottenere oltre al pagamento dei canoni già scaduti, anche il pagamento delle somme dovute dal conduttore per i canoni insoluti e da scadere, che configura una delle ipotesi eccezionali di condanna in futuro, delle quali non è consentito allargare per analogia l’area oltre le ipotesi espressamente previste
Ai sensi dell’art. 666 c.p.c. se è intimato lo sfratto per mancato pagamento del canone, e il convenuto nega la propria morosità contestando l’ammontare della somma pretesa, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa e concedere all’uopo al convenuto un termine. Se il conduttore non ottempera all’ordine di pagamento, il giudice convalida l’intimazione di sfratto e, nel caso previsto nell’articolo 658, pronuncia decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni.
Se, invece, il locatore non chiede il pagamento dei canoni, la pronuncia sullo sfratto risolve la locazione, ma lascia impregiudicata ogni questione sui canoni stessi (art. 669 c.p.c.).
Ai fini della valutazione della sussistenza dell’inadempimento nei contratti sinallagmatici, il giudice – alla luce dei criteri legali e, primo fra tutti, quello dell’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte alla corretta esecuzione dell’accordo ed al conseguimento della relativa prestazione, non potendosi invocare a giustificazione l’altrui errore, ove agevolmente rilevabile e rimediabile senza dover sopportare sforzi o costi sproporzionati al risultato – deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti e, segnatamente, delle eventuali negligenze di entrambe le parti, l’una nei confronti dell’altra, non essendo sufficiente che abbia riguardo alla condotta, ancorché negligente, di una sola di esse. Nella specie, la S.C.[437] ha cassato per vizio di motivazione la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificato l’inadempimento del conduttore, per il mancato pagamento di quattro annualità dei canoni di locazione, sul presupposto che il locatore non lo aveva informato circa le mutate modalità di adempimento, che non erano più quelle della diretta trattenuta sullo stipendio dell’importo dei canoni, come inizialmente convenuto, senza, tuttavia, valutare in concreto se per il conduttore stesso fosse comprensibile, in base alla lettura delle buste paga, che quella specifica trattenuta a titolo di canone locatizio era venuta meno.
Sotto un profilo processuale la Cassazione con ultima pronuncia
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 23 ottobre 2014, n. 22531
ha stabilito che ove il giudice d’appello ritenga che l’azione esercitata in primo grado sia stata esercitata erroneamente con le forme del procedimento per convalida di sfratto per morosità, in quanto la domanda prospettava un’azione di rilascio per occupazione senza titolo e non un’azione di risoluzione per inadempimento di una locazione, non può per ciò solo, cioè per l’erronea attivazione del procedimento speciale, rigettare la domanda qualificata come occupazione senza titolo, ma deve deciderla esaminando se ne ricorrano i presupposti giustificativi e, quindi, valutare se l’occupazione senza titolo sussista oppure no
Infine, sempre sotto un profilo processuale, è stato, poi, precisato da altra recente Cassazione che
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 2 febbraio 2017, n. 2702
l’ordinanza di convalida di licenza o sfratto per finita locazione, preclusa l’opposizione tardiva, acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull’esistenza della locazione; sulla qualita’ di locatore dell’intimante e di conduttore dell’intimato; sull’intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto; ma altresi’ sulla qualificazione di esso, se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, e’ strettamente correlata alla tipologia del contratto” (cosi’ Cass. n. 6406/99; nello stesso senso cfr. Cass. n. 2280/05, n. 23302/07, n. 20067/08). L’inciso finale della massima e’ decisivo per comprendere la portata effettiva del principio di diritto: in caso di sfratto o di licenza per finita locazione, non vi e’ dubbio che il giudicato si formi sulla causa di cessazione della locazione costituita dalla sua scadenza e sulla data relativa; tuttavia, perche’ a questo consegua anche un giudicato sulla qualificazione del rapporto e’ indispensabile che la data di scadenza sia strettamente consequenziale ad una determinata tipologia di contratto, tale quindi da non potersi avere se non riconducendo il contratto alla qualificazione considerata.
C) Il procedimento ex art. 30 L.392/1978
L’art. 30 della legge 392/78, sotto la rubrica “Procedura per il rilascio”, detta invece le regole di un procedimento finalizzato a consentire il rilascio dell’immobile a seguito dell’esercizio – da parte de locatore – del diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza.
Pertanto, questo modello processuale non è da ritenersi idoneo negli altri casi legittimanti l’eventuale rilascio dell’immobile oggetto di locazione, come quelli giustificati dall’inadempimento contrattuale del conduttore ovvero inerenti al sopravvenire di una scadenza convenzionale o legale successiva alla prima[438].
Sul piano strutturale, trattasi di un procedimento agile e celere finalizzato alla formazione di un titolo esecutivo di rilascio modellato espressamente sul rito speciale del lavoro
Bisogna, però, aggiungere che il procedimento ha acquisito un’ulteriore rilevanza a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 431/1998, poiché al comma 4 dell’art. 3 risulta stabilito che, ai fini del riconoscimento in sede giudiziale della validità e della conseguente efficacia del diniego di rinnovo azionato alla prima scadenza (qualora il conduttore non abbia rilasciato spontaneamente l’immobile), il locatore è appunto abilitato ad avvalersi della medesima procedura stabilita dall’art. 30, legge n. 392/1978, riferita invero – nell’ordinamento precedente – alle sole locazioni con destinazione non abitativa.
La disdetta per finita locazione alla prima scadenza, se intimata dal locatore ai sensi dell’art. 657 cod. proc. civ., anziché con il ricorso previsto dall’art. 30 della legge 392/78, ora descritto, comporta la necessità di modifica del rito onde accertare l’esistenza del motivo di diniego del rinnovo, con la conseguenza che, se il giudice, senza modificare il rito stesso, emette, in assenza del conduttore, ordinanza di convalida, questa ha natura di sentenza, impugnabile con ordinario atto di citazione.
Avvenuta la comunicazione di cui al terzo comma dell’articolo 29 e prima della data per la quale è richiesta la disponibilità ovvero quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile, il locatore può convenire in giudizio (con ricorso) il conduttore, osservando le norme previste dall’art. 447-bis del codice di procedura civile, ossia mediante ricorso al Tribunale nella cui circoscrizione è posto l’immobile (sono nulle le clausole derogative dalla competenza per territorio).
Alla prima udienza, se il convenuto compare e non si oppone, il giudice, ad istanza del locatore, pronunzia ordinanza di rilascio, la quale costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio.
In altre parole, se il convenuto (costituito o meno formalmente) compare e non si oppone, il comma 4 del citato art. 30 riconduce a questo comportamento il valore di una prova legale che delimita la cognizione del giudice alla semplice constatazione del difetto di una resistenza in giudizio (pur non potendosi, ovviamente, esimere dalla preventiva verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’intentata azione e del diritto al rilascio dell’immobile per la scadenza indicata in disdetta), per cui, operata tale cognizione sommaria, egli é legittimato a emettere un provvedimento di carattere definitivo, che chiude il procedimento, analogamente alla conformazione dei presupposti di operatività dell’ordinanza di convalida nella ipotesi contemplata dall’art. 663 cod. proc. civ.
Nel caso invece di opposizione del convenuto il giudice è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione.
Tuttavia l’esperimento del tentativo di conciliazione, pur costituendo un adempimento doveroso per il giudice di primo grado, non è prescritto né a pena di nullità, né a pena d’improcedibilità e, quindi, la sua omissione non produce effetti invalidanti sullo svolgimento del rapporto processuale.
Se il tentativo di conciliazione – esperito – riesce, il relativo verbale costituisce titolo esecutivo. Ove, invece, il tentativo di conciliazione non riesca, ovvero nel caso di contumacia del convenuto, si procederà a norma degli artt.420 e segg. c.p.c.
Ai sensi dell’art. 30, u.c., L.392/78, il giudice, su istanza del ricorrente, alla prima udienza e comunque in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell’immobile con ordinanza provvisoria di rilascio in corso di causa costituente titolo esecutivo, che poi viene successivamente superata dalla sentenza con la quale si decide sul merito della controversia (rimanendo assorbita dalla pronuncia di accoglimento o revocata per effetto della statuizione di rigetto), poiché naturalmente – sia per il caso in cui il locatore formuli l’istanza ai sensi dell’art. 30, ultimo comma (e indipendentemente dal suo accoglimento o meno), sia per l’eventualità in cui non intenda procedervi – il giudizio è destinato a continuare (11), applicandosi le disposizioni in tema di controversie di lavoro, fino all’emissione della sentenza (che, se di accoglimento, è da qualificarsi provvisoriamente esecutiva, in virtù del disposto dell’art. 447-bis, comma 4 cod. proc. civ.), la quale sarà suscettibile di impugnazione con le modalità proprie previste per il richiamato rito.
Il provvedimento deve contenere l’indicazione relativa alla fissazione del termine dilatorio riguardante il rilascio dell’immobile, alla stregua della previsione generale trasparente dall’art. 56, legge n. 392/1978 nonché – in analogia ai principi elaborati dalla più innovativa giurisprudenza in tema di procedimento di convalida di sfratto[439] – la pronuncia sulle spese, sulla scorta della disciplina generale sancita dagli artt. 91 ss. cod. proc. civ. (che prevede, in via principale, l’applicazione del criterio della soccombenza), non rimanendo esclusa, pertanto, la possibilità di pervenire a una loro compensazione totale o parziale, in presenza di gravi e giusti motivi.
E’ controversa, infine, la questione se l’estinzione del giudizio travolga anche gli effetti dell’ordinanza di rilascio provvisoria eventualmente emessa.
La giurisprudenza prevalente[440] in merito all’ordinanza di cui all’art. 665 cod. proc. civ. (equiparabile a quella in esame) ritiene che – alla stregua della sua natura e non rivestendo essa carattere cautelare strumentale rispetto alla pronuncia di merito – il provvedimento in questione conservi i propri effetti esecutivi anche nell’eventualità dell’intervento dell’estinzione del processo in seno al quale è stato adottato, ancorché senza acquisire l’incontrovertibilità propria del giudicato, rimanendo, perciò, impregiudicato il potere di riproposizione della stessa domanda o di esperimento di altra azione orientata all’ottenimento di una declaratoria di accertamento negativo del diritto del locatore sul quale l’ordinanza medesima risultava fondata.
18) NOTE
Corte di Cassazione, sezione unite, sentenza 4 luglio 2012 n. 11135
Il contratto preliminare
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 ottobre 2012 n. 17324
Corte di Cassazione, III sezione, sentenza n.12286 del 7 giugno 2011
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 6525 del 22 marzo 2011
Il principio è stato affermato dalla Corte di cassazione all’esito di una vicenda giudiziaria, dagli esiti contrastanti, in cui il proprietario di un terreno era stato, appunto, evocato in giudizio dal comune che ne chiedeva la condanna alla rifusione dei costi sopportati per gli interventi di bonifica ambientale nonché al risarcimento del danno perché sull’immobile, concesso in locazione, erano stati rinvenuti dall’unità sanitaria locale dei materiali classificati come rifiuti tossici nocivi.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n.17881 del 31 agosto 2011
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 maggio 2012 n. 8561
Art. 80 Uso diverso da quello pattuito
Se il conduttore adibisce l’immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione(1). Decorso tale termine senza che la risoluzione sia stata chiesta, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile. Qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso prevalente.
(1) La Corte cost., con sentenza 18 febbraio 1988, n. 185, ha dichiarato l’illegittimità cost. del presente comma, nella parte in cui dispone «e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione».
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 7 maggio 2012
In senso conforme Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 23 giugno 2011, n. 13887. Il conduttore di un immobile non può astenersi dal versare il canone, ovvero ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, quand’anche tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede. Ancora in senso conforme Cass. III, sent. 7772 del 23-4-2004. In tema di locazione, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore.(Nella specie, mancato mantenimento della cosa locata in condizioni da servire all’uso convenuto). La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore.
Le immissioni ex art. 844 c.c.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 26 luglio 2012, n. 13189
[335] Per una maggior disamina del contratto di comodato aprire il seguente collegamento
[357] Per una maggior disamina del contratto di comodato aprire il seguente collegamento
L’azienda – par.fo H
[374] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 21 settembre 2012 n. 16068
[377] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 gennaio 2012, n. 549
[378] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 maggio 2012 n. 8561
[382] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 maggio 2011, n. 11014
La formazione progressiva del contratto il contratto preliminare – par.fo 5 – LE IMPOSIZIONI LEGISLATIVE
[404] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 17 luglio 2012, n. 12230
[405] Per una maggior disamina del contratto di comodato aprire il seguente collegamento
Il contratto di permuta – par.fo n. 8 – norme relative alla prelazione
[416] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 giugno 2012, n.9931
[431] Per la consultazione del testo integrale aprire la seguente pagina
Media conciliazione spla organismo di conciliazione in collaborazione con studio legale D’Isa
[433] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 26709 del 13 dicembre 2011
[439] Cfr., per tutte, Cass. 22 marzo 1999, n. 2675; Cass. 7 aprile 1999, n. 3336, Cass. 13 giugno 1994, n. 5720
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